Figli di Medea, suonne astipate ‘nta ‘na terra ‘ngrata

Il progetto del corto e il cast

L’associazione EN ART ha recentemente prodotto e presentato domenica 20 dicembre al teatro S.Artema di Moneruscello, Pozzuoli, in provincia di Napoli un lavoro auto-prodotto, la cui direzione è affidata a Mauro Di Rosa, regista del progetto e del cortometraggio “Figli di Medea”.  La presentazione della prima proiezione del corto si è svolta a Pozzuoli in quanto la zona Flegrea di Monteruscello è il luogo in cui sono state girate le scene: le strade, i personaggi, i ruoli sono stati accuratamente studiati nel dettaglio.
Prendono parte al cast personaggi come Gianfranco Terrin, Pasquale Ioffredo, Antonella Cioli ed Enzo Perna, attori e collaboratori del corto che hanno lavorato con entusiasmo, credendo all’importanza del progetto e alla forza del messaggio da cui tutto parte. Il corto è di genere drammatico e dura circa ventisei minuti: i protagonisti sono per lo più i giovani che vivono situazione complicate, in una società difficile.

Figli di Medea, l’illusione di una realtà che non può cambiare

Figli di Medea

Sulla scia del grande progetto cinematografico Gomorra – La serie, il cortometraggio “Figli di Meda”, diretto da Mauro Di Rosa, affronta alcune tematiche simili. La vicenda, dunque, è ambientata in un quartiere, Rione Medea (da cui il titolo del progetto), che fa da sfondo alla trama; alloggi uguali e a tratti desolanti si ripetono quasi a schiera, una zona esclusivamente residenziale, poco trafficata, e che ha l’apparenza di un ghetto urbano (si ricordino le Vele di Scampia).
Nel quartiere, è scoppiata una nuova guerra tra bande di clan opposti e la Camorra coinvolge la gente nelle faide tra famiglie rivali. Uno dei protagonisti, Michele è autore di articoli di un quotidiano on-line presso cui lavora; il ragazzo vorrebbe è in crisi, in quanto vorrebbe scrivere qualcosa di più dei semplici e soliti pezzi che Luigi, il suo caporedattore, continua ad assegnargli: articoli con titoli ad effetto per aumentare lo share e le views sul sito del suo giornale.
Lello, un altro giovane ragazzo che vive nel difficile Rione Medea, decide di comprare un regalo per la ragazza che ama, un gesto semplice ma eloquente per dichiarare i suoi sentimenti.  Invece, Giuseppe ogni notte va in campagna a lavorare con l’intenzione (forse solo illusoria) di poter regalare alla piccola figlia un futuro migliore; la piccola Cristina, nell’illusione della dolce età dell’infanzia, non comprende la realtà in cui vive ma immagina che il suo papà sia un supereroe, che ogni notte salva il mondo.
Soltanto con i sogni della fantasia, Giuseppe comprende finalmente che forse il lavoro che svolge non basterà a regalare alla figlia un avvenire dignitoso, mentre Rossella, una tra le poche protagoniste femminili, torna a casa molto tardi la notte, facendo preoccupare la padre ed insospettire il fratello Michele. Il ragazzo, sollecitato dal padre che gli ha trovato un lavoro in una fabbrica a Vicenza grazie all’aiuto di un parente, comprende la realtà.

Figli di Medea

“Viviamo in una terra ingrata, in un non luogo dove la vita vale tanto poco quanto la morte, dove le speranze si scontrano con la realtà di tutti i giorni, una realtà infangata e perduta, una realtà che non può cambiare e, allora, i sogni dimenticati possono perdere valore.”
Così, le vite dei giovani protagonisti dei “Figli di Medea” si intersecano inconsapevolmente con la realtà che li circonda e la lotta quotidiana non basta a preservarne i sogni e la vita da un destino di una terra sporca e già segnata.

Il messaggio oltre il progetto artistico

Da cosa parte l’interessante progetto “Figli di Medea”? L’autore, Mauro Di Rosa, ha dichiarato che la spinta del lavoro artistico nasce sempre da una necessità, un’esigenza.

“In questo caso era un disagio che porto dentro da molto tempo e cioè quello di vivere in una terra in cui esiste un sistema, che non riguarda in maniera semplicistica quello della criminalità organizzata, ma mi riferisco ad un modus vivendi che è frutto di un abbandono perpetuato per decenni. In determinati quartieri, come quelli di cui parlo nel corto, questa condizione si è tramutata in un’apatia nei confronti della vita stessa, dove esistono adolescenti incapaci di sognare, bambini che emulano adulti che non hanno riferimenti se non la vita di quartiere. Un giorno diventeranno adulti loro stessi e ripetendo le stesse cose dei loro predecessori questo crea un circolo vizioso senza alcuna sfumatura emotiva se non la rassegnazione. La vita resta chiusa allora in quei palazzi grigi che divengono l’unico elemento di riconoscimento. Io che ho vissuto in maniera sia diretta, che indiretta, per anni queste realtà, sentivo il bisogno di dare voce a queste persone, raccontare le loro emozioni, le loro passioni e, soprattutto, le loro incolpevoli difficoltà.”

