La Birmania (o Myanmar dal 1989) riapre alla democrazia dopo ben 45 anni di dittatura comunista. Questo sensazionale risultato è stato possibile grazie alla figura di Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la pace nel 1991 e leader del partito “Lega Nazionale per la democrazia”. Incredibilmente, a discapito di quanto si pensasse, l’attuale governo al potere sembra aver incassato la sconfitta, pur dichiarandosi molto sorpreso dall’aver perso nella circoscrizione di Hinthada, roccaforte dell’Usdp (Partito di unione, solidarietà e sviluppo) stesso.
Eppure, in tutto ciò, resta una domanda fondamentale da porsi: come è nata la dittatura in Birmania?
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1962: genesi di una dittatura
Correva l’anno 1962, l’ultimo anno di democrazia in Birmania, l’ultimo anno prima della presa al potere del generale Ne Win. Ironicamente, proprio in quel periodo, alle Nazioni Unite il birmano U Thant ricopriva la carica di Segretario Generale ma l’attivazione internazionale che seguì all’instaurazione della dittatura comunista in Birmania fu del tutto inutile: Ne Win governò per ben 26 anni, rivoluzionando completamente il Paese. Tra le sue opere politiche ricordiamo la soppressione dei partiti politici nel 1964, la nazionalizzazione delle industrie e la soppressione del libero scambio; tutte scelte che portarono progressivamente la Birmania ad isolarsi passo dopo passo dal resto del mondo.
La Birmania prima e dopo la dittatura
Negli anni 30 del ‘900, se fossimo approdati nella Birmania di allora, avremmo trovato d’innanzi ai nostri occhi un Paese ricco, con materie prime e terre in abbondanza; in poche parole una sorta di piccolo Paradiso sito nel Sud-Est asiatico. A favore della Birmania pre-dittatura vi era anche una indipendenza dagli inglesi acquisita nel 1937 che portò maggiore autonomia nel Paese ma, al tempo stesso, anche a delle bagarre interne: a favore dell’indipendenza dagli inglesi guardava in maniera favorevole il 72% della popolazione. Il restante 28% era costituito perlopiù da tribù che, contrariamente alla maggioranza, erano favorevoli al dominio inglese in quanto grazie ai britannici avevano ottenuto un’autonomia all’interno del Paese che temevano potesse adesso venire loro meno. Tutto ciò portò progressivamente a far precipitare la situazione birmana che sfociò nel 1948 nella guerra cariana, un conflitto sanguinoso che vide schierarsi una fascia di ribelli delle tribù e i due partiti comunisti birmani (“bandiera rossa” di stampo staliniano e “bandiara bianca” di stampo maoista) contro il governo democratico del Paese. Pur concludendosi nel 1953, la guerra cariana ha aperto una ferita non facile da rimarginare nella Birmania dell’epoca, con ripetuti scontri che porteranno nel 1962 il generale Ne Win a destituire il Primo Ministro U Nu e ad instaurare una dittatura comunista nel Paese o, per meglio dire, una “democrazia popolare sul modello sovietico“.
Con un isolamento progressivo dal mondo, la Birmania, nel corso degli anni, ha subito un impoverimento sostanziale: da Paese ricco di terre e materie prima che era negli anni 30, si è trasformato progressivamente in un Paese povero, le cui risorse a malapena bastano per sfamare la popolazione. Il malcontento generale creatosi ha portato nel 1988 ad una rivolta studentesca in nome di elezioni libere e corrette; tuttavia, in virtù della dittatura persistente nel Paese, tale protesta venne sedata nel sangue ma, a seguito di questa impopolare scelta, nel 1990 l’allora governo fu costretto ad indirie delle elezioni che videro il trionfo della “Lega Nazionale per la democrazia” guidata da Aung San Suu Kyi, figlia del “padre della Birmania” Aung San.
Purtroppo il sogno di un ritorno alla democrazia venne infranto ancora una volta dalla pregnante dittatura birmana: il governo militare non accettando la sconfitta (in tutto ottenne solo il 10% delle preferenze) decise di non riconoscere il risultato delle elezioni, ponendo Aung San Suu Kyi agli arresti domiciliari – terminati solamente nel 2010 dopo una fervente attivazione internazionale – e perseguitando i suoi deputati. Da lì partì una nuova rivoluzione all’interno del Paese, cominciando a guardare con interesse a possibili scambi commerciali con la Cina e cambiando toponomastica sia allo Stato che alla capitale: la Birmania venne ribattezzata Myanmar mentre la capitale di allora, Rangoon, cambiò nome in Yangon.
Aung San Suu Kyi: dagli arresti al governo
Il 2015 è senza ombra di dubbio un anno che la Birmania difficilmente dimenticherà. Se nel 2010 all’eroina del popolo birmano, Aung San Suu Kyi, vennero revocati gli arresti domiciliari, negli ultimi anni la figlia di Aung San non solo ha potuto sedere in Parlamento ma quest’anno ha finalmente corso nelle elezioni che hanno attivamente coinvolto tutto il Paese, riportando una vittoria schiacciante. Tuttavia nuove sfide attendono il premio Nobel per la pace: dopo 45 anni di dittatura, la Birmania è uno Stato stanco, bistrattato; non è più quel piccolo Paradiso di soli 80 anni fa ricco di risorse. Eppure una nuova era sta nascendo, un nuovo sole che sorge dall’orizzonte birmano e chissà che Aung San Suu Kyi non compia un piccolo miracolo: il popolo è dalla sua parte, insieme e unito verso un futuro migliore con il ricordo doloroso di una dittatura ormai alle spalle.
Maria Stella Rossi