Afrodite: la dea della bellezza e dell’amore

Afrodite (gr. ᾿Αϕροδίτη) era la divinità greca dell’amore, inteso anche come attrazione delle varie parti dell’Universo tra loro; simboleggia l’istinto naturale di fecondazione e di generazione e sotto questo aspetto è simile all’Ishtar babilonese e all’Astarte fenicia. L’arte antica la raffigurò nelle più varie specie. Il tipo originario orientale e fenicio era nudo, mentre nell’arte arcaica greca appare panneggiato fino a tutto il 5° sec. a.C., talvolta distinguibile da altre figure per mezzo di un fiore, un diadema, una colomba.

Afrodite: bellezza e amore

Afrodite, che i Romani identificarono con Venere, era, secondo Omero, figlia di Zeus e della ninfa Dione. Invece, secondo Esiodo, ella era nata in primavera dalla spuma del mare fecondata dai genitali di Urano che Cronos aveva scagliato in mare dopo la ribellione contro il padre, onde il nome Afrodite, dalla parola greca afros, la spuma, e l’appellativo di Urania perché ancora figlia del Cielo. Appena emersa dalle onde sopra una conchiglia di madreperla, Zefiro l’aveva spinta sulla riva dell’isola di Cipro, onde gli appellativi di Anadiomene (l’emersa) e di Ciprigna.

All’inizio ella era solamente la dea della luce; ma poiché la luce fa meglio risaltare la beltà, divenne presto la dea della bellezza. Infine, poiché tutti amano le cose belle, divenne la dea dell’amore.

Appena Afrodite mosse i primi passi sulla spiaggia dell’isola, i fiori sbocciarono sotto i suoi piedi delicati; e subito le vennero incontro Le Ore, le Càriti, Peito (la persuasione), Potos (il desiderio) e Himeros (la brama) per accoglierla e vestirla magnificamente. Infine, dal cielo venne calato un carro gemmato, tirato da due colombe: ella così salì al cielo.

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“Nascita di Venere” di Sandro Botticelli. Galleria degli Uffizi-Firenze.

Il giudizio di Paride

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“Il giudizio di Paride”, dipinto da Enrique Simonet (1904)

Quando Afrodite salì sull’Olimpo, tutti gli dei si alzarono in piedi e applaudirono a quello splendore. Due sole dee non si unirono a quell’applauso: Hera ed Atena, avvelenate dall’invidia.

Qualche tempo dopo, si celebrava sul monte Pelio il matrimonio della nereide Teti con Peleo, re dei Mirmidoni a Ftia. Tutti gli dei erano stati invitati, tranne Eris, la discordia. Eris, per vendicarsi, fece cadere dall’alto sulla mensa una magnifica mela d’oro con su scritto “alla più bella”. Hera subito l’arraffò, ma Afrodite e Atena la reclamarono con grida. Zeus allora ordinò che l’arbitro della questione fosse il più bello degli uomini, Paride, dinanzi al quale Hermes doveva accompagnare le tre contendenti. Paride era il figlio di Priamo, re di Troia, e in quel momento si trovava sul monte Ida. Hermes condusse lì le tre dee e spiegò le circostanze a Paride.

Paride non sapeva quale di esse scegliere poiché erano tutt’e tre belle. Le tre dee, allora, gli fecero una promessa a testa: Atena gli avrebbe dato la sapienza; Hera il dominio dell’Asia; e Afrodite la donna più bella del mondo come sposa. Paride consegnò il pomo ad Afrodite, e questo giudizio ebbe conseguenze funeste perché da esso derivò la guerra di Troia.

Il mito di Adone

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Paolo Veronese, “Venere e Adone”, olio su tela, Madrid, Museo del Prado.

Adone era figlio di Cinira (re di Cipro e sacerdote di Afrodite) e della figlia di lui, Mirra, la quale, per sfuggire al suo crudele destino (amore passionale per il padre) aveva ottenuto dagli dei di essere mutata nell’albero della mirra, la pianta araba che stilla lacrime di resina, di un amaro profumo. Nacque dunque Adone in primavera, dall’albero di mirra che miracolosamente si aprì per far uscire il bimbo dalla corteccia materna. Afrodite raccolse l’infante appena nato e lo affidò a Persefone, la regina dell’Erebo, perché lo allevasse. Il bimbo crebbe rapidamente e divenne un bellissimo adolescente. Venuto il tempo, Afrodite si recò nell’Erebo per riaverlo da Persefone; ma anche costei si era molto affezionata al giovinetto e non volle restituirlo. Zeus, per conciliare quel contrasto tra le due dee, decise che Adone avrebbe passato metà dell’anno nell’Erebo con Persefone e l’altra metà sulla Terra con Afrodite.

Tuttavia, un anno di questi, alla fine dell’estate, mentre l’avvenente giovane si trovava sulla Terra ed era andato a caccia sui monti del Libano, un cinghiale infuriato lo assalì e l’uccise. Accorse affannata Afrodite, ma ormai non c’era più nulla da fare: il giovane era morto. La dea pianse Adone e la sua bella gioventù sfiorita, e dalle sue lacrime nacque l’anemone.

Il mito di Pigmalione

A dimostrare la potenza ineluttabile dell’amore, i Greci attribuirono ad Afrodite molti miti in cui la dea si vendica contro coloro che disprezzavano l’amore.

Pigmalione era re di Cipro e un abile scultore, per cui non aveva tempo né voglia  di pensare all’amore, al matrimonio. Afrodite se ne accorse e volle vendicarsi. Lo fece così innamorare di una statua d’avorio da lui stesso scolpita che raffigurava una fanciulla bellissima. Da quel giorno, il disgraziato non ebbe più pace: passava giorno e notte a contemplare la figura scolpita, ad accarezzarla, a dirle soavi parole d’amore, di ardente passione…ma a tutte le sue espansioni, la statua restava lì muta, fredda, insensibile. Pigmalione credeva d’impazzire e supplicava umilmente Afrodite se volesse in qualche modo aiutarlo. Afrodite godeva di quella vendetta, ma poi si commosse e, toccando con le sue divine mani la statua, le diede la vita. La fanciulla scese allora dal piedistallo e si avvicinò a Pigmalione col sorriso. Lo scultore la sposò e dalla loro unione nacque un figlio, Pafo.

Raffaela De Vivo

Bibliografia:

F. PALAZZI, I miti degli dei e degli eroi, Loescher editore, Torino, 2004.

Sitografia:

http://www.treccani.it/enciclopedia/afrodite/