La frugalità dell’esistenza si esprime sulle note della tradizionale melodia del Natale, della quale portavoce assoluto è una figura d’ombra, che si aggira per i vicoli annunciando l’arrivo delle feste: ‘o zampugnaro.
Lacreme napulitane
Napoli ha un gusto tipicamente singolare di vivere il Natale: il mormorio delle strade affollate dalle bancarelle dei mercatini, le luci scintillanti delle vetrine e delle luminarie; nell’aria l’odore di cannella e di miele si mescola a quello de mare. L’animo di Napoli vive la sua contraddizione anche durante le feste di Natale: il brulicare caotico del mondo esterno è in contrasto con l’atmosfera familiare dell’universo interno, fatto di nostalgia e drammi quotidiani, che accompagnano la grande abbuffata natalizia.
Per i napoletani il Natale diventa l’occasione per manifestare la malinconica allegria di questo popolo dal grande cuore e dal passato di altrettante sofferenze.
Testimonianze di tale spirito napoletano del Natale provengono dal repertorio musicale dedicato alla ricorrenza: da “Lacreme napulitane”, una canzone ambientata la vigilia di Natale nella quale il protagonista si fa rappresentante del monito hugoniano «Signori, l’umanità soffre»; al proverbio «Natale è tutt scorza e Pasca tutta mullica» e alla filastrocca «Mo vene Natale/ E nun tengo denaro / Me fumo una pippa / E me vaco a cucca». D’altronde, Natale in casa Cupiello non è forse l’emblema di questo spirito tragicomico del Natale napoletano?
O Zampugnaro: la missione del Natale
Dopo il tepore della festa di San Martino, l’aria comincia a diventare più fredda e tagliente: le montagne si tingono di bianco e i camini disegnano scie di fumo nel cielo. Siamo agli inizi di Dicembre e per le strade della città cominciano a farsi udire i zampognari, che con le loro novene ci ricordano che il Natale è alle porte.
‘O zampugnaro è una figura antichissima: il suonatore di zampogna abitava i paesi di montagna e scendeva in città pochi giorni prima della ricorrenza dell’Immacolata Concezione, intonando melodie natalizie per guadagnarsi da vivere con le offerte degli ascoltatori. Un artista mistico, che viveva in solitaria contemplazione con la natura, che lavorava di notte e al freddo, lontano dal calore della famiglia.
Si trattava di un vero e proprio mestiere, che veniva tramandato di padre in figlio. Imparare a suonare la zampogna costituiva un rituale di iniziazione, che permetteva al figlio di seguire le orme paterne, una volta raggiunta l’età prestabilita.
Durante il periodo della novena, il mondo bucolico dello zampugnaro si fondeva con gli usi degli abitanti di città: vestito con giubbotto di montone, cappello di velluto decorato con nastri, le zaricchie ai piedi e un nero mantello, si aggirava per le strade suonando la zampogna e mescolandosi alla folla.
Come un vero e proprio pellegrino, ‘o zampugnaro giungeva alla meta munito della sola zampogna, procacciandosi di suonare novene di fronte alla Sacra Rappresentazione, sperando di trovare riparo presso qualche famiglia. Di solito, i zampognari venivano accettati di buon grado dagli abitanti, i quali erano soliti offrire loro fritture e vino, per poi continuare a festeggiare al suon di zampogna.
L’arrivo degli zampognari era un momento di grande attesa per i cittadini, i quali sentivano viva l’atmosfera del Natale solo quando vedevano questi uomini di montagna vagare per i vicoli della città:
Alle cantonate o sboccature delle strade, sui lastricati di Toledo e di Chiaia, ne’ chiassuoli e ronchi de’ più fangosi quartieri della capitale, su per le salite di Montecalvario o per l’erta del colle S. Martino, ne’ crocicchi di Porto e del Pendino, per le piazzette del Mercato, su pe’ palagi doviziosi, come nelle botteghe, e finanche nelle canove vedi salire e scendere continuamente l’un dopo l’altro il zampognaro e il cennammellaro.
