Napoli milionaria uno dei capolavori più conosciuti e drammatici di Eduardo, una delle storie più vere e reali, raccontata con gli occhi di chi ha osservato la storia di Napoli dall’interno, di chi ha compreso che un dramma pesante e asfissiante come la Seconda guerra mondiale abbia reso, in fondo, nonostante l’istinto di sopravvivenza, l’istinto di “mangiare la carne dell’altro” per sopravvivere tutti vicini ed accomunati dallo stesso dolore perché “i morti sono tutti uguali”.
Senza censure o inibizioni Eduardo racconta sulla pelle di alcuni personaggi la vita della Napoli milionaria, di quella Napoli spietata, truffaldina, canaglia ed ignorante ma anche onesta e carnale.
La commedia Napoli milionaria, scritta ovviamente da Eduardo De Filippo, andò in scena per la prima volta nel marzo del 1945 al teatro San Carlo di Napoli rapendo l’attenzione di un pubblico troppo sensibile e scottato dalle atrocità vissute negli anni immediatamente precedenti che hanno non solo segnato la vita di ogni singola persona accomodata in poltroncina rossa, ma segnato la vita della storia.
Napoli milionaria: la bella rappresentazione della realtà
Come sempre ci si trova di fronte ad una commedia articolata su due livelli: uno puramente ludico, divertente, spassoso, fatto di fatterelli e scenette comiche che rapiscono l’attenzione dello spettatore che, come in tutte le commedie di Eduardo, sorride e riconosce la realtà napoletana.
Un secondo più profondo che nasconde il vero senso di atteggiamenti, smorfie e scelte, un secondo livello che racconta cosa c’è dietro, che racconta lo spessore di ogni gesto comico e di ogni scelta.
La commedia è ambientata durante e dopo la Seconda guerra mondiale in un contesto già molto povero, contornato da superstizioni ed ignoranza.
Don Gennaro, interpretato da Eduardo De Filippo, è il padre di famiglia, uomo onesto e dal forte senso di giustizia, di tre figli e marito di Donna Amalia una donna molto diversa da lui: spicciola, sbrigativa e risoluta che pur di sopravvivere decide di intraprendere l’attività della borsa nera associandosi con Don Errico detto Settebellizze.
La storia si svolge tutta nel basso di Donna Amalia e poca cosa è il coinvolgimento del vicolo nella vicenda. Quel basso diventa un vero è proprio microcosmo, specchio dei cambiamenti degli affari della donna e dei cambiamenti della storia.
Don Gennaro non è d’accordo con l’attività truffaldina praticata dalla moglie che onestamente lo spaventa ed intimorisce al punto da ripetere più di una volta alla moglie di smettere.
Al di là della scena quantomai comica e divertente della finzione della morte di Don Gennaro di fronte alle autorità che vogliono perquisire l’abitazione, che da uomo saggio quale è aveva ragione sul pericolo corso dalla moglie, si evince una prima realtà caratterizzata dagli affari di Donna Amalia che così provvede, seppur in modo disonesto, al sostentamento della famiglia.
Questi affari però nel secondo atto si ingrandiranno e si trasformeranno in una vera e propria fonte sicura di danaro e soprattutto di distrazione per la donna estremamente attratta, tra le altre cose, dal suo socio.
La distrazione è madre di tutta una serie problemi che portano Don Gennaro, appena ritornato dalla guerra, a ritrovarsi per le mani una vita nuova, diversa, ricca ma estremamente vuota.
Una vita che ormai profuma di acqua di colonia e si specchia in vetri con le cornici dorate, ma al di là dello specchio ormai non c’è nulla, nemmeno la voglia della famiglia e degli amici di ascoltare la sua storia troppo lunga per essere raccontata su dei fogli normali ma che va scritta su fogli grandi come una montagna.
E non si parla di un semplice luogo comune, ma si parla di cosa sia la guerra, non solo delle bombe e delle armi ma di cosa questa provochi, di cosa provochi la paura, il terrore e la fame. Si parla di come poter sopravvivere e di come, a volte, per farlo si debba giocare con la vita degli altri e con i loro bisogni e di quanto nonostante ciò qualcuno ancora resista sotto i colpi di chi approfitta del proprio potere e non si lascia prendere dal rancore proprio come il ragioniere che avendo saputo delle gravissime condizioni della nennella di Donna Amalia e Don Gennaro, nonostante il comportamento crudele di Donna Amalia nei suoi confronti decide di farle la grazia dopo, però, avere ricordato il male ed il dolore provocatogli.
La scena emblematica è proprio la scena finale, quella in cui Amalia e Gennaro restano da soli a discutere di cosa sia accaduto e perché. Di come sia stato possibile arrivare sino a quel punto, come abbia potuto la famiglia scendere in guerra e come adesso debba fare per raccogliere le macerie e ricostruire tutto: “Ha da passà ‘a nuttata“.
Solo così quella famiglia, come il mondo intero, nonostante “la guerra non sia finita” può risollevarsi e combattere nemici interni come la violenza, il disordine e la corruzione per far in modo che la giustizia nasca, cresca ed operi alla luce del sole.
Commedia davvero consigliatissima, originale e sopratutto interpretata da attori che riportano nei movimenti, nelle parole e nel modo di regalarle al pubblico una realtà originale, fu particolarmente apprezzata per la sua suggestione all’epoca della sua messa in scena.
Adesso rivederla è un’esperienza ancora suggestiva che non si distacca dalla realtà corrente ma vi è sorprendentemente aderente, purtroppo.
Corinne Cocca