La società globalizzata nella quale viviamo presenta una contraddizione di fondo: il termine globale stabilisce l’abbattimento delle mura storiche fra gli stati e, di conseguenza, la promozione dell’unione; nel concreto però è possibile notare lo sviluppo di una società individualistica, basata sul benessere di pochi. Quest’affermazione è collegata soprattutto alla sfera economica caratterizzata dalla presenza dei “grandi ricchi della terra”, le multinazionali. Culturalmente la situazione non è molto diversa. Basti pensare alle frequenti ondate migratorie e ai conseguenti fenomeni sociali quali multiculturalismo, diversità, disuguaglianza. coesione
Come può far riferimento al terapeuta Irvin Yalom tutto questo? Ciò che è sempre mancato,in modi diversi, nelle società moderne dopo le unificazioni nazionali( in primis l’Italia) è la coesione sociale, concetto che Yalom utilizza come nono fattore nella terapia di gruppo, anche se con qualche differenza che esporremo nel seguente articolo.
Indice dell'articolo
La coesione come attrazione
Nell’insieme dei fattori caratteristici del gruppo terapeutico e della conseguente terapia, Yalom propone come nono fattore un concetto forse scontato ma sicuramente centrale nella guarigione dell’individuo e nella buona riuscita della terapia: la coesione di gruppo, il quale non può essere considerato da solo come un vero e proprio fattore ma solo in relazione a tutti gli altri, intensificandoli. Più che altro esso costituisce una condizione per rendere efficace e duratura la terapia di gruppo. Per gruppo coeso, Yalom non intendeva semplicemente unito – nel puro significato del termine – ma un gruppo i cui membri sono attratti dal gruppo stesso e dagli altri membri così da favorire l’interesse verso la terapia – con il conseguente risultato positivo. Non a caso:
È stato dimostrato, infatti, che i membri di gruppi maggiormente coesi mostrano maggiore accettazione reciproca, offrono più sostegno, sono più propensi a stringere legami significativi all’interno del gruppo. Inoltre, in condizioni di accettazione e comprensione sono maggiormente disposti ad esplorare sé stessi, a divenire consapevoli di aspetti fino a quel momento ritenuti inaccettabili e a creare relazioni più profonde con gli altri. [1]
La coesione di gruppo, insieme agli ultimi due fattori che analizzeremo in seguito (catarsi e fattori esistenziali), è stato definito, da numerosi studiosi della terapia di gruppo, un fattore emozionale, quello più carico di espressioni emozionali rispetto agli altri. Inoltre, Yalom ha chiarito la posizione centrale di questo fattore nello sviluppo del gruppo: insieme all’altruismo, è necessario che sia presente, anche se con valori differenti, in tutte le fasi di vita del gruppo.
Riguardo alla coesione, essa inizialmente è sostegno e accettazione, dopo diventa interrelazione tra la stima di gruppo e l’autostima di ogni singolo partecipante. Solo dopo che la coesione si sviluppa, i pazienti possono impegnarsi profondamente e in maniera costruttiva nell’autosvelamento e nel confronto, indispensabili al processo dell’apprendimento interpersonale [2]
Come sviluppare una società coesa?
La riflessione su Yalom e sulla coesione sociale è molto semplice da sviluppare e realizzare proprio perché il contesto è ridotto ad un gruppo di poche persone e, per quanto eterogeneo possa essere- ogni individuo porta all’interno del gruppo le proprie esperienze passate-, sono accomunate tutte dalla stessa “malattia, patologia o disturbo”. Di conseguenza creare un gruppo coeso è più semplice che in qualsiasi altro ambiente.
Come esposto nelle prime parole dell’articolo, la società in cui viviamo è sicuramente globalizzata ma non ha favorito lo sviluppo della coesione, intesa prima di tutto come uguaglianza e, successivamente, come appartenenza- al contrario del gruppo terapeutico che prende in considerazione sopratutto l’appartenenza. E quindi, è possibile realizzare una società coesa?
La domanda non è sicuramente stata posta ora per la prima volta, non a caso molti sono stati i tentativi e gli interventi fatti soprattutto per l’eliminazione dell’esclusione sociale,rivolte quindi a categorie di persone in difficoltà. Il risultato di questi interventi è il Welfare State, o stato del benessere. Il termine nasce nel secondo dopoguerra, momento in cui gli Stati europei erano sconvolti dal momento critico appena concluso e dall’esperienza totalitaria. Il Welfare State rappresentava un nuovo modello di rapporto Stato-società attraverso il quale lo Stato non abbandona il cittadino ma lo assiste fornendogli gratuitamente una serie di servizi essenziali (prestazioni educative, sanitarie e previdenziali). In Italia le riforme furono molte, soprattutto negli anni Sessanta e Settanta: nazionalizzazione dell’industria elettrica, istituzione della scuola media unificata, creazione del sistema sanitario nazionale.
L’obiettivo del Welfare State era quello di garantire la coesione sociale solo dal punto di vista economico, eliminando quindi le disuguaglianze: a questo proposito è necessario chiarire che lo stato del benessere ha raggiunto il suo culmine proprio con l’avvento del mondo globalizzato nel quale i singoli Stati non hanno più lo stesso potere. Ma il limite fondamentale del Welfare State è stato proprio quello di dare molta – forse troppa – attenzione alla sfera economica a discapito di quella culturale e, perché no, anche quella emotiva del cittadino, motivo per il quale la società cosa non è stata pienamente sviluppata.
Alessandra Del Prete
Fonti
[2] ibidem
Scienze Umane. Corso Integrato di Antropologia, Sociologia, Psicologia. Elisabetta Clemente, Rossella Danieli. Pearson Italia, 2012, Milano.
Psicologia. Mente, Apprendimento, Relazioni, Educazione. Perason Italia, 2010, Milano.
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