Formatosi ad Urbino a contatto con artisti come Piero Della Francesca, Melozzo da Forlì e Frà Carnevale, Donato “Donnino” di Angelo di Pascuccio detto il Bramante è stato uno degli artisti più completi e influenti del Rinascimento lombardo: con Leonardo da Vinci contribuì a dare un certo spessore a Milano nel panorama europeo.
Anche se i maggiori contributi li diede in architettura: in particolare, nel suo periodo milanese, Bramante partecipò al concorso per il tiburio del Duomo di Milano, su cui ci è pervenuto un trattato in cui indica “la fortezza”, “la conformità con il resto dell’edificio”, “la leggerezza” e “la bellezza” come caratteristiche peculiari dell’architettura. Bramante sviluppò il gusto per le architetture monumentali, nonché per l’illusione prospettica, che trasferì anche in pittura: la prospettiva in pittura è frutto di studi, imitazioni ed effetti ottici, in grado di simulare spazi e profondità.
Cristo alla Colonna: analisi dell’opera
Considerata la più importante opera pittorica del Bramante, nonché sua unica opera su tavola conosciuta, Cristo alla Colonna è stata commissionata dall’Abbazia di Chiaravalle, con tempera o olio e databile tra il 1480 e il 1490.
In quest’opera, Cristo è legato ad un pilastro che va a sostituire la tradizionale colonna, e il focus così vicino allo spettatore tende ad accentuare il pathos della scena. Bramante, tramite i giochi di luci e di ombre riesce a dare volume alla figura di Cristo, le cui parti restano ben definite, e le ombre non sfociano nello sfumato come accadeva con le figure delle opere di Leonardo, i contorni sono invece ancora netti e definiti. Il contrasto di luci e di ombre è particolarmente evidente nel volto di Cristo, tanto che il colore dell’occhio sinistro è di gran lunga meno visibile rispetto all’occhio destro. Non si vedono soldati in procinto di flagellare Gesù, né sono rappresentati l’ambiente circostante e la reale distanza degli spazi, di cui si tende a dare un’idea tramite l’estensione del pilastro, della parte inferiore del corpo di Cristo e della valletta al di fuori delle estremità del dipinto, e questo è il su citato stratagemma che Bramante era solito adottare: a conferire una certa drammaticità alla scena sono i dettagli, come la corda al collo di Cristo. Alla luce di questa osservazione, diventano così evidenti i riferimenti alla cultura urbinate, e di conseguenza i riferimenti alla pittura dei fiamminghi, quali la minuziosa definizione dei dettagli del paesaggio in lontananza: il corpo di Cristo, muscoloso e di impostazione classica, così posto in primo piano contribuisce sì al coinvolgimento emotivo dello spettatore ma suggerisce uno studio matematico e attento delle proporzioni appreso Piero della Francesca, studio che deriva, come già detto, dall’architettura. Inoltre, i riflessi della luce, la variazione cromatica della pelle, che appare più rossa nei punti in cui è stretta nelle corde, l’espressione così viva e addolorata degli occhi che contrasta con la suggerita forza del corpo, in concomitanza con il già citato contrasto di luci e di ombre conferiscono un certo realismo all’insieme e anche una certa tragicità.
Infine, sul davanzale alle spalle del pilastro, troviamo una pisside dorata, ossia il contenitore usato per conservare le ostie consacrate oppure il vino: si tratta dell’unico riferimento simbolico presente nel dipinto, in quanto allude all’Eucarestia, dunque alla passione di Cristo.
Rossella Cavallo