Nella pittura il paesaggio, a volte oggetto di indagini scientifiche, altre volte una manifestazione dello stato d’animo dell’artista, ha acquisito nel corso dei secoli una rilevanza sempre maggiore.
Dall’ essere un mero espediente della pittura paleocristiana, privo di ogni realismo per poter veicolare simboli religiosi, fino a diventare protagonista assoluto con la land art, il paesaggio è stato oggetto di attenzione nella pittura a partire dal tardo medioevo con la pittura di Giotto, che abbandona il minimalismo, se così può definirsi, che aveva caratterizzato la tradizione precedente, in favore di una pittura ricca di chiaroscuri, prospettive e un ritorno all’imitazione della realtà.
In questa scena, che fa parte del ciclo di affreschi delle storie francescane realizzate nella Basilica di San Francesco d’Assisi, vediamo appunto San Francesco donare il mantello ad un povero.
A colpire immediatamente è la resa del paesaggio, così diversa dalla pittura cristiana, e vengono meno tutti i riferimenti religiosi, dal momento che quel che viene rappresentato è proprio ciò che si vuole rappresentare, non vuole suggerire idee sulla divinità: innanzitutto, la rappresentazione di uno spazio reale in quanto il cielo è azzurro e la città sullo sfondo rappresenta Assisi, e anche se la resa prospettica non è ancora perfetta (San Francesco, il povero e il cavallo non poggiano i piedi direttamente sul terreno ma restano ‘sospesi’) ci si inizia ad allontanare dalla resa simbolica e schematica della tradizione bizantina, e ci troviamo davanti ad un opera che ricerca il naturalismo, come si vede dall’imitazione del cielo azzurro e dalla volontà di rappresentare Assisi, non Gerusalemme.
Con il Rinascimento e la codificazione delle regole per una buona resa prospettica, ogni elemento della scena diventa oggetto d’indagine scientifica e il paesaggio non fa eccezione.
Quel che caratterizza il grande Leonardo e che suggerisce gli studi compiuti dietro un opera dall’effetto sorprendentemente naturale sono lo ‘sfumato’, che tende ad attutire tramite impercettibili gradazioni di colore, le spigolosità del disegno preparatorio e a modellare le forme tramite il chiaro-scuro, e la ‘prospettiva aerea’, in base al quale all’aumentare della distanza rispetto al primo piano diminuisce la nitidezza dei colori. Leonardo, così, conferisce una maggiore chiarezza e definizione di colore e luci alle figure in primo piano, sfumando sempre di più lo sfondo. Esemplificativa in questo senso è “La Vergine delle Rocce” (1483-1486):
Qui vediamo le figure della Madonna, Gesù bambino, San Giovannino e un angelo all’interno di un paesaggio roccioso, minuziosamente definito, proprio come i colori dei quattro personaggi, mentre sullo sfondo, sulla destra della Madonna, si vede il gruppo di rocce dai contorni sempre meno nitidi fino ad avere un verde scuro come colore dominante, e anche il cielo in lontananza si fa sempre più scuro, per effetto della foschia.
Sul lato sinistro invece, lo sfondo è luminoso e lucente, e l’aria si fa più trasparente, in concomitanza con quanto appreso da Leonardo nei suoi studi: man mano che ci si allontana, l’aria si fa meno densa.
Degli insegnamenti di Leonardo sembra risentire molto il pittore veneto Giorgione, che tanto aveva a cuore la resa del paesaggio, come dice proprio il Vasari (tra l’altro il primo ad evidenziare questo legame) nelle Vite: “Aveva veduto Giorgione alcune cose di mano di Lionardo”, e questo lo si evince in particolare ne “La tempesta” (1505-1508), dove vi è una tonalità cromatica sfumata che ricorda quella delle opere di Leonardo, a cui si aggiunge il tonalismo, effetto cromatico che consente alla stesura del colore la definizione di volumi e prospettive.
La resa del paesaggio di Leonardo e quella dei veneziani, tra cui ricordiamo anche Tiziano, influenzerà a tal punto gli artisti da fare del paesaggio un genere pittorico a sé stante a partire dal seicento: l’innovazione di Annibale Carracci sta proprio nell’aver invertito i ruoli gerarchici di scena, è ora il paesaggio ad essere assoluto protagonista, e i personaggi assumono un importanza minore, accessoria, cosa che prima era del paesaggio.
Grazie al rapporto che strinse a Roma col francese Claude Lorrain, maestro del paesaggio definito ‘ideale’ che ha compiuto studi dal vero per poter meglio captare gli effetti della luce nonché dell’influenza dell’atmosfera sugli oggetti e che ha avuto come oggetto principale di interesse la campagna arcadica, anche il napoletano Salvator Rosa si dedicò alla resa del paesaggio, del quale riusciva a cogliere anche i valori estetici: oltre alla resa scientifica e alle sfumature in base al momento del giorno che si voleva rappresentare, c’era l’obiettivo di incantare gli osservatori per la bellezza del paesaggio.
Rossella Cavallo