Ottobre! … L’autunno incalza con i suoi enigmatici e caldi colori, ci offre paesaggi unici e sapori inconfondibili. E’ questo tempo di VENDEMMIA! Tempo di sapori, profumi antichi e rituali agresti che ci riportano indietro, tramandandosi negli anni.
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Le origini del vino
Il termine “vino” deriva dal sanscrito “ vena ” che significa “ amare “ e da cui proviene anche la parola latina “ Venus“ in riferimento a Venere, la dea dell’amore. L’origine si ritrova per la prima volta nell’epopea di “ Gilgamesh “, il re sumero della città di Uruk, dove protagonista è proprio il sovrano che si cimenta in un viaggio-avventura alla ricerca dell’immortalità e durante il quale incontra Siduri, una fanciulla che fabbrica vino.
Altra citazione è presente nelle sacre scritture, precisamente nella Genesi (9,20-1), nel passo in cui dice che Noè, uscito dall’arca dopo il diluvio universale, pianta un albero di vite, ne beve il vino fino ad ubriacarsi e poi si ritira nella sua tenda nudo per dormire. Altro esempio in cui c’è chiaro richiamo al vino è quello che troviamo nel vangelo, inerente le famose “Nozze di Cana”, quando si assiste alla trasmutazione dell’acqua in vino da parte di Cristo durante un matrimonio a cui Gesù e sua madre erano stati invitati. Il vino assume, dunque, valori emblematici nella simbologia cristiana e non solo! La relazione vite-terra-vita è inscindibile dal percorso umano.
La vite è una pianta antichissima, presente da milioni di anni sulla terra, ne esistono di diversi tipi ma la principale e più considerata è sicuramente la vitis vinifera. Fin dall’antichità il vino è stato da sempre associato alla fertilità della madre Terra utilizzato all’interno non solo di riti e di celebrazioni religiose, ma anche di feste civili. In alcune culture il vino veniva spesso considerato un elemento-tramite che consentiva di mettersi in contatto con la dimensione divina. In particolar modo, il dio del vino e dell’ebbrezza era Bacco/Dioniso, divinità ilare della vegetazione e dei misteri orgiastici, spesso raffigurato nella sua irrefrenabile allegria, cosparso di grappoli d’uva e coppe di vino, rappresentazione di sfrenati baccanali!
La vendemmia ieri e oggi: vino e vin cotto
In tempi remoti e neppure poi così lontani, l’uva si raccoglieva tagliando i grappoli con la rocchetta (forfece re’ puta), si riempivano bigonce e grosse ceste e si trasportavano con i birocci (specie di carretti) sulle cantine dei padroni. Da qui aveva inizio una sorta di danza, l’uva staccata e pulita dai graspi (raspul’ ) si riponeva in grandi tini (t’nozz) e qui veniva pigiata a ritmo di musica a piedi nudi da donne e bambini, cantando antiche canzoni popolari, vecchi stornelli … mentre i fumi del mosto contribuivano a rallegrare gli animi ed i cuori dei contadini intenti all’ opra. Era una vera e propria festa per tutti, sia coloni che padroni!
Oggi la realtà della vendemmia è alquanto cambiata e divenuta un’esperienza meno vissuta con lo stesso ardore e partecipazione di una volta. Le fasi di lavorazione dell’uva sono essenzialmente le stesse di allora ma le tecniche di produzione si sono adeguate ed evolute al passo con lo sviluppo tecnologico ed il progresso moderno. Ovviamente il processo di vinificazione resta assolutamente fedele al principio base della fermentazione alcolica del succo d’uva che, grazie ad alcuni lieviti presenti sulla buccia dell’acino, riescono a trasformare lo zucchero della polpa in alcol etilico ed anidride carbonica. In base al tipo d’uva, si possono produrre vini bianchi, rosati, rossi e di diversa gradazione. La vendemmia oggi, a causa della mancanza di manodopera, viene eseguita meccanicamente, a differenza del passato, ed è di sicuro una raccolta meno animata e goduta di un tempo.
Si procede successivamente alla pigiatura sempre attraverso macchine sofisticate che hanno sostituito mastelli e piedi scalzi. Il mosto (puro succo d’uva) così ottenuto, viene purificato con sostanze che ne regolano l’acidità; viene raccolto e messo a fermentare. La fase di fermentazione dura da un giorno ad una settimana, fino ad un massimo di 10 giorni per vini più complessi; è qui che lo zucchero del mosto per reazione chimica diventa alcol. Infine si procede alla svinatura, ovvero travasare il vino depurato dalle vinacce (v’nazza o fezza) che restano sul fondo delle botti, dove avviene una seconda fermentazione. Imbottigliato, segue poi l’invecchiamento.
