Il giudizio nella Critica della ragion pura di Immanuel Kant

Negli scorsi articoli è stata più volte citato il Kant della Critica della ragion pura; abbiamo parlato della sua enorme influenza su Fichte, Schelling ed Hegel e lo abbiamo indicato come padre del criticismo. Ora è giunto il momento di dire qualcosa in più su questo grande filosofo.

I giudizi secondo Kant

Kant
Immanuel Kant

Partiamo da una domanda che Kant pone all’amico Marcus Herz in una lettera del 1772: «su che cosa si fonda il rapporto di quanto si chiama rappresentazione in noi con l’oggetto?» Si è tentato più volte, nel corso dello sviluppo del pensiero filosofico occidentale, di dare risposta a questa domanda; e, a proposito di ciò, la pretesa che sia il mondo a conformarsi ai concetti puri dell’intelletto non ha mai dato risposte definitive, partendo da Platone per arrivare a Leibniz.

Il tentativo di concordare il pensiero e l’essere, dunque le rappresentazioni mentali con i fenomeni effettivamente esistenti nel mondo, non ha dunque, nel momento in cui Kant sta elaborando la Critica della ragion pura, una soluzione che escluda qualsiasi riferimento ad una armonia prestabilita.

Com’è noto, Kant, nell’introduzione alla Critica (la cui prima edizione risale al 1781) parte da un’indagine circa i giudizi. Giudicare vuol dire, semplicemente, attribuire un predicato ad un soggetto; il problema gnoseologico circa il mondo in cui il soggetto conosce qualcosa è dunque strettamente legato al modo in cui si rapportano tra loro soggetto e predicato. Duplice è il tipo di connessione che può instaurarsi tra questi due elementi:

  1. analitica: nel giudizio analitico ciò che il predicato afferma è già in qualche modo contenuto nel soggetto. Di tale giudizio, detto a priori in quanto universalmente necessario, è un corretto esempio “un corpo è esteso”. Un corpo, per la sua stessa natura, occupa uno spazio e, dunque, si estende. Ciò significa che il predicato “esteso” è già contenuto nel soggetto “corpo” e non è possibile pensare il contrario senza cadere in contraddizione.
  2. Sintetica: questa volta, al contrario rispetto al giudizio analitico, il predicato non è già compreso nella definizione del soggetto. Il legame tra predicato e soggetto è in questo caso subordinato all’esperienza e per tanto si parla di giudizio a posteriori, privo dell’universalità necessaria di cui godeva il giudizio analitico a priori. Per esempio, affermando che “un corpo è pesante” ci si rende conto che la pesantezza non è necessariamente propria di tutti i corpi.

Il giudizio sintetico a priori

Io lo confesso apertamente: è stato l’avvertimento di David Hume che molti anni fa primamente ruppe in me il sonno dogmatico e diede alle mie ricerche nel campo della filosofia speculativa un tutt’altro indirizzo.¹

Kant
La Critica della ragion pura

Di cosa fosse il dogmatismo all’epoca della pubblicazione della Critica se ne è già parlato altrove; Kant mira ad una conoscenza certamente universale e necessaria ma che, allo stesso tempo, possa avere come fondamento l’esperienza.

Fu proprio Hume a porre l’accento sul carattere necessariamente sintetico della conoscenza. Forte delle intuizioni di Hume e della propria indagine sul giudizio, Kant si rende conto che quest’ultima deve essere ampliata: non bastano i giudizi a priori né quelli a posteriori per una adeguata fondazione della conoscenza. Da un lato i giudizi a priori sono sì universali e necessari ma non fanno altro che specificare la conoscenza; dall’altro, i giudizi a posteriori, pur aggiungendo qualcosa di più alla conoscenza del soggetto, mancano di universalità e necessità.

Cosa si può fare, dunque? La risposta, secondo Kant, sta in un terzo tipo di giudizio detto sintetico a priori, dove il legame tra predicato e soggetto è universalmente necessario nonostante il predicato medesimo non sia già contenuto nel soggetto.

Solo nella matematica e nella fisica è possibile questo determinato tipo di giudizio: serviamoci del celebre esempio utilizzato da Immanuel Kant in persona per spiegare in che modo sia possibile quanto detto. Prendiamo l’espressione aritmetica 7+5=12. Nel risultato, 12, c’è sicuramente qualcosa che non era contenuto nelle unità semplici 7 e 5; allo stesso modo, però, nonostante la conoscenza sia stata ‘ampliata’ è pur vero che è universalmente necessario che la somma di 7 e di 5 dia 12.

Nelle prime due parti della Critica, ossia l’Estetica e la Analitica trascendentale Kant approfondirà ulteriormente l’argomento; circa la metafisica, invece, ci si deve domandare non come essa sia possibile – come possa esser fondata – ma se essa sia una conoscenza possibile. Questo lo vedremo, però, nel prossimo articolo.

Luigi Santoro

Bibliografia

1 I. Kant, Prolegomeni, La Scuola, Brescia, 1939.

Fonti

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