Il termine vaudeville può lasciar rievocare agli appassionati di cinematografia gli albori della carriera comica degli indimenticabili fratelli Marx, tuttavia si tratta di un tipo di rappresentazione dalle origini molto più antiche, e soprattutto situata nell’area francese.
Secondo l’ Art poétique di Boileau (XVII sec.) si tratta della versione orgogliosamente francese della satira e godeva di un accompagnamento musicale in grado di conferirle un ritmo ben scandito, probabilmente legato alla pratica di certi antichi canti normanni diffusi in particolare nella zona di Val-de-vire (da cui il nome) ad opera principalmente del poeta quattrocentesco Olivier Basselin.
Esso subisce diverse modifiche e alterne fortune nel corso dei secoli, superando tuttavia la prova del tempo; ad ogni modo la massima notorietà viene raggiunta proprio nell’epoca dei Marx (negli Usa) e dell’autore di cui ci occuperemo oggi: Georges Feydeau.
Una passione tormentata
Georges Feydeau nacque nel 1962 e trascorse una difficile gioventù scandita da studi irregolari; fu il padre adottivo Ernest a spingerlo verso il teatro, dapprima come autore, infine come autore. Il teatro divenne subito la sua grande passione, che mise a frutto con grande prolificità (ben 47 pièce tra editi e inediti) e un precoce successo: già nel 1886 infatti, con “Tailleur pour dames”, riscosse un certo apprezzamento da parte del pubblico.
Tuttavia la vita di Feydeau fu caratterizzata anche dall’incertezza e da alcune debolezze, come l’assunzione di droghe, che sospinsero l’attività teatrale nei recessi di una passione tormentata, goduta in segreto nelle ore di veglia notturna sottratte a momenti di dissolutezza. Egli spense la sua vita nel 1921, a 58 anni, dopo aver lottato per due anni contro la sifilide.
Feydeau seppe tuttavia scrivere delle pièce di una comicità brillante e costruite su intrecci complessi, tant’è vero che gode in questi anni di una rinnovata memoria, venendo inscenato regolarmente in numerosi teatri di Francia e della francofonia (in particolare in Canada).
Chiavi dell’opera di Feydeau
Feydeau critica con occhio attento (e forse, secondo la sua biografia, dall’interno) la superficialità della borghesia della Belle Époque, presentando personaggi che esprimono elementi di follia attraverso il linguaggio, ponendosi come precursore dell’assurdo di Ionesco; egli gestisce inoltre con estrema eleganza il gioco di un cucù svizzero, sui cui piccoli binari si esibiscono di volta in volta personaggi che non dovrebbero incontrarsi, favorendo il malinteso, il quiproquo e gli equivoci di sorta. Quasi sempre l’azione ruota attorno alla coppia, sia essa legittima (marito e moglie) o illegittima (amanti in fuga d’amore), come in “L’Hotel du libre échange” e “Un fil à la patte” (1894): in quest’opera il giovane Bois-d’Enghien, in procinto di sposarsi, decide di passare gli ultimi momenti con la sua amante, la cantante Lucette; tuttavia una serie di disturbatori rovineranno l’idillio dei due amanti, e questo viavai culminerà con una visita inaspettata: la futura suocera del giovane venuta a ingaggiare la cantante al matrimonio. La commedia gode della presenza di un pianista in scena, che accompagna, sottolinea addirittura i ritmati scambi tra gli attori con motivetti da cinema muto. Gli interpreti del vaudeville sono quasi degli acrobati, pronti a sottolineare con una mimica quasi circense le fasi serrate della pièce.
Similmente in “On purge bébé” (1910) e “Mais n’te promène donc pas toute nue !” (1911) il tema e il bersaglio sono le ipocrisie e le apparenze dei borghesi, apparenze diventue ben più concrete dal momento che l’autore con queste commedie più tarde è passato dal riso leggero del vaudeville a quello sguaiato della farsa. Il linguaggio quotidiano, più che gli eventi, si fa portatore della cattiva fede e della bassezza dei protagonisti e diventa l’arma d’esecuzione del duello uomo contro donna, del marito meschino, debole, vanitoso e della moglie impudica, frivola, acida: il comico di situazione del vaudeville lascia il passo al ridicolo della quotidianità. Secondo Jean Vilar¹, Freydeau raccoglie la lezione del Naturalismo: tematiche triviali, dettagli meschini della mente di sordidi calcolatori presentati senza indorare la pillola. La scena si restringe fino a diventare un’alcova, dove i personaggi impenitenti vengono sorpresi dal pubblico in balia dei propri vizi.
Le accurate didascalie dell’autore iscrivono inoltre in maniera ineludibile le sue opere al contesto che le generarono, tant’è vero che qualsiasi ripresa dell’autore al giorno d’oggi è resa un delicato lavoro filologico e di costume. Tuttavia, ciò che gioca a favore della modernità sta nell’essersi avvicinato al sempre prolifico dramma borghese e di aver contribuito a definirne i confini con lo stesso attraverso l’ironia e la brillante arma della risata.
Daniele Laino
Bibliografia:
1. Come riportato in Hellot M., Mot de couple : farces conjugales, in «Jeu : revue de théâtre», n° 108, 2003.