Il mosto cotto
Una vera e propria prelibatezza derivata dalla vendemmia è il mosto fresco, cioè il vino nella fase più tenera ed immediata che diventa una bontà assoluta, preziosa e gustosa qualora tenuto da parte per essere impiegato nella elaborazione di dolci tipici che ritroviamo in molte tradizioni regionali culinarie, in particolar modo del sud Italia. Il mosto cotto, detto in gergo “ o vin cuott’ “, ovvero il vino cotto, è una preparazione caratteristica di molte realtà locali ed è noto sotto nomi diversi, a seconda del sito di provenienza. Esso si ottiene facendo bollire a lungo il mosto di vino finchè non si addensi, di una densità simile alla viscosità dell’olio. Ha un sapore molto dolce e viene utilizzato in svariati piatti, preparato per lo più con uva nera, ma ne esiste una variante di uva bianca. Passaggio rilevante è che bisogna cuocerlo subito una volta premuto, prima che inizi a fermentare.
Dolci tipici al mosto
- Taralli co’ lo vino cuott
Ricetta tipicamente campana, appartenente alla tradizione irpina, diffusa nell’ avellinese e precisamente legata ai paesi di Fontanarosa e Mirabella Eclano. Sono tarallini particolari nel sapore e molto profumati, risultato di un impasto fatto con farina 00, un pizzico di sale, zucchero in base al gusto soggettivo e mosto di vino cotto. Semplici ed impegnativi allo stesso tempo perché composti da pochi ingredienti ma richiedono un lungo tempo di preparazione, soprattutto per la cottura del mosto che deve bollire fino ad addensarsi.
Una volta preparato il mosto (15-20 litri che devono diventare 1/3 della quantità iniziale) si impasta la farina, regolandosi ad occhio con il sale ed il mosto bollente, fino ad ottenere un impasto morbido ma lavorabile. Si lavora formando bastoncini sottili che si legano per ottenere i tarallini. Questi verranno poi bolliti, poco alla volta, per circa 5 minuti nel vin cotto. Si è soliti cuocere insieme ai taralli anche qualche mela cotogna a pezzetti per aromatizzare il tutto e renderli più gustosi.
Il vino cotto che avanza, solitamente viene imbottigliato e conservato in attesa, poi, della prima neve da guarnire al cucchiaio e mangiare come un sorbetto al vin cotto ( a sorbett co’vino cuott ).
- Budino al vin cotto
E’ questa invece una ricetta tipicamente Piemontese.
Ingredienti: 1 litro di mosto, 10 cucchiai di farina (per ogni litro), 4 cucchiai di zucchero, 1 cubetto di cioccolato fondente, 1 bustina di vanillina.
Mettere tutto in pentola sul fuoco e mescolare fino ad addensare, dopo di che versare in stampini , formine o scodelle, lasciar raffreddare e poi in frigo prima di servire.
- Mbriachidd
Ricetta tradizionale e famosa del Salento, sono tarallini detti “ mbriachidd “ cioè “ubriachi” perché fatti con l’aggiunta di vino nell’ impasto.
Preparazione: mettere farina setacciata in una terrina, creare al centro un buco dove mettere lo zucchero, aggiungere lentamente olio d’oliva e un bicchiere di vino bianco o rosso. Lavorare l’impasto , aggiungere una bustina di lievito e un pizzico di sale. Continuare a lavorare fino ad ottenere un impasto omogeneo. Avvolgere l’impasto nella pellicola e farlo riposare in frigo per 30 minuti. Staccare poi una pallina e lavorarla formando un tarallino dal cordoncino sottile. Passare il tarallo in una ciotola con dello zucchero. Ripetere l’operazione per tutto l’impasto. Deporre i taralli su una teglia coperta con carta forno e infornare a 180° per almeno 20 minuti. Una volta cotti, lasciar intiepidire prima di servire.
In definitiva, possiamo dire che della vendemmia del “tempo che fu” restano solo sparse sagre del vino o di prodotti ad esso collegati, che si tengono più o meno in questo periodo in diversi paesi dell’Irpinia o del resto d’Italia. Basti pensare alla fiera enologica di Taurasi (Av) verso metà agosto, alla sagra dei taralli al mosto di Mirabella Eclano (Av) che si tiene il 3 e 4 ottobre o alla festa dell’uva che si svolge a Riccia (Cb) nel Molise solitamente la seconda domenica di settembre…
E, se come dicevano il latini: “ in vino veritas “, e come attestavano i nostri nonni che berne fa sangue e fa bene al cuore, alzare un calice di buon vino per brindare alla salute e alla vita resterà sempre un rituale di buon auspicio che lega l’uomo di oggi a quello di ieri.
Pasqualina Giusto
Sitografia: