Chi abbia seguito, anche solo per pochi episodi, Penny Dreadful, serie TV del 2014 creata dalla mente di John Logan, avrà almeno un po’ di familiarità con il reticolo di riferimenti letterari – alcuni palesi, altri più nascosti – alla letteratura dell’Ottocento, inglese e non solo. In effetti la volontà di ripescare nel “torbido” della letteratura ottocentesca è manifesto fin dal titolo. Probabilmente lo avrete già letto altrove, ma repetita iuvant: i penny dreadful erano, al pari dei feuilletons, pubblicazioni periodiche di epoca vittoriana a basso costo (un penny, appunto), ma differivano da questi per gli argomenti, incentrati sul sangue, la violenza e tematiche spesso leggendarie ed oscure. Un penny dreadful viene esplicitamente citato dal professor Van Helsing nella puntata 1×06: si tratta di “Varney il vampiro”, un lungo romanzo horror che ha reso celebri molti topoi sui vampiri presenti tutt’ora nell’immaginario collettivo (quelli che non sono stati soppiantati da Twilight, s’intende).
Con questo articolo vi proponiamo un viaggio nella letteratura di Penny Dreadful – non quella “da due soldi” e neppure quella più evidente, ossia i legami tra i protagonisti e le opere letterarie da cui vengono presi in prestito – intendiamo la poesia del romanticismo e del decadentismo a cui la serie deve gran parte della sua splendide ed immaginifiche suggestioni.
Indice dell'articolo
Wordsworth e Shelley: l’innocenza, il caos e la morte
Nella prima stagione della serie ricorre più di una citazione a due grandi poeti romantici inglesi, William Wordsworth e Percy Bysshe Shelley. Vediamo perché disturbare la quiete di questi due poeti.
Il primo riferimento esplicito è nell’episodio 1×02: Vanessa nota che il dottor Victor Frankenstein ha con sé, oltre ai suoi strumenti da lavoro, una copia delle Lyrical Ballads di Wordsworth e Coleridge.
“Poesia romantica, dottore?”
“Non si vive solo nel mondo empirico. Serve anche l’effimero… o perché vivere?”
Vanessa inizia allora a citare l’ultima strofa di Lines Written in Early Spring di Wordsworth, e Victor completa i suoi versi.
If this belief from Heaven be sent,
If such be Nature’s Holy plan,
Have I not reason to lament
what man has made a man? [1]
Ad un orecchio superficiale, il riferimento a Wordsworth può apparire totalmente fuori contesto: in questa poesia si magnifica l’armonia e la semplicità della Natura, la sua capacità di infondere un profondo senso di piacere nell’uomo e di farlo riflettere. Proprio quest’armoniosità della natura – che in Penny Dreadful è del tutto assente al di fuori dei sogni di pace dei protagonisti – viene però contrapposta a qualcosa che l’uomo ha fatto a se stesso: Wordsworth è consapevole che, se pure uno stato di natura alla maniera di Rousseau, in cui l’uomo era un buon selvaggio, è mai esistito, quella condizione originaria è ormai perduta per sempre. Sta in quest’ultima strofa, magicamente inserita nell’episodio, uno dei temi principali di Penny Dreadful: cosa è capace di fare l’uomo, o meglio fin dove osa spingersi. Se consideriamo che, nel recitare questi versi, Victor Frankenstein sta analizzando il corpo di un vampiro con dei geroglifici incisi sulla pelle e ha ridato vita non ad una, ma a due creature… la risposta è che l’uomo osa spingersi ben oltre ciò che “il sacro disegno della Natura” aveva previsto. La conseguenza è l’inevitabile rottura dell’equilibrio: tutto diventa caos.
In questo stesso contesto, quasi una reminiscenza di Blake e delle sue “Songs of Innocence” e “Songs of experience“, possiamo inserire l’altra citazione a Wordsworth, sempre legata al personaggio di Victor: all’inizio dell’episodio 1×03 assistiamo infatti ad uno spezzone della sua infanzia, più o meno spensierata fino alla morte della madre. Non poteva mancare un omaggio visivo alla più celebre poesia di Wordsworth, Daffodils: il bambino che diverrà il dottor Frankenstein corre gioioso in un campo di narcisi.
Non di Daffodils, ma alcuni versi di Intimations of Immortality aprono l’episodio e ci proiettano direttamente nei pensieri di Victor, nel suo tormento:
There was a time when meadow, grove, and stream,
The earth, and every common sight,
To me did seem
Apparell’d in celestial light,
The glory and the freshness of a dream.
It is not now as it hath been of yore;—
Turn wheresoe’er I may,
By night or day,
The things which I have seen I now can see no more. [2]
La perdita dell’innocenza, il vagheggiamento di un originario equilibrio per sempre perduto si scontra con la squallida realtà quotidiana, che in Penny Dreadful non è mai banale o monotona, ma infestata da demoni; il demone di Victor è la sua stessa vocazione scientifica, in perfetta linea con ciò che già Mary Shelley aveva inteso trasmettere nel suo romanzo. La spaventosa modernità della scienza e della tecnica, delle città industrializzate che cancellano il paesaggio naturale, fil rouge della letteratura inglese romantica e vittoriana (dai due “Chimney sweeper” di Blake allo sfruttamento infantile denunciato nei romanzi di Dickens), traspare dall’ambientazione di Penny Dreadful.
Non possiamo dimenticare, poi, il riferimento che lo stesso Victor Frankenstein fa, nella puntata 1×06, all’Adonais di Shelley. Sì, un personaggio uscito dalla penna di Mary Shelley cita il verso di una poesia del marito di lei. Chapeau.
L’opera di Shelley è dedicata alla morte dell’amico e poeta John Keats, consumato dalla tisi a meno di 26 anni: si tratta di un’elegia pastorale in cui l’io lirico, dopo un primo momento di acuta disperazione, riflette sulla morte e si rende conto che lo spirito del suo amico si trova probabilmente in una condizione molto più beata della sua, finalmente al riparo dal dolore e dalla sofferenza, tutt’uno con la Natura. Il tema della morte tormenta Victor, che persegue come unico obiettivo quello di sconfiggerla; ma le sue Creature, proprio perché riportate alla vita, soffrono profondamente e lui ne è l’unico responsabile.
No more let life divide what death can join together.
Cos’è che la vita divide e invece la morte può tenere insieme? Nel caso di Penny Dreadful, verrebbe da rispondere: i legami affettivi. Vanessa, Victor, Sir Malcolm, Dorian, ciascuno a suo modo, sono così presi dalla guerra contro i propri demoni che solo la morte, definitiva o meno, può aprire lo spiraglio di una speranza, la costruzione di un legame. Il rapporto di Victor con le sue Creature è emblematico al riguardo. Persino Ethan ama, sì, ma una donna che sta per morire: chi non ama una causa persa?
John Clare: mostro, Creatura, poeta
Nella seconda stagione, uno dei personaggi più riusciti è senza dubbio la Creatura, che prende il nome di un poeta romantico poco conosciuto in Italia, John Clare. Eppure le parole di Clare caratterizzano così bene il “primogenito” di Victor da permettergli di descrivere se stesso citando una sua poesia, di cui vi proponiamo qualche verso e il video della scena:
Even the dearest that I loved the best
Are strange—nay, rather, stranger than the rest.
La Creatura racconta qualcosa della storia del poeta, il motivo per cui lo sente così vicino a sé: John Clare era così basso da essere considerato mostruoso; forse per questo, spiega, aveva una predilezione per i reietti, gli emarginati, persino gli oggetti rotti… “io sono – ma cosa sono, a nessuno importa”.
Nonostante le sue fattezze e il disprezzo generale, la Creatura è, esiste, vive e soffre come – e forse più – di tutti gli altri. La sua sensibilità e la sua riflessività lo rendono, anzi, probabilmente l’essere più umano tra i personaggi di Penny Dreadful; di sicuro è quello che ci spiega con più chiarezza il perché… di tutto questo sfoggio di cultura. In breve, perché guardare una serie in cui per buona parte del tempo si ammazzano e nel tempo restante leggono poesie? Perché, in fondo, la storia è sempre la stessa: l’equilibrio contro il caos. E sembra che solo attraverso la poesia si riesca a trovare un po’ di pace, anche se per pochi istanti.
