Il Natale è il periodo dell’anno in cui, come recita un detto mai fuorimoda, “siamo tutti più buoni“. A tale proposito sono tante le storie ambientate nel periodo delle festività invernali che ci rammentano tale perla di saggezza. Su tutte queste però sovrasta Canto di natale, racconto edito da Charles Dickens nel 1843, per la sua capacità di smuovere anche gli animi di chi non è propenso al clima natalizio.
La storia di Canto di natale
Io l’ho letto, e ho pianto come un bambino, ho fatto uno sforzo impossibile per smettere.
(Robert Louis Stevenson su Canto di natale)
Protagonista del racconto (come ben saprà anche chi non l’ha mai letto) è il vecchio finanziere Ebenezer Scrooge. Arido di cuore ed avaro fino al midollo, Scrooge vede nel natale un’occasione per sperperare tempo e denari e con questa ostilità costringe il suo unico impiegato, il povero Bob Cratchit, a lavorare anche nel giorno dedicato a tale festività.
Ma la sera della vigilia Scrooge riceve la visita del fantasma di Jacob Marley, il suo defunto collega. Questi lo avverte che quella stessa notte riceverà la visita di tre spiriti. Il primo è lo spirito del natale passato, il quale fa rivivere a Scrooge i ricordi legati all’infanzia trascorsa in collegio e quelli legati alla sua giovinezza, dove inizia a provare un morboso attaccamento verso il denaro a discapito degli affetti.
Lo spirito del natale presente gli mostra invece le misere condizioni in cui vive l’impiegato Bob e la sua famiglia. Questa, nonostante le condizioni di povertà, riesce ad essere allegra e spensierata anche se uno dei loro figli, il piccolo Tim (Tiny Tim, nella versione originale), ha dei problemi fisici. Lo spirito inoltre mostra al vecchio come stia trascorrendo il natale Fred, il nipote che in mattinata lo aveva invitato a trascorrere la festività assieme a lui salvo poi essere cacciato via con sgarbo.
Infine Scrooge riceve la visita dell’inquietante spirito del natale futuro, il quale gli mostra cosa lo attenderà se non cambierà il suo animo: Bob perderà suo figlio Tim e anche Scrooge morirà, perdendo tutte le ricchezze che aveva accumulato in vita.
Spaventato e disperato, Scrooge all’improvviso si ritrova nel suo letto e capisce che non è tutto perduto. Così decide di cambiare: dona una corposa somma di denaro ad un orfanotrofio, trascorre il giorno del pranzo di natale con Fred e darà un aumento a Bob, con la promessa che aiuterà economicamente la sua famiglia.
Tra fiaba, storia morale e critica sociale
Quando si legge Canto di Natale, di sicuro non si può fare a meno di riscontrare nelle pagine del racconto più di un registro usato da Dickens. Il primo che viene in mente è quello del racconto gotico.
Se si pensa ai personaggi dei fantasmi e ad alcune descrizioni tetre, si capisce subito come Dickens prenda spunto dalle ghost stories, le storie di fantasmi che tradizionalmente le famiglie inglesi si raccontano il giorno di natale. Tuttavia Dickens usa il pretesto della storia fantastica per denunciare le condizioni di miseria e di povertà in cui la maggior parte della popolazione dell’Inghilterra vittoriana riversava. I progressi della rivoluzione industriale e le continue leggi emanate dai governanti per cercare di far fronte all’ “emergenza povertà”, non hanno fatto altro che continuare a peggiorare le condizioni dei più deboli. Basti pensare che lo stesso Dickens aveva lavorato da bambino in una fabbrica e che nel 1834 aveva duramente criticato la decisione di ammassare i poveri in “case lavoro”, costretti a ritmi lavorativi selvaggi e a paghe misere.
A fare da contraltare ci sono i ricchi, tutte quelle persone benestanti che hanno una dimora fissa e sempre la pancia piena e che raramente (anzi, quasi mai!) fanno qualcosa per aiutare il prossimo.
Il vecchio Scrooge ne è l’incarnazione lampante: un uomo che ha vissuto un’infanzia non sempre felice e che fin da giovane ha avuto come unico obiettivo quello di accumulare più denaro possibile, espellendo ogni residuo di empatia e di amore dal suo animo.
Farsi largo a spintoni nelle affollate strade della vita, allontanando da sé qualsiasi simpatia umana, costituiva per Scrooge quello che i buongustai chiamano “il bocconcino del prete”.
L’esatto opposto è naturalmente l’umile impiegato Bob Cratchit. Costretto a sfamare la moglie e i tre figli con un magro stipendio, Bob tuttavia non rimane contagiato dall’avidità e dal desiderio di ricchezza che invece contradistingue il suo capo. Anzi, nonostante le drammatiche condizioni in cui vive, riesce ad essere comunque felice perché ha una famiglia che riesce a trasmettergli calore ed affetto. Una felicità che neanche la malattia di suo figlio Tim, il minore dei tre figli, riesce a scalfire.
(…) Non erano una famiglia particolarmente bella; non erano ben vestiti; le loro scarpe erano tutt’altro che impermeabili; i loro abiti erano inadeguati (…). Ma erano felici, e riconoscenti, e affezionati l’uno all’altro e contenti della festa; (…)
Lo scopo che Dickens si propone con Canto di natale allora non è quello di celebrare l’amore per il prossimo secondo un’ottica cristiana che si esaurisce in quello stesso giorno di festa. Piuttosto lo scrittore crede che lo scopo della festività sia quello di annullare le differenze sociali e di riscoprire l’amore verso il prossimo, anche con gesti inaspettati. Da qui si comprene anche la necessità dell’ happy ending, di una fiducia nei confronti dell’uomo che Dickens non cerca di velare.
Canto di Natale di Topolino: la versione Disney
Nel corso degli anni Canto di natale ha goduto di un gran numero di molte trasposizioni nelle altre arti. Ovviamente è stato soprattutto il cinema ad “abusare” del racconto di Dickens, tanto da offrirci la storia di Scrooge in diverse versioni.
Non si può non citare la versione disneyana del racconto di Dickens, Canto di natale di Topolino (Mickey’s Christmas Carol), dove la parte del vecchio Scrooge è affidata a Paperon de’ Paperoni. A tal proposito sembra che Carl Barks modellò il personaggio del “papero più ricco del mondo” proprio sulla falsariga di Ebenezer Scrooge, tant’è che il nome originale di Paperone è “Scrooge Mcduck“.
La trasposizione cinematografica più recente risale invece al 2009 e si intitola semplicemente A christmas carol. Diretta da Robert Zemeckis, si tratta di una pellicola che vede questa volta Jim Carrey nei panni di Scrooge, ma in vesti totalmente digitalizzate. Proprio l’uso della computer grafica rende ancora più fantastico e magico il clima fiabesco che Dickens aveva cercato di imprimere su carta.
Tra sentiti omaggi e spietate parodie, le molte versioni di Canto di natale che ci sono state offerte dal mondo della settima arte ci fanno pensare a come una storia così lontana nel tempo sia ancora presente nella nostra attualità. Le difficili condizioni economiche e il particolare clima storico in cui stiamo vivendo, ci fanno ancor più capire ed apprezzare il messaggio di speranza e di amore verso il prossimo che Dickens aveva elaborato.
E, come osservò Tiny Tim: “Dio ci benedica, ci benedica tutti!
Ciro Gianluigi Barbato
Bibliografia
C. Dickens – Canto di natale – BUR