Figli di Medea

L’idea, come afferma ancora l’autore del corto, nacque quando venne incendiato uno dei simboli della realtà campana, la Città della Scienza. Un luogo così importante, anche per i bambini, era stato distrutto e nessuno ha mai saputo dare un nome, un’immagine o un volto al colpevole dell’incendio. Situazioni incredibili a cui la gente del Napoletano è, ormai, abituata e vive in questa condizione di impotenza, sapendo che accadrò ancora. Ma il vuoto e il silenzio di quella notte buia hanno portato il regista del corto a creare un piccolo testo poetico, inserito del progetto Figli di Medea E rradice mie, da cui si evince la tristezza della consapevolezza di vivere in una terra improduttiva, che purtroppo non ha più molto da offrire.
 ‘E radice mie
‘E radici mie so’ ‘nterrate
‘nta ‘na terra ‘ngrata,
affussate ‘a mane callose e core amare.
Nun vivono e nun morene,
Ma arriciatene a stiente
Comme ll’aneme ‘o priatorio.
E radice mie cercano n’ata terra,
Addo nun se sente ‘o fieto e chiumme,
Addo sarranne furastiere eterne.
Lacrime e mamme, figlie luntane,
Famiglie spartute e suonne astipate,
‘Nzerrate arete a ciente mandate.
Accussì e radice mie sarranne scurdate,
‘Mprignate d’arsenico e collera
Da terra addo so nate…

Pluralità della vita e gente di quartiere

 

Elemento originale di “Figli di Medea” è la “pluralità” della vita di un “rione”. Si raccontano le storie di diversi giovani, le vite intrecciate e fuse in un solo contesto difficile, di vivere in un non luogo, un posto dimenticato in cui, le radici della propria esistenza saranno “scordate”, perché imprigionate in una terra ingrata.
“La vita di uno non è mai di un solo individuo, ma entra nell’insieme di vite che ne costituiscono la comunità. Da qui la scelta di toccare più storie con tematiche differenti. Queste sono prese della vita di tutti i giorni: la difficoltà nel trovare lavoro, l’incomunicabilità, la camorra, la terra dei fuochi, ma sono solo un pretesto che mi occorreva per raccontare il sistema. Il vero tema del corto è l’apatia. Alla fine delle vicende, inoltre, ognuno dei protagonisti subisce un “evento” solo per il fatto di vivere in quel posto, ecco allora che questi divengono delle vittime incolpevoli del contesto sociale. Subiscono, senza sapere ne da chi, ne perché. L’unica arma possibile contro questa apatia è la consapevolezza. Solo conoscendoli veramente questi problemi si ha la forza di affrontarli e combatterli. Finchè si fa finta che essi non esistano questi ci distruggono. Parlarne e renderli evidenti e tangibili, far trovare la gente di fronte ai loro problemi, come uno specchio è il mio modo di combattere questa realtà.”
“Figli di Medea” ci lascia con un finale aperto. Non ci sono soluzioni o risoluzioni, nessun insegnamento o happy end; si sollecita lo spettatore a creare ed immaginare da sé la propria verità, il finale congeniale e più idoneo per ragazzi e famiglie che davvero vivono in realtà disperate e forse senza via d’uscita.
Figli di Medea
Il regista racconta di quanto sia stato bello lentamente ma gradualmente entrare a far parte della gente delle strade di Monteruscello. I ragazzi con le macchine da presa e il cast sono riusciti piano piano a dissipare i primi sospetti e pregiudizi fino ad incuriosire le persone del quartiere, a renderli interessati e partecipi al progetto i “Figli di Medea”, concedendo le proprie abitazioni e attività per le riprese, sostenendo il lavoro di tutti. Si è creato un clima di cooperazione e collaborazione con la gente del quartiere che ha contribuito in modo energetico al corto e Mauro Di Rosa potrà dirsi soddisfatto del risultato raggiunto.
“Felice vedendo i volti sorridenti della troupe. Felice dei ringraziamenti della gente del quartiere, quando credevo di doverli ringraziare io stesso. Felice della disponibilità ricevuta da parte di professionisti come Gianfranco Terrin, Pasquale Ioffredo, Antonella Cioli ed Enzo Perna, Felice di aver dato la possibilità di esordire al cinema con Figli di Medea a giovani attori come Melania Pellino, Antonio Vitale ed Imma Di Lillo. Ma mi  sentivo anche in obbligo con tutti loro. Sentivo il dovere di ripagare tutte queste persone con un lavoro di qualità ed ho faticato tanto affinché questo accadesse. Naturalmente ora la speranza (e il sogno) è quello che “Figli di Medea” possa diventare un lungometraggio, ma personalmente spero che qualcuno, anche una sola persona, possa trarre giovamento da questo lavoro, che sia esso professionale o personale.” 
Valentina Labattaglia