Le suggestioni decadenti di Penny Dreadful
Passiamo adesso all’analisi meno letterale e più aperta della nostra ricerca: la fusione tra letteratura romantica e gotica riesce perfettamente, ma non si può ignorare che parte dell’atmosfera creata da Penny Dreadful affondi le sue radici nella letteratura del decadentismo. Certo, il fatto che ci sia niente di meno che Dorian Gray fa sembrare superflua questa riflessione, ma se andiamo un po’ più a fondo possiamo scovare più di un topos caro a Baudelaire, Huysmans e persino, nella letteratura italiana, a Pascoli e D’Annunzio.
Diverse scene sono dedicate a Dorian che, in una serra di splendidi fiori, riflette sulla caducità della bellezza. Ma il decadentismo non si è fermato a questo: i fiori non affascinano più solo per la metafora immediatamente insita nel loro rapido sfiorire, ma sono colti nei loro aspetti più oscuri; già in Shelley (in “The sensitive plant”) inizia a diffondersi la descrizione di una vegetazione malata, mostruosa, oscena e velenosa, impura e corrotta. Senza dimenticare che il titolo della raccolta più celebre di Baudelaire è proprio “i fiori del male”, citiamo qui alcuni versi di una poesia di Pascoli, la Digitale Purpurea, in cui un fiore velenoso e sanguigno esercita letteralmente il fascino del proibito. Questo fascino in Penny Dreadful è perfettamente esemplificato da Dorian: parlando di un fiore raro, Vanessa gli chiede: “è velenoso?“, al che lui risponde “come tutte le cose belle, spero che lo sia.“
Ché si diceva: il fiore ha come un miele
che inebria l’aria; un suo vapor che bagna
l’anima d’un oblìo dolce e crudele.
[…] nel cuore, il languido fermento
d’un sogno che notturno arse e che s’era
all’alba, nell’ignara anima, spento.
Nella poesia di Pascoli, il fiore velenoso è associato alla trasgressione – di cui non sappiamo nulla – di una delle fanciulle, che alla fine pare condannata alla morte. Questa poesia ci interessa per un altro topos letterario sfruttato, per restare in terra italica, anche da D’Annunzio: la contrapposizione tra una donna bionda, magari vestita di bianco, candida e pura, e una donna bruna, affascinante e misteriosa ma pericolosa, insomma la femme fatale che Eva Green interpreta tanto bene.
Siedono. L’una guarda l’altra. L’una
esile e bionda, semplice edi vesti
e di sguardi; ma l’altra, esile e bruna,
l’altra… i due occhi semplici e modesti
fissan gli altri due ch’ardono.
Nel caso di Penny Dreadful, certo, la “purezza” di Mina da un certo punto in poi è solo apparente, ma nell’infanzia delle due ragazze è quasi impossibile non pensare a questo topos che, per quanto nella “vita vera” possa apparire un cliché fastidioso e persino ridicolo, a livello letterario e visivo continua ad affascinare.
Queste sono le suggestioni letterarie che più hanno toccato la sensibilità di chi scrive, ma certamente ci sarebbero almeno altri dieci, venti autori da citare, da Shakespeare a Leroux. Voi a quali opere avete pensato quando avete guardato Penny Dreadful?
Maria Fiorella Suozzo
Traduzioni (come riportate nella versione italiana di Penny dreadful)
[1] Se questa certezza è inviata dal cielo, se tale è il sacro disegno della Natura, non ho forse ragione di dolermi di ciò che l’uomo ha fatto dell’uomo?
[2] C’era un tempo in cui prato, bosco e ruscello, la terra e ogni essere comune a me sembravano ornati da una luce celestiale, la gloria e la freschezza di un sogno. Non è più com’era prima; mi giro ovunque posso, di giorno o di notte e cose che ho visto… ora non posso più vederle.
Fonti
www.bartleby.com
www.poetryfoundation.org
La letteratura, vol.5, Baldi, Giusso, Razetti, Zaccaria per la parte relativa al decadentismo