Le vergini suicide: quando le convenzioni sociali diventano una gabbia opprimente, quando l’unica cosa che si può fare è gridare… ha ancora senso vivere?
La trama di “Le vergini suicide”
In un tipico sobborgo americano degli anni ’60 la vita quotidiana viene “sconvolta” dal tentato suicidio della giovane Cecile Lisbon. Gli avvenimenti successivi a questo tragico evento che coinvolgeranno la famiglia Lisbon, e in particolare le cinque sorelle, verranno analizzati con perizia dallo sguardo attento di alcuni ragazzi del quartiere ossessionati dalle ragazze e soprattutto dal voler scoprire la verità celata dietro questo grande mistero.
Le vergini suicide: la purezza non è mai stata così sporca
La scrittura di Jeffrey Eugenides, autore di questo romanzo, tocca con estrema delicatezza corde non convenzionali, suonando una melodia malinconica che invita il lettore in un mondo fatto di apparenze e di menzogne.
La vita della famiglia Lisbon, votata in via “ufficiosa” al matriarcato, è avvinta in una prigione di affettazioni e apparenze che vengono tessute con abilità dalla signora Lisbon, donna bigotta e autoritaria che non lascia alcuna libertà alle figlie, costrette a vivere la loro adolescenza con un groppo in gola e con tanta vergogna di sé e della propria giovinezza.
L’opera di Eugenides si concentra sulla vita adolescenziale, osservata da lontano, e con una lente di ingrandimento, da un gruppo di ragazzi ormai cresciuti; la loro è una visione distorta ed effimera che non lascia mai trasparire una certezza. Le sorelle Lisbon vengono considerate quasi come se fossero creature eteree, non appartenenti al mondo dei comuni mortali, “cinque sosia con i capelli biondi e le guance rotonde”:
Statura bassa, glutei rotondi nei jeans, guance pienotte che evocavano come un’eco quella morbidezza posteriore. I loro visi, le volte che riuscivamo a posarvi lo sguardo, ci colpivano come una sorta di rivelazione impudica, quasi fossimo avvezzi a vedere soltanto donne coperte da un velo. Nessuno sapeva spiegarsi il fatto che i Lisbon avessero messo al mondo quelle splendide creature.
Tuttavia, se tale considerazione appare quasi una verità assoluta all’inizio del romanzo, con il susseguirsi delle pagine è possibile notare come tale pensiero assuma tratti indistinti con il proseguimento della storia. La prima, indelebile, macchia che avvolge la figura delle cinque ragazze viene versata proprio dai bianchi polsi della minore delle figlie Lisbon: Cecilia.
Il suo tentato suicidio rappresenta solo l’esordio di un’apocalisse che vedrà la sua fine con la morte delle ragazze. Eugenides cosparge il romanzo con piccoli dettagli che se da un lato lasciano percepire che la vita della “perfetta famiglia americana” non è tutta rose e fiore, dall’altra testimonia una grande verità: per quanto si possa apparire puri e candidi, nel profondo vi si può sempre annidare del marcio, che lentamente divorerà l’involucro di perfezione di cui ci si veste.
Mentre per le fanciulle tali segni lasciano trasparire la mancanza di una libertà privata e soprattutto l’umanità di cui sono investite, per la signora Lisbon essi diverranno l’emblema stesso del fallimento in quanto madre e soprattutto in quanto perfetta casalinga americana e timorata di Dio.
Il tentato suicidio di Cecilia, che apre l’intero romanzo, ha quindi il compito importante di rivelare le prime, indelebili, macchie che segnano l’inizio del mutamento delle ragazze; peculiare la descrizione della scena del “delitto”, che mette in evidenza oggetti comunissimi che assumono tuttavia un ruolo ed una simbologia importantissima:
C’era del sangue sul tappetino, e il rasoio del signor Lisbon chiazzava l’acqua del water in cui era immerso.
Macchie, gocce di sangue, sporco: tutto ciò non fa altro che sottintendere come l’animo di queste “candide” fanciulle (le vergini del titolo) sia in realtà già segnato da una profonda lacerazione da cui sgorga, proprio come il sangue, un grido di disperazione, votato alla ricerca di una via d’uscita dall’amara condizione in cui si trovano le cinque sorelle.