La missione dello zampognaro era quella di tenere acceso lo spirito del Natale: i fanciulli, al loro arrivo, si entusiasmavano per gli addobbi, i regali, il presepe, le riunioni di famiglia in occasione del cenone della vigilia e ricordavano che quelle novene avevano lo scopo di celebrare la nascita del Salvatore. Sacro e Profano in perfetta sintonia grazie allo zampugnaro.
La tradizionale presenza dello zampugnaro a Napoli non è cambiata di molto: da Tu scendi dalle stelle a Quanno nascette Ninno, le nenie natalizie sono la colonna sonora di intere settimane di festa. ‘O zampugnaro è diventato col tempo l’immagine stessa del Natale, tanto che la sua presenza è d’obbligo nel presepe napoletano.
‘O zampugnaro deve la sua fama al Regno di Napoli, quando a metà del Settecento, il prelato Alfonso Maria de’ Liguori utilizzò una zampogna gigante per insegnare ai lazzari i fondamenti del cristianesimo attraverso semplici preghiere cantate.
Tuttavia, ‘o zampugnaro sembra aver perso l’antica aurea che lo caratterizzava; vedere per strada questi suonatori abbigliati in maniera eccentrica, spesso, genera fastidio nel passante. Eppure, come si può resistere al suono antico della zampogna, capace di rievocare il ricordo delle feste nei momenti della fanciullezza, quando si guardava il cielo la notte della Vigilia per scorgere una slitta volante. Il Natale era più magico e misterioso…
‘O zampugnaro è lo spirito del Natale passato, che viene a farci visita ogni anno, con il tentativo di riportare in auge in vero senso di questa ricorrenza: aggirarsi per il traffico cittadino vestito con gli abiti del montanaro dovrebbe ricordarci l’umiltà e la genuinità del Natale.
L’antico strumento della zampogna: cenni storici e leggende
La zampogna è uno strumento musicale tipico dell’Italia centrale e meridionale. Ritenuta dagli antichi una trasformazione del flauto di Pan, le prime notizie sulla zampogna risalgono al periodo della Roma Imperiale. Nel De vita Cesarum, Svetonio sostiene che Nerone sapeva fare l’utricularius, ossia un suonatore di utriculus, la zampogna.
Oltre a testimonianze letterarie sull’uso della zampogna, circolava una leggenda riguardante Giulio Cesare, il quale, impegnato nella campagna di conquista della Britannia, riuscì a sconfiggere il nemico grazie al suono della zampogna. Il legame della zampogna con un certo misticismo religioso può essere attestato da un’altra leggenda, principalmente nota tra i boemi.
Si racconta che in Boemia viveva un giovane di nome Zvamba. Egli girovagava per le feste e le fiere di ogni villaggio, allietando la gente con il suono della sua cornamusa, dalla quale mai si separava. Un giorno, dopo aver suonato per ore in un’osteria chiese in cambio una moneta d’oro e il bacio di una donna, ma l’oste lo cacciò. Zvamba maledisse Dio e in sonno ricevette la visita del demonio, il quale lo circondò di ricchezza e belle donne. Ma al suo risveglio si vide circondato dagli animali più immondi e, pregando il Signore per il suo peccato, questi sparirono. Zvamba vide una chiesetta in un bosco vicino. Vi entrò, depose sull’altare la sua cornamusa per ringraziare Dio ed andò via. Lo strumento è ancora là, e, quando il vento ne gonfia la sacca, escono dalla chiesetta antichissime melodie popolari.
Se comandasse lo zampognaro
che scende per il viale,
sai che cosa direbbe
il giorno di Natale?
“Voglio che in ogni casa
spunti dal pavimento
un albero fiorito
di stelle d’oro e d’argento”.
[…]
(dalla poesia Lo zampognaro di Gianni Rodari)
Giovannina Molaro
Bibliografia:
Usi e costumi di Napoli e contorni descritti e dipinti, a cura di Francesco de Bourcard, Ed. Stab. tip. di G. Nobile, 1866
Sitografia: