Tempi moderni: crocevia del cinema
Tempi moderni rappresenta nella storia del cinema una delle più importanti opposizioni al cinema sonoro, eppure il film diretto e interpretato da Charlie Chaplin non può essere nemmeno considerato un film muto. Intanto, ricordiamo che l’avvento del sonoro ci fu nel 1927 con il film Don Giovanni e Lucrezia Borgia e da lì in poi molte cose sarebbero cambiate; mentre molti accoglievano il sonoro con grande entusiasmo, altri erano meno favorevoli a questo cambiamento, tra questi uno dei più grandi oppositori fu proprio Charlie Chaplin.
L’artista inglese infatti, affermava che il linguaggio avrebbe distrutto la natura universale del cinema. I gusti però erano ormai cambiati ma Chaplin con Tempi moderni, creò qualcosa che può essere definito in medias tra il sonoro e il muto, che in questo caso suona come una stoccata al cinema parlato: fece recitare i suoi personaggi senza parole, servendosi della musica soltanto per esprimere rumori aggressivi come quelli dei macchinari o gli ordini del direttore della fabbrica, senza dimenticare la memorabile canzone cantata da Chaplin stesso (fu la prima volta che il pubblico poté udire la voce di Chaplin sul grande schermo).
Tempi moderni fu curato in tutto e per tutto da Charlie Chaplin che qui interpreta Charlot insieme a Paulette Goddard, nel ruolo della monella, con i suoi piedini quasi sempre scalzi. Tra gli altri attori ricordiamo uno dei più grandi collaboratori di Chaplin, ovvero Henry Bergman, e due importanti figure del cinema muto americano: Hank Mann, ideatore dei Keystone cops e Chester Conklin.
Tempi moderni, la trama
Charlot (Charlie Chaplin), ex vagabondo, lavora in un grande complesso industriale di catena di montaggio. Qui, costretto a seguire i ritmi di produzione forsennati, stringe un dado dopo l’altro, finché la velocità aumenta a tal punto da non riuscire a tenere le macchine, e così Charlot viene risucchiato dai macchinari. Quando lo risputano fuori, Charlot è impazzito. Viene così mandato in una casa di cura, ma non appena uscito viene subito arrestato perché ritenuto il leader di una manifestazione operaia nella quale si era trovato casualmente coinvolto.
Dopo un po’ però esce dalla prigione dopo aver sventato un tentativo di evasione. Una volta uscito non riesce a trovare lavoro ma incontra una monella (Paulette Goddard), una giovane vagabonda rimasta senza famiglia, che gira per le strade scalza, vivendo di espedienti. I due si stabiliscono in una catapecchia abbandonata e intanto la monella, sfruttando le sue abilità da ballerina, trova lavoro presso un cabaret dove riesce a far assumere anche Charlot, ma i guai sembrano non essere finiti.
La rappresentazione del proletario in Tempi moderni
Tempi moderni è chiaramente figlio della sua epoca, cioè l’epoca della depressione. A differenza delle pellicole precedenti, Chaplin mostra con un fare quasi documentaristico la vita dei poveri, rinunciando ad eccessivi slanci pittoreschi. Oltre alla condizione del povero, la macchina da presa di Chaplin coglie anche le tensioni politiche di quegli anni, sempre con un fare comico, Charlot si ritrova casualmente a capo di una manifestazione operaia; immagini come queste avrebbero in futuro accresciuto l’ostilità dei conservatori americani nei confronti dell’artista inglese.
Eppure Charlot, nonostante la sfiori più volte, non assume mai politicamente il tema del proletario; ciò che vediamo, è un proletario ancora cieco e mistificato, definito dalla natura immediata dei suoi bisogni e dalla sua alienazione totale nelle mani dei padroni.
Così l’uomo-Charlot si trova ancora al di sotto della presa di coscienza politica: lo sciopero per lui è una catastrofe perché minaccia un uomo accecato dalla fame e non raggiunge mai la condizione operaia se non nel momento in cui il povero e il proletario coincidono sotto i colpi della polizia. Dal punto di vista storico, Charlot riprende l’operaio della Restaurazione, disorientato dagli scioperi, preso dal problema del pane e in tutto questo incapace di adottare insieme agli altri operai una strategia collettiva.
Ma è proprio questa rappresentazione del proletario a creare un’immensa forza rappresentativa. Opere che rappresentano l’operaio già impegnato nella lotta cosciente, inquadrato sotto il partito e la causa socialista, ci informano sì della realtà politica necessaria per un mondo migliore, ma hanno meno forza estetica di ciò che vediamo rappresentato in Tempi moderni.
Vedere qualcuno non vedere è il modo migliore per vedere intensamente ciò che egli non vede
Ma l’uomo-Charlot è alienato anche in altre situazioni, come quando nella sua cella conduce la vita ideale del piccolo borghese, il suo atteggiamento però lo scredita completamente e subito si ritrova nell’alienazione. Così questo uomo, sfugge a tutto e alla fine nell’uomo non investe che l’uomo solo. La sua coscienza politica non inquadrabile, anarchica e discutibile politicamente, rende Tempi moderni e il personaggio di Charlot una delle rappresentazioni della rivoluzione meglio riuscite a livello artistico e cinematografico.
Roberto Carli
[1] Roland Barthes, Miti d’oggi
[2] Jürgen Müller, 100 capolavori del cinema 1915-1959