Emblema di questo lamento soffocato è Lux, quattordicenne già donna, che vive il pieno della sua fase ribelle proprio nelle righe di questo romanzo. A questo personaggio, sogno erotico dei giovani narratori, è affidato un arduo compito, quello di rappresentare con la gestualità del suo corpo la grande volontà di gridare al mondo la propria libertà.
Il fatto stesso che ella si conceda così facilmente non è altro che una vera e propria affermazione di indipendenza: la vita le è stata tolta lentamente, ma il corpo è ancora suo e può farne quello che vuole. Probabilmente è proprio questo il pensiero che sfiora le mente delle altre sorelle, quando nell’epilogo del romanzo decidono di privarsi della vita: affermazione di una libertà quasi ultra-terrena (quasi a confermare la visione/ideologizzazione dei giovani adulatori e narratori).
Una storia di donne
Nonostante l’ossessione giovanile dei narratori sia una delle tematiche fondamentali e trainanti dell’intera vicenda narrativa, non si può non considerare quest’opera una storia di donne. La lente di ingrandimento che indaga sugli avvenimenti di quell’estate è tutta dedita alle sei figure femminili di quel piccolo microcosmo.
L’occhio cade sempre sui minimi dettagli, un’analisi profonda e maniacale di quello strano mondo femminile. In tale contesto gli uomini assumono tratti confusi, basti pensare al signor Lisbon, mai presente per davvero sulla “scena del crimine”, quasi un estraneo privo di qualsivoglia legame con la sua famiglia di donne; d’altronde dopo il tentato suicidio di Cecilia, egli non salirà sull’autombulanza con la moglie, ma seguirà “il corteo” in auto:
La signora Lisbon prese posto nel retro dell’ambulanza; il marito invece la seguì a bordo della station wagon.
E, come anticipato in precedenza, non rappresenta affatto l’autorità familiare, a “sottrargli” quel ruolo è proprio la moglie. Del resto persino gli stessi narratori non vengono mai delineati con certezza, ombre di sé stessi che cercano di far luce su un passato e su delle figure ormai consunte rappresentano soltanto una passione giovanile ormai destinata alla rassegnazione, privi di una vera e propria personalità prendono vita dalle fanciulle protagoniste del loro erotismo adolescenziale, quella stessa vita che le ragazze rifiuteranno.
I biondi capelli, le rosee guance, la vanità femminile, i tampax nel bagno delle ragazze, Lux che prende il sole nel vialetto, l’abito da sposa di Cecilia, tutti questi dettagli, tutti questi piccoli indizi lasciati in giro dall’autore, il tutto riconduce ad un’unica verità, esalata dalla flebile voce di Cecilia sin dall’inizio del romanzo e che spiega con grande chiarezza la dinamica che investe le giovani ragazze Lisbon. Giunta in ospedale dopo essersi tagliata i polsi il dottore le chiede:
«Che ci fai qui, piccola? Non puoi sapere quant’è brutta la vita, giovane come sei». Fu allora che Cecilia espresse verbalmente ciò che doveva rappresentare l’unica parvenza di una lettera d’addio, superflua, tra l’altro, dato che non era morta. «Dottore» disse, «è evidente che lei non è mai stato una ragazza di tredici anni.»
“Lei non è mai stato una ragazza di tredici anni”, non è forse chiaro? Tutte loro sono state delle ragazze di tredici anni, tutte loro hanno affrontato lo stesso tragico destino, tutte loro vivono la stessa, soffocante condizione: sono ragazze, e questo viene quasi visto come un peccato dalla loro stessa madre; un peccato così grave, così profondo, da macchiare le loro anime, disperate nella ricerca di una vita, una vera vita, a cui aggrapparsi, ricercata nella morta del corpo.
Raffaele Esposito
Fonti: Jeffrey Eugenides, Le vergini suicide
Fonti Immagini: Immagine 1, Immagine 2, Immagine 3, Immagine 4.