Cosa si cela dietro l’apparente normalità borghese di una insegnante di pianoforte? Cosa c’è dietro la banalità degli ambienti, delle persone e delle relazioni sociali di una Vienna della bella società, che ama la musica classica senza conoscerla? Perché di fatto, la trama de La pianista, può sembrare all’apparenza molto banale, non sarebbe infatti così rivoluzionario parlare di una storia d’amore tra la professoressa e il suo allievo; ciò che però differenzia questa storia, tratta dal romanzo di Elfriede Jelinek e trasposta cinematograficamente da Michael Haneke, è proprio il personaggio della Pianista, che nelle sue caratteristiche psicologiche e sociali, finisce per generare qualcosa di completamente diverso dalla banalità che potrebbe caratterizzare una storia del genere.
I meriti della riuscita di quest’opera sono da attribuire alle tre figure principali che hanno portato alla nascita del film: Elfriede Jelinek, autrice del romanzo La pianista, la quale è stata successivamente insignita del premio Nobel alla letteratura per le sue capacità di esplorare i cliché sociali, Michael Haneke, che ha reso perfettamente sul grande schermo ciò che esprime il libro e infine l’interprete di Erika Kohut, la pianista, Isabelle Huppert, probabilmente una delle migliori attrici europee dei nostri tempi.
La pianista, la trama
Vienna. L’insegnante di pianoforte Erika Kohut (Isabelle Huppert) ha ormai passato i quaranta anni ma vive ancora con la vecchia madre (Annie Girardot) che, dopo anni, vive ancora nell’ossessione di vedere la bravura della figlia riconosciuta a livello internazionale. La maggior parte della vita di Erika si svolge al conservatorio, dove tiene anche alcune lezioni private ad allievi dotati e non. Erika è una donna severa e austera, molto dura con i suoi allievi e distaccata dai sentimenti umani, che osserva con un’aria di indifferenza e disprezzo; la donna però, ha anche un’esistenza segreta, fatta di esplorazione della sessualità in modi poco comuni, tutto ciò senza dare nell’occhio alla madre o a chiunque essa conosca.
In uno dei soliti concerti privati, tenuto in casa di amici, Erika conosce il giovane ed esuberante Walter Klemmer (Benoit Magimel), musicista di talento che subito si innamora di lei. Quando il ragazzo cerca di entrare al conservatorio, nella sua classe, lei cerca di impedirglielo, ma la bravura del giovane viene riconosciuta dalla commissione. Iniziano così le lezioni tra i due, in cui Walter corteggia Erika. Per Erika però questa volta pare che stia per cambiare qualcosa, inizia a sentire qualcosa che si rifiuta di sentire, ma che la porterà alla fine ad accettarlo e a viverlo conformemente alla sua maniera di sentire.
Ciò che non si vuol vedere e sentire
Pasolini diceva che scandalizzare è un diritto ed essere scandalizzato è un piacere, ma cosa succede quando si rifiuta di essere scandalizzati? Si è dei moralisti. Di fatto, con La pianista, Haneke si pone un grande obiettivo: scandalizzare il pubblico del XXI secolo. È questo un compito difficile? Sicuramente lo è nel momento in cui l’uomo o la donna non decidano di abbandonare la pretesa di onniscienza, credere che la vita segua un unico verso, ignorando la bellezza della complessità di questo mondo. Questo non è una premessa scontata se si pensa che durante la proiezione de La pianista alcune persone in sala di fronte a certe scene ebbero da ridere.
In La pianista ci troviamo di fronte ad una figura femminile che per una serie di motivi, molti legati al rapporto morboso con la madre, riesce a vivere la sessualità solo attraverso il sadomasochismo, che per sua natura è ambivalente: Erika riesce a vivere l’amore solo attraverso il dominio o la sottomissione. Da qui deriva la sua incapacità e anche il suo distacco da una normale vita affettiva: è una donna fredda, a tratti sembra portatrice di un vuoto immenso. L’unico sentimento che riesce a provare oltre l’indifferenza è un rapporto di amore – odio verso la madre e verso Walter.
Non si tratta di giudicare, condannare o esaltare la vita sessuale di una donna. La pianista è un’opera neutrale, non vuole spiegare la storia da un punto di vista patologica o morale, ma vuole mostrare, farci vedere la natura umana nella sua diversità. In quest’ottica, la regista di Haneke risponde a queste necessità caratterizzandosi per una regia precisa, fredda, impietosa. Anche i colori sono freddi, così com’è freddo l’espressione di Isabelle Huppert, che riesce ad essere impassibile di fronte alla macchina da presa. Una serie di elementi che raggiungono il fine del distacco assoluto dell’intenzione di giudicare ciò che vediamo. Provare a giudicare questo film, sarebbe scorretto perché i giudizi andrebbero tutti in un’unica direzione, oltre al fatto che significherebbe non aver capito nulla delle intenzioni del regista.
È riuscito il regista austriaco a scandalizzare? Questa è una domanda soggettiva, ma non si può negare la sua bravura nell’aver rappresentato, in armonia con lo spirito del romanzo, una storia così vera, tragica e crudele, mettendoci di fronte alla complessità della natura umana, che spesso ci rifiutiamo di vedere ma che in realtà esiste. La pianista è un’opera fredda che scotta.
Roberto Carli