Sfogliando le pagine bibliche possiamo spesso imbatterci in espressioni che alle nostre orecchie risuonano come assurde o contraddittorie. Una di queste è il comandamento dell’amore. L’esperienza dell’amore, specialmente dopo la vicenda moderna del romanticismo, richiama per definizione quella della libertà, della scelta libera.
L’amore, per essere tale, certamente non potrebbe essere mai comandato. Al contrario, nei testi biblici è possibile spesso trovare la categoria dell’amore declinata all’imperativo. La critica teologico-letteraria riesce ad offrire una spiegazione molto interessante.
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Comandamento dell’amore fra antico e nuovo testamento
Sfatando il mito che superficialmente vede l’Antico Testamento come un insieme di testi anacronistici affollati da un Dio violento e vendicativo, ed il Nuovo come un compendio di amore e tolleranza, dobbiamo constatare una grande continuità teologica e letteraria fra i due.
Il cosiddetto ‘comandamento dell’amore’ prevale nell’Antico Testamento rispetto al Nuovo, così come la mole delle pagine della prima collezione di libri è nettamente superiore agli scritti dell’epoca di Gesù; ma a ben vedere, anche in quest’ultimi, l’obbligo dell’amore continua a sussistere e a pieno titolo.
Prendiamo ad esempio un brano del Primo Testamento per passare poi al Secondo. In Deuteronomio 6, 4-6 (NRV) leggiamo:
Ascolta, Israele: il Signore, il nostro Dio, è l’unico Signore. Tu amerai dunque il Signore, il tuo Dio, con tutto il cuore, con tutta l’anima tua e con tutte le tue forze. Questi comandamenti, che oggi ti do, ti staranno nel cuore.
Passando invece al Vangelo di Giovanni 15,9-10.12-14. (CEI 2008). Leggiamo:
Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. (…) Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi. Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici. Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando.
Entrambi i brani possono far sollevare delle perplessità. Nel primo testo, lo Shemà, cardine della spiritualità ebraica, ma fondamentale anche per la fede cristiana, l’amore è sotto l’istanza del comando.
Nel Vangelo di Giovanni troviamo invece una strana commistione fra il linguaggio affettivo e quello giuridico. Viene sancito perentoriamente il comandamento dell’amore e una categoria come l’amicizia viene posta sotto la condizione dell’osservanza dei comandamenti.
In questi testi l’amore e l’osservanza delle leggi sono strettamente legati, fino a divenir quasi sinonimi. Amare significa osservare i comandamenti.
Solamente la conoscenza della cultura biblica e quindi del patrimonio storico e letterario del Vicino Oriente Antico, permette di far luce su delle espressioni difficilmente comprensibili od ambigue.
Comandamento dell’amore: una questione diplomatica
L’analisi della letteratura del Vicino Oriente Antico svela lo sfondo che circonda gli scritti biblici. Gli autori biblici si ispirano al linguaggio diplomatico internazionale del loro periodo per veicolare la relazione tra Dio e l’umanità.
Nei trattati di alleanza che l’impero ittita ed assiro contraevano con i regni vassalli, domina lo stesso tipo di linguaggio che sarà poi utilizzato dagli autori biblici. Il vassallo si rimetteva nelle mani del sovrano ed in cambio della protezione gli assicurava fedeltà, che veniva espressa tramite dei sentimenti filiali.
Amare il sovrano equivaleva perciò ad osservare i suoi comandi. Nella retorica dei trattati di alleanza, il linguaggio affettivo si mescolava a quello giuridico facendo scaturire espressioni ambigue al lettore odierno, come quella del comandamento dell’amore.
Sebbene questi avvenimenti sono maggiormente affini al contesto storico dell’Antico Testamento, anche il Nuovo sembra essere stato influenzato dal linguaggio diplomatico. Alcuni detti celebri del Nuovo Testamento sono stati probabilmente coniati attraverso questo stampo.
‘Amerai il tuo prossimo come te stesso’ (Mt 19,19; Lv 19,18) è stato rinvenuto nello scambio di corrispondenza tra un sovrano assiro e il suo vassallo. Il sovrano chiedeva al suo vassallo di amarlo come sé stesso ed in cambio gli prometteva la medesima cosa.
‘Nessuno ha un amore più grande di questo: dare la sua vita per i propri amici’ (Gv 15,13) si ritrova anche in un’iscrizione ittita che risale probabilmente al sovrano Suppiluliuma II tra XIII e XII secolo a. C. in cui per ‘amici’ si intendono i regni alleati.
Gli autori biblici attingono quindi alla sfera semantica del linguaggio di corte, a loro ben nota, apportando però un grande cambiamento. La vuota retorica che, assimilando il linguaggio affettivo a quello politico celava in realtà intrighi nascosti, viene utilizzata seriamente dagli agiografi: l’alleanza offerta da Dio all’umanità non ha secondi fini e si rivela come dono ed elezione gratuita.
Christian Sabbatini
Fonti
Immagine in evidenza: quiquotidiano.it
Immagini media: quiquotidiano.it, wol.jw.org, www.turkishclass.com-
Bibliografia
J.-L. Ska, Il cantiere del Pentateuco. 2. Aspetti letterari e teologici, EDB, Bologna 2013, 143-159.