Ci sono talmente tante cose belle che inondano lo sguardo, durante la visione dell’episodio zero della quarta stagione di “Sherlock” (Steven Moffat e Mark Gatiss – 2010 – in corso), The Abominable Bride (“L’abominevole sposa”, diretto da Douglas Mackinnon), che per riuscire a decostruire l’episodio, e cercarvi delle risposte, bisogna guardarlo una seconda e, magari, una terza volta. La prima si è totalmente distratti. Da cosa?
Dall’ambientazione vittoriana, vivace ancor più di quella odierna, di un’eleganza tutta inglese che si riflette sulle luci, sull’arredo, su alcuni espedienti del montaggio, sui costumi…
Dalla regia, che rende ogni inquadratura una spettacolare composizione di dettagli. Il secondo e il terzo episodio della terza stagione non erano riusciti del tutto a farci dimenticare il davvero poco ispirato lavoro di Jeremy Lovering con “The Empty Hearse” (“La cassa vuota”).
Dal continuo gioco tra la finzione del racconto e la realtà che c’è dietro.
Dalla bellissima entrata in scena di Sherlock Holmes. E dai sontuosi baffi che invecchiano Martin Freeman.
Dal duetto fra il detective e Moriarty, richiamo a “The Reichenbach Fall” (“Le cascate di Reichenbach”), un puro godimento per il cervello, così come la scena del dialogo con Mycroft è, con il suo gioco di ombre e luci e gesti lenti e movimenti fruscianti, un puro godimento per gli occhi.
Dalla vecchia, cara, carissima, parlantina di Sherlock Holmes, e dall’interpretazione del sempre favoloso Benedict Cumberbatch.
Indice dell'articolo
Il palcoscenico è pronto. Ci saranno spoiler.
Il vero sogno-indagine di Sherlock comincia solo quando lui lo decide. Mentre John e Mary battibeccano, esclama “Basta!”: il palcoscenico è pronto; contesto e personaggi sono stati evocati per risolvere un vecchio caso (una sorta di “indagine nascosta”), e ciò sarà possibile solo tramite un altro caso ancora (“l’indagine maschera”).
Per riuscirci, il detective dovrà scendere molto in profondità dentro se stesso. E ricordiamoci che in “His last Vow” (“L’ultimo giuramento”), ciò che Sherlock trova nelle profondità del suo mind palace è Moriarty.
Quindi, chiaramente, il problema Moriarty è “l’indagine nascosta” – ben più di un caso semi-irrisolto, parliamo di una ferita aperta nell’inconscio di Sherlock. Detto questo, si può cominciare. Sherlock chiama Lestrade, fuori dalla porta, il quale gli racconta di un evento che riconosciamo come perfettamente parallelo alla realtà: un morto privato di mezzo cranio torna in vita. L’evidenza – la morte, cioè – è resa innegabile dalla ragione, eppure è messa in dubbio dagli eventi.
“L’indagine nascosta” è stata presentata. Per risolverla, sarà necessaria “un’indagine maschera”. Il passo successivo è introdurre quest’ultima.
Mycroft e il caso senza senso
A introdurre “l’indagine maschera” è Mycroft. Ora, due fatti sono certi: lo stesso Sherlock era già consapevole di dover risolvere un altro caso per arrivare alla soluzione del primo, e quindi non aveva bisogno dell’imposizione del fratello; Mycroft, nella realtà, è, sì, tutt’altro che affettuoso, ma è anche lontano dall’essere il mastino che conosciamo nel mind palace della terza stagione.
Possiamo allora avanzare un’ipotesi: il Mycroft immaginario è una rappresentazione dello stesso Sherlock, o meglio del suo incoscio che esige da sé di sapere, tutto, sempre, subito.
In questa occasione, esige di accettare un caso senza senso: la soluzione è talmente evidente che Sherlock ne è in possesso già un attimo dopo aver visto il corpo – e Mycroft lo era già dall’inizio. Eppure il detective non la rivela a nessuno se non a colei che ha commissionato il caso, pur essendo al contempo la colpevole. È una sorta di giro a vuoto, un esercizio deduttivo senza scopo. Infatti quando Sherlock obietta che non ha senso che a chiedere di risolvere il caso sia la colpevole, Moriarty gli risponde che ovviamente non ha senso, perché: “È tutto nella tua mente”.
Traduzione: chi commissiona il caso è solo Sherlock, che domanda a se stesso una prova definitiva.
E lo conferma anche il fatto che, appena Sherlock si rende conto dell’insensatezza di tutta l’indagine che il suo inconscio gli ha messo davanti – come già detto, lo capisce non appena guarda il corpo del signor Carmichael –, l’integrità più o meno stabile della sua realtà vacilla pericolosamente, e nella crepa formatasi si insinua il nonsense, il virus, Moriarty, pronto a distruggere la verità plausibile dei fatti tanto cara alla ragione.
The Abominable Bride – cos’è?
The abominable bride, l’abominevole sposa, è un’idea.
Andiamo con ordine: perché mai Emilia Ricoletti ha dovuto fare del teatro, e perché ne hanno dovuto fare anche gli altri membri dell’associazione? Perché lady Carmichael ha spaventato così tanto suo marito prima di ucciderlo, e perché ha chiamato Sherlock Holmes a casa sua di notte, solo per fargli fare da testimone alla messa in scena?
Per creare un mito. Grazie al suicidio di Emilia, the abominable bride è diventata un’idea che non può essere uccisa, un giustiziere mascherato immortale, dietro il cui velo può nascondersi chiunque.
Così (probabilmente) è successo a Moriarty: di sicuro l’essere umano è morto, ma l’idea è viva, e non solo come ente criminale che riutilizza l’immagine della leggenda defunta. Si parla di un’idea vera e propria, un tarlo della mente, un virus nel disco fisso di Sherlock che tenta di depistare, di distrarre il detective dalla verità inconfutabile di una morte corporea.
È per questo che Sherlock, nel cercare il corpo fatto passare per quello di Emilia Ricoletti, simboleggiante i resti di Moriarty, finisce ancora più in profondità dentro di sé, alle cascate di Reichenbach, dove quel cadavere metaforico effettivamente si trova. Ed è lì che finalmente lo sconfigge, ma solo con l’aiuto di Watson.
Le profondità del mind palace
Andando in profondità a stuzzicare Moriarty perché salti fuori, Sherlock incontra altri due “mostri” che ha nascosto lì sotto.
Innanzitutto il suo passato. C’è il famoso Redbeard (Barbarossa) di cui ancora non ci è stata raccontata la storia, ad esempio. E quali sono i fantasmi che più di una volta vengono nominati? Si tratta solo di Moriarty o c’è di più?
Questo ci collega ad un altro ben preciso fantasma: Irene Adler. Watson ripete che Sherlock deve avere un passato, riferendosi a precedenti esperienze con delle donne.
Moffat e Gatiss hanno davvero voluto solo omaggiare il femminismo con questo episodio? O si tratta di una piccola anticipazione di futuri approfondimenti sul complicato rapporto di Sherlock Holmes con il gentil sesso?
Chiara Orefice