Quella del Vajont sembra essere una storia come tante, la storia di una delle più grandi costruzioni mai pensate e costruite in Italia.
Per la regia di Renzo Martinelli, nel 2001 viene presentato al pubblico Vajont – la diga del disonore, un film che racconta della sciagura e soprattutto dell’impertinenza e quantomai spietata fame di danaro di chi ha anteposto il proprio benessere alla salvaguardia di vite umane.
Vajont: qualcuno aveva detto di fermarsi
La pellicola racconta in maniera lineare tutte le realtà che formano il totale cosmo presente all’interno della storia: si riesce ad ascoltare dalle opinioni e le magagne dei politici ed alti funzionari alle semplici ed umilissime idee di chi nella valle del Vajont, o nelle zone circostanti, ci è nato, cresciuto e ci vive.
Non manca chiaramente l’antagonista di turno, Tina Merlin, giornalista de l’Unità che è convinta che ci sia qualcosa che la SADE stia nascondendo.
Sembra davvero essere una favola, con tanto di buoni, cattivi e antagonisti ma senza un lieto fine.
È il 1959 quando i lavori di costruzione della diga, detta del Vajont perché situata nella valle così denominata, da parte della SADE stanno per terminare e tutto sembra andare per il meglio.
Si premette che la diga è attualmente in piedi e che dunque l’aspetto strutturale di quest’ultima non ha mai destato alcun problema: i calcoli strutturali portati avanti dagli ingegneri ed ideatori della diga erano perfetti e precisi.
Il vero problema in tale occasione fu quello di non comprendere la reale natura della qualità del terreno dei fianchi delle montagne su cui poggiava la diga.
Infatti nello stesso anno, alla diga vicina di Pontesei, tre milioni di metri cubi si staccano dalla montagna provocando un’onda che costerà la vita ad uno degli operai di guardia quel male augurato giorno.
A questo punto viene chiesta un’opinione al giovane Edoardo Semenza, figlio di uno degli ingegneri progettisti ed ideatori della diga, che mette in guardia tutta l’equipe di lavoro sottolineando che i fianchi del monte Toc (che in dialetto vuol dire marcio, franoso o comunque rende l’idea di di qualcosa che non sia né solido né stabile) erano formati da uno strato di materiale franoso che appena inumidito dall’acqua, che sarebbe stata versata nella diga, avrebbe quasi sicuramente ceduto innescando una frana distruttiva.
Ma la pessimistica analisi del giovane metteva in gioco un posta troppo alta, chiaramente non si parla delle vite umane ma delle spettanze di ogni singolo professionista e dell’acquisto da parete dell’Enel della diga che se avesse davvero conosciuto le condizioni del monte non avrebbe mai firmato nessun contratto, e dunque fu deciso di ascoltare e dare per buona una relazione fornita dal ministero e scritta dal professore del giovare Edoardo, Giorgio Del Piaz considerato massimo esperto delle Dolomiti al mondo.
Nonostante gli avvertimenti e le denunce da parte della giornalista Tina Merlin, interpretata da una fantastica Laura Morante, i lavori continuano, nonostante altri problemi e la comparsa di una faglia sul monte che si estende giorno dopo giorno.
Tutti coloro che avevano rifiutato le tesi di Edoardo Semenza iniziano dopo molti incidenti alla diga ad accorgersi che forse quel giovane non aveva poi tutti i torti e che molto probabilmente stavano davvero correndo un grosso rischio.
In vista di ciò danno luogo a quei esperimenti per comprendere cosa sarebbe potuto accadere se le tesi pessimistiche si fossero verificate fondate: gli esperimenti in scala ridotta resero l’idea di quanto sarebbe potuto accadere ma la tragicità non trapelava da quei modellini in miniatura.
I tecnici, dopo ricerche e suddetti esperimenti, ritennero d’uopo abbassare il livello dell’acqua che ormai già allagava la valle per abbassare il rischio di frane.
Ma questa fu la mossa meno intelligente, tra le tante poco intelligenti, di agire in quanto l’abbassamento dell’acqua non fece altro che aumentare la velocità della frana che nella notte del 9 ottobre del 1963 si staccò definitivamente dal monte Toc provocando un’onda di duecento metri d’altezza devastando i paesi di Erto, Casso ed altre piccole (insignificanti, per alcuni) frazioni.
L’aspetto fondamentale di questo film in particolare è proprio la trama dalla quale non si può prescindere: è il racconto di un episodio, un microcosmo di idee tutto incentrato sulla vita, gli amori, gli interessi di chi ha vissuto quegli anni.
La critica può essere solo ed unicamente mossa nei confronti di chi con ogni compiutezza non si è fidato di chi aveva detto di fermarsi e riflettere.
I protagonisti formano un cast davvero eccezionale dal quale spiccano nomi come Daniel Auteuil, Philippe Leroy, Laura Morante ed altri, anche se i cosìddetti “attori senza nome” regalano un’aria veritiera e realistica alla pellicola.
Quella del Vajont è stata una tragedia annunciata, causata non dall’incompetenza umana ma dalla noncuranza che è ancora peggio, si aveva la compiutezza di quanto potesse accadere ma non ci si è fermati davanti al Dio Danaro.
Corinne Cocca