Victor Sjöström: un nome che non può sfuggire al ricordo della storia del cinema. Molti lo conosceranno soprattutto per il suo ruolo come attore nel film del connazionale Ingmar Bergman “il posto delle fragole“, nel quale l’anziano Sjöström interpreta il ruolo del professor Borg.
In realtà Sjöström è stato soprattutto un grande regista, una delle prime figure del cinema svedese, in questo caso muto. In senso generale, il suo apporto al cinema è stato fondamentale, ed oltre ad avere ispirato molte opere successive di registi svedesi e non, basti pensare all’elemento fantastico in Murnau o una su tutte Il settimo sigillo dello stesso Bergman, contribuì alla creazione di un cinema d’avanguardia, portando sullo schermo film e tecniche cinematografiche innovative, oltre a creare un proprio linguaggio recitativo. Uno dei film che meglio esprime il cinema di Sjöström è senza dubbio Il carretto fantasma.
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Il periodo d’oro del cinema svedese
È opportuno ricordare però che il successo del cinema svedese dei primi decenni del novecento non è solo legato al nome di Sjöström, insieme a lui infatti in quegli stessi anni troviamo altri due nomi importanti: George Klercker e Mauritz Stiller. Il cinema svedese di quegli anni rompeva con la tradizione dei confini ristretti del teatro da camera, dilatandolo oltre i confini attraverso anche l’ambientazione in grandi spazi paesaggistici e tenendo alta la tensione narrativa. C’è inoltre un approfondimento dei conflitti psicologici, dai quali è stato allontanato l’alone di spettacolarità in quanto falsificatore dei contenuti.
Probabilmente il cinema svedese di quegli anni è stata una delle più importanti alternative ad Hollywood, sia in termini artistici, sia commerciali: Stiller e Sjöström saranno chiamati proprio ad Hollywood a lavorare, senza ottenere però gli stessi successi. Il periodo d’oro del cinema svedese durò su per giù fino al 1921 quando si verificò il crollo della produzione in seguito anche all’ingresso di altri paesi nel mercato cinematografico.
Il carretto fantasma è tratto dall’omonimo romanzo della connazionale Selma Lagerlöf, premio Nobel per la letteratura. Il romanzo, caratterizzato da una trama piuttosto complicata per una trasposizione cinematografica, fu invece reso nel miglior modo; Sjöström si dedicò soprattutto a rendere gli ambienti e le atmosfere di quel romanzo riuscendo a sorprendere chiunque. Sjöström del resto non era nuovo a quei temi: nel 1913 diresse Ingeborg Holm e anche in quel caso ottenne successo, narrando la storia di una famiglia in miseria.
Il carretto fantasma, la trama
David Holm (Victor Sjöström) è un falegname alcolizzato, brutale con la moglie, che sogna di diventare il carrettiere della morte, che va in giro con il suo carro sgangherato trainato dai cavalli, a raccogliere le anime dei trapassati. Infatti. secondo la leggenda, il suo conducente ogni anno è sostituito dall’anima di un peccatore trapassato la notte di San Silvestro, nel caso specifico, David Holm muore in un cimitero durante una rissa con un gruppo di ubriachi, compagni di scorribande, proprio durante la notte di San Silvestro. Ma in questo viaggio-allucinazione, David si ritroverà a confrontarsi con la sua coscienza, arrivando così a redimere la propria vita sciagurata, riuscendo a salvare anche la moglie.
Un cinema sperimentale e innovativo
Il carretto fantasma è un capolavoro per molti aspetti e Sjöström ha saputo perfettamente adattare il romanzo alla macchina cinematografica, creando un’opera d’avanguardia per quei tempi, dall’altissimo valore sperimentale. Già il saper abbinare l’elemento fantastico e il soprannaturale all’affresco sociale, rende il film molto interessante. Ancor più interessante è la sceneggiatura: flashback realistici della vita di Thomas, si alternano a sequenze di natura sperimentale, una serie di tecniche che saranno in seguito riprese da altri registi e poi perfezionate con l’avanzare del progresso tecnico, in particolar modo, Sjöström fa un grande uso delle sovrimpressioni.
Il carretto fantasma è anche un esercizio di sperimentazione linguistica; una recitazione intensa, fatta di estrema tensione emotiva, di gesti e sguardi profondi, unita ad un certo malessere dovuto alla presenza allusiva e incombente della morte, si fondono per dare vita ad una struttura narrativa magica, complessa, ambigua e simbolica. Una storia che fa da cornice ad un’altra storia, alla quale poi si legano altre storie. Tutto questo elemento fantastico e magico non deve far pensare però che il film sia all’estremo opposto del realismo, anzi, la recitazione di cui si è parlato prima, meno teatrale rispetto a quella tradizionale, l’uso moderato del trucco sui visi degli attori e un approfondimento maggiore della psicologia dei personaggi, fanno de il carretto fantasma un’opera anche realista.
La storia ha una morale sicuramente discutibile e dopo aver indugiato nel moralismo, il finale, soprattutto da un punto di vista contemporaneo, potrebbe sembrare patetico. Ma ciò che colpisce ancora oggi di questo film è il modo in cui Sjöström utilizza gli strumenti cinematografici, quasi come se ci mettesse di fronte ad uno schema fatto di trucchi puerili, in cui il demiurgo (Sjöström), dirige le ombre e i fantasmi di questa storia, mescolando e sovrapponendo immagini, rendendo la storia un’enigma, dove il confine tra realtà e fantasia non è chiaramente visibile. Il carretto fantasma è una rappresentazione sublime di una “leggenda nordica racchiusa tutta in una notte e in un villaggio” (Piero Scaruffi) e resta tutt’oggi uno dei più grandi affreschi cinematografici della storia.
Roberto Carli
Fonti
- Piero Scaruffi, the 1000 best films of all time
- Fernaldo Di Giammatteo, 100 film da salvare, Mondarori, 1978