Dal rigore costruttivo di “Structure I” alla poesia di “Le Marteau sans maître”, ci lascia una delle personalità musicali più importanti della nostra epoca.
Il titolo potrebbe sembrare un’affermazione perentoria, una critica; in realtà è una citazione: fa direttamente riferimento all’articolo pubblicato nel 1952 dallo stesso Boulez dal titolo Schӧnberg è morto. In esso il giovane compositore francese muoveva una critica al collega tedesco morto qualche mese prima. A quest’ultimo veniva rimproverato l’attaccamento ancora palese alla tradizione musicale, nonostante i primi sentori di un cambiamento rappresentato dall’invenzione della tecnica dodecafonica. Quello era il periodo in cui, nei corsi estivi di Darmstadt (Internationale Ferienkurse für Nueue Musik), andava affermandosi una sola tendenza compositiva: la serialità integrale, tecnica – e visione – ascrivibile all’ambito dello strutturalismo, che rompe ogni legame con la musica del passato. In realtà un solo fattore accomunava i compositori gravitanti attorno ai corsi di Darmstadt nell’immediato secondo dopoguerra: la voglia di novità.
Voglia di novità che ha contraddistinto, e continua a farlo nei suoi lavori, il compositore e direttore francese. Scomparso il 5 Gennaio all’età di novant’anni, combatteva da tempo con una malattia che ha finito per stroncarlo. Negli ultimi decenni si era dedicato all’attività direttoriale non trascurando comunque la sua vena creativa in lavori come Sur incises (1996-1998) per nove strumenti, o une page d’éphéméride (2005) per pianoforte. Si tratta di lavori in cui traspare una grande sensibilità musicale. Essi si collocano artisticamente in un punto diametralmente opposto a lavori come Structure I (1952) per due pianoforti.
Boulez innovatore
Anche un ascoltatore meno esperto potrebbe rendersi conto dell’abisso che intercorre tra una composizione come Sur incises e Structure I. Quest’ultima rappresenta in modo esasperato, quasi agghiacciante, la tendenza compositiva dello strutturalismo ed in particolare della serialità integrale. Essa nasce come reazione a tutto ciò che era indissolubilmente legato al vecchio: il regime, la vecchia tonalità, il romanticismo. Tra i precursori bisogna ricordare Webern, preso come modello dai primi compositori di Darmstadt, per questo detti anche post-Weberniani. Si tratta della “serializzazione” di tutti i parametri del suono: non solo le altezze dunque (come aveva già fatto Schӧnberg nella sua già vecchia tecnica dodecafonica) ma anche il timbro, le dinamiche, le durate e i modi di attacco.
Musica e astrazione
Per serializzazione si intende l’estrapolazione dal contesto (astrazione) e il loro trattamento in modo autonomo. Per capire meglio si potrebbe fare il seguente paragone: poiché come i suoni (e gli altri parametri del suono sopra descritti) anche le lettere dell’alfabeto costituiscono il mattoncino fondamentale e indivisibile (l’atomo) del nostro linguaggio verbale, immaginiamo di assemblare le lettere dell’alfabeto indipendentemente dalla necessità di ottenere parole di senso compiuto ma in seguito ad un processo molto razionale il cui risultato è dunque un prodotto pensato intelligentemente ma che, appunto, non ha “senso compiuto”. Non si può nascondere di dire che il paragone non tiene conto di molti altri fattori e che, pertanto, risulta essere un po’ esagerato, ma rende abbastanza bene l’idea (Per chi volesse un quadro più esauriente circa le affinità tra musica e linguaggio verbale, si veda lo studio fatto da Nicolas Ruwet nel 1959 nel saggio Contraddizioni del linguaggio seriale in Linguaggio, Musica, Poesia, Torino, Einaudi 1983). Composizioni concepite in tal modo, dunque, sono caratterizzate dall’assenza di discorsività, poiché il singolo suono viene isolato e proiettato nello spazio. Ne segue pertanto una difficoltà di comunicazione che caratterizza questi lavori. Di tale incomunicabilità si era accorto lo stesso Boulez il quale parla successivamente di Structure I come un qualcosa che si trova «ai limiti della terra fertile».
Cambio di rotta…
Nell’articolo del 1954 Ricerche ora, il musicista francese mette in evidenza i limiti della tecnica seriale auspicandone l’abbandono. Tale mutamento di indirizzo compositivo trova una sua prima applicazione in Le marteau sans maître (1954) per contralto e un organico strumentale insolito (flauto in sol, viola, chitarra, xilorimba, vibrafono e percussioni). Innanzitutto l’introduzione del testo poetico e della voce è di per sé molto significativo poiché lascia poco spazio all’astrattismo della tecnica seriale, mentre l’organico scelto dimostra un’attenzione e una riscoperta del timbro in quanto elemento privilegiato del discorso musicale.
Boulez è morto. La sua eredità musicale e sue composizioni però continuano a vivere e con esse la voglia di novità che le caratterizza.
Leonardo Rizzo