Uno dei tanti luoghi comuni sul rock è stato sempre l’associazione tra il genio di certe band e il loro consumo smodato di sostanze stupefacenti. Chi di voi non ha mai sentito l’espressione Sex, Drugs and Rock n’ Roll almeno una volta nella vita? E, diciamolo chiaramente, molte delle leggende metropolitane collegate proprio a questi abusi contribuivano a creare quell’aura di sacralità che ancora aleggia attorno alle rockstar più famose. In questo articolo vogliamo farvi, e farci, una domanda: Rock e droghe sono realmente un binomio inscindibile?
Rock e droghe: le origini del mito.
Per comprendere meglio perché praticamente ogni rockstar sia passata per il consumo, nella migliore delle ipotesi, o per l’abuso, nel peggiori, di sostanze stupefacenti, occorre partire da cosa abbia rappresentato il rock negli anni 60/70 e che valore si sia attribuito ai summenzionati allucinogeni. Partiamo da ciò che sicuramente sappiamo tutti: il rock ha rappresentato un momento di rottura con tutta la musica ad esso precedente, da cui si è voluta differenziare per suono, look e abitudini.
Se le band degli anni ’50 apparivano eleganti, ben vestite, inneggianti ai buoni sentimenti e ad una vita sana, il rock ha voluto essere l’esatto contrario: rifiutare ogni convenzione sociale, vestire in maniere stravaganti, atteggiarsi, spesso e volentieri, ad enfants terribles, e, anche in ragione di ciò, avere uno stile di vita estremo, soprattutto per quanto riguarda i consumi di alcool e stupefacenti.
È quasi automatico, quindi, comprendere come l’uso smodato di droghe ed allucinogeni sia stata solo una logica conseguenza, determinata non solo dalla voglia di evadere da una realtà conformista e bigotta, ma anche derivante dal fatto che molti musicisti vedevano in quelle sostanze una vera e propria fonte di ispirazione. Così come gli sciamani ed i sacerdoti dei più diversi culti religiosi utilizzavano le più svariate sostanze per entrare in uno stato di trance ed entrare in contatto con le loro divinità, così una moltitudine di artisti ha cominciato a farne uso.
Se a questo, poi, colleghiamo l’ignoranza di quelli che sarebbero potuti essere gli “effetti collaterali”, non ci si stupisce, quindi, nell’apprendere che i Black Sabbath, durante le registrazioni di Vol. 4, uno dei loro album di maggior successo, abbiano speso qualcosa come 15.000 dollari in droghe di vario genere, nè di tutte le altre leggende metropolitane che, come detto in precedenza, sono oramai parte integrante del concetto di rockstar: dal fatto che “Lucy in the Sky with Diamonds” dei Beatles contenga velati riferimenti all’LSD, al fatto che Steven Tyler e Joe Perry, i “toxic twins” degli Aerosmith, a causa dei loro abusi, non riuscissero neanche a riconoscere i loro stessi pezzi alla radio, e la lista sarebbe ancora più lunga, tenendo anche conto di canzoni che sono delle vere e proprie elegie alla droga, come Cocaine di Eric Clapton ed Heroin dei Velvet Underground.
Ma, a questo punto, occorre rinnovare la domanda che ci siamo posti all’inizio dell’articolo:
Rock e Droghe sono veramente un binomio inscindibile?
La risposta è, ovviamente, negativa, soprattutto se si considera il fatto che le droghe hanno determinato delle (presunte) ispirazioni/illuminazioni in molti artisti, ma ne hanno sicuramente segnato il declino. Basti pensare a quanti membri del Club 27, composto da musicisti morti, curiosamente, tutti all’età di 27 anni, siano morti di overdose: da Janis Joplin a Gary Thain degli Uriah Heep, passando per Amy Winehouse.
È possibile approfondire il “lato oscuro” delle sostanze stupefacenti anche leggendo le biografie di molte rockstar che, invece, sono uscite dal tunnel della tossicodipendenza: si tratta, come è facile immaginare, di racconti molto toccanti, in cui musicisti come Slash, Nikki Sixx dei Motley Crue, e tanti altri, affermino di come l’eroina, la cocaina, ecc. li abbia veramente ridotti ai minimi termini, e di come sia stato positivo essere riusciti ad eliminarle dalla propria vita.
Un’ulteriore conferma che il rock può esistere anche senza droghe è dato dal fatto che ci sono stati esempi lampanti di band che hanno bandito l’uso di queste sostanze, e che sono arrivate al successo senza farvi ricorso: basti pensare ad artisti come Ronnie James Dio, ai Saxon, che conducono vite esenti da ogni vizio, o agli Iron Maiden, che allontanarono il loro primo cantante, Paul Di’Anno, anche a causa della sua tossicodipendenza, che avrebbe potuto compromettere l’attività del gruppo.
In conclusione possiamo affermare che la qualità della musica non viene influenzata dalla droga, che rock e droghe non sono inscindibil, ma che, piuttosto, l’unica cosa che può essere effettivamente influenzata dalla tossicodipendenza è proprio la salute fisica, che, come è ovvio sottolineare, la rappresenta l’elemento realmente essenziale per produrre musica. D’altra parte, volendo citare i Motorhead, un uomo morto non può raccontare nessuna storia.
Claudio Albero