Kim-Ki-Duk: cineasta coreano di un cinema poetico e simbolico
Il cinema orientale, dove per orientale si intende sopratutto quello fatto di personalità cinesi, coreane e giapponesi, è stato capace negli ultimi anni di offrire soluzioni artistiche e poetiche tra le più interessanti e innovative nel panorama cinematografico mondiale. Kim-Ki Duk è senza dubbio uno dei maggiori esponenti di questo cinema orientale, nel senso geografico del termine, ed è stato lui a dirigere uno dei capolavori assoluti degli ultimi anni: Ferro 3. Kim-Ki-Duk ha la qualità o il pregio della coerenza, cioè la capacita di restare fedele alla sua poetica proponendo però al contempo sempre nuove soluzioni. In Ferro 3, così come in altre opere, si respira un’aria di distacco dalla realtà, e di disperazione, ma questo distacco dalla realtà che sembra tanto crudele, in realtà riesce ad apparire sereno, attorniano da un alone di tranquillità quasi divina e impercettibile, oltre alla lucidità nell’approccio al dramma di fondo.
Il cinema di Kim-Ki-Duk È un universo simbolico fatto di immagini poetiche e figurative, quasi come se volesse rifiutare una certa idea di umanità, legata alla violenza della comunicazione e del corpo. Egli, come ha fatto ogni grande regista, pur restando fuori dagli schemi, riesce ad impressionare lo spettatore, creando in lui la stessa tranquillità che esprimono le sue opere, fino a che questo non raggiunga un particolare stato d’animo latente.
Ferro 3 è costato circa un milione di dollari e Kim ki-Duk ha scritto la sceneggiatura del film in un mese, ha girato in sedici giorni e montato in dieci giorni. I protagonisti del film sono due attori coreani molto famosi in Corea: Lee-Seung-Yeon e Jae Hee, che sembrano essere nati per interpretate questo film. Il film si aggiudicò il Leone d’Argento al Festival di Venezia del 2004.
Ferro 3, la trama
Tae-suk (Jae Hee) gira con la sua moto alla ricerca di case vuote in cui stabilirsi temporaneamente. Il suo metodo è semplice: dapprima pone dei volantini pubblicitari alle porte e poi entra là dove il foglietto non è stato rimosso. Quando si stabilisce in una casa la vive come se fossa sua e così, senza rubare nulla, fa le pulizie prima di andarsene e ripara gli oggetti rotti. Un giorno, durante una delle sue ricerche, incontra una ragazza Sun-Hwa (Lee-Seung-Yeon), la quale vive quasi da prigioniera, costretta a sopportare le violenze di un marito violento. Tra i due si crea istantaneamente uno strano legame, un’intimità che trascende la corporeità e la fisicità. Tae-Suk così continua la sua vita di prima insieme alla sua nuova compagna di viaggio; tutto va bene finché Tae-Suk non viene arrestato e i due si ritrovano costretti a separarsi bruscamente. Ma la situazione è destinata ben presto a cambiare.
Il trionfo del silenzio e la violenza delle parole
Ferro 3 è la mazza da golf meno utilizzata dai giocatori, quello che spesso finisce per non essere usata restando da sola ed esclusa. Una condizione, quella della mazza ferro 3, analoga a quella di Tae-Suk, il quale vive una sostanziale situazione di isolamento, un’incapacità nello stare e vivere stabilmente la normale vita borghese; qualcosa che però può trasformarsi involontariamente anche in violenza, se si pensa a quando una palla colpisce violentemente una donna per strada. In ogni caso, l’unica che riesce a capire e ad immedesimarsi nel dramma del giovane Tae-Suk è Sun-Hwa, costretta anch’essa, nel suo caso dal marito, a vivere una vita di isolamento, con il rischio di improvvisi lampi di violenza. Siamo di fronte alla condivisione di un dramma che porta alla nascita di un rapporto intimo, intimissimo, dove pero l’intimità non è figlia del contatto corporeo e delle parole, le quali sono completamente assenti tra i protagonisti, è il silenzio a dominare questo rapporto, un silenzio che si esplica tramite gesti, sguardi e la presenza fisica: i due giovani non hanno bisogno di sottostare alle regole del linguaggio, la loro complicità è in armonia con il silenzio nella sua forma più pura.
Il sonoro in Ferro 3 acquista quindi un ruolo molto importante, divenendo il mezzo attraverso il quale lo spettatore cerca di immedesimarsi con il modo di vedere e percepire dei protagonisti, si può dire che esso evidenzi la densità dei silenzi fra i protagonisti. Se da un lato quindi c’è il silenzio a dominare e a risultare l’unico linguaggio appropriato del film, dall’altro c’è la parola ovvero la comunicazione verbale. In Ferro 3 la comunicazione verbale è simbolo di violenza e di sopruso, di fatto i personaggi che fanno uso della parola sono quelli che meno vorremmo ascoltare e che più smaccano la verità raggiunta tramite il silenzio: le loro parole non producono una comunicazione equilibrata, sono parola urlate, strumenti di lagna insensata e di scontro. A stroncare definitivamente il ruolo della parola è il “ti amo” finale pronunciato da Sun-Hwa, infatti la parola non solo non riesce ad esprimere ciò che invece esprime il silenzio, ma è anche menzognera.
Kim-Ki-Duk realizza così una delle sue opere più importanti, e attraverso primi piani, con una certa cura nei dettagli dei personaggi e dell’arredamento degli interni, con particolare attenzione alla descrizione delle tradizioni e degli usi coreani, narra la durezza della realtà attraverso una coppia di due anime in pena che vaga tra la meschinità, la menzogna, la felicità e la morte. Ferro 3 ha la capacità di essere così reale restando pur sempre legato al senso del poetico, del sogno, levitando in un punto di stasi tra l’essere e il non essere, tra il reale e il non reale.
Difficile dire se il mondo in cui viviamo sia una realtà o un sogno
Roberto Carli