In un mondo dominato dal denaro in cui ogni cosa è commerciabile, un uomo stringe un patto col diavolo in cambio di ricchezza infinita… ma quest’uomo non è un Faust assetato di conoscenza e la merce di scambio non è la sua anima, bensì l’ombra. Siamo nel 1814, in Germania, anno di pubblicazione del racconto fantastico Peter Schlemihls wundersame Geschichte (“storia meravigliosa di Peter Schlemihl”) dell’autore franco-tedesco Chamisso.
Indice dell'articolo
L’ombra di Chamisso
Ciò che fa di questo racconto un caposaldo della letteratura romantica tedesca non è la sua trama, non è la sua forma e neppura la morale, bensì la stranezza del suo punto centrale: vendere un’ombra al diavolo. Cosa potrà mai farsene il diavolo di un’ombra e, soprattutto, sarà stato un guadagno o una perdita per Schlemihl? Diamo un breve sguardo alla storia di Chamisso per addentrarci nel nostro discorso.
Peter Schlemihl è un uomo povero che si trova per caso in un mondo di ricchi: tutti conversano amabilmente delle più becere sciocchezze e nessuno sembra accorgersi di lui. Di Schlemihl non ci è dato sapere nulla: solo che frequenta l’alta società senza farne parte. Un uomo allampanato e vestito di grigio si comporta in modo del tutto assurdo, tirando fuori oggetti spropositatamente grandi dalle tasche (persino dei cavalli!), eppure “nessuno ci trovava niente di straordinario”. Egli è il diavolo, anzi – precisa Chamisso – un povero diavolo, ed è l’unico ad accorgersi del nostro Schlemihl, tanto da volergli proporre un accordo: una borsa dalla quale estrarre denaro infinito in cambio della sua solida e inestimabile ombra.
“Affare fatto! Per il borsellino vi cedo la mia ombra.” L’altro annuì, s’inginocchiò senza indugio ai miei piedi, e io lo vidi staccare piano piano da terra con mirabile perizia la mia ombra quant’era lunga, sollevarla, arrotolarla e piegarla, e infine mettersela in tasca.
Ma Schlemihl ha fatto male i suoi conti: tutti si accorgono subito della grave amputazione del protagonista e girano alla larga da lui come se fosse un appestato, un reietto. Nel mondo borghese di Chamisso “chi non è padrone di almeno un milione è, mi si perdoni la parola, un mascalzone!”. Un uomo che tira fuori tappeti persiani e cavalli dalle tasche della giacca non è degno di attenzione, ma l’assenza di un’ombra viene subito notata. Non siamo in presenza di una fiaba, ma di un racconto fantastico magistralmente gestito in cui la realtà è tutt’altro che verosimile: dovremo allora scavare nel profondo per trovare un significato all’ombra, intorno alla quale ruota quasi tutta la storia.
Se ci atteniamo al piano letterale possiamo dare una prima interpretazione: Chamisso stesso, tramite un complicato sistema di prefazioni sotto forma di lettere, entra a far parte della storia. Egli si dichiara amico intimo del povero Peter Schemihl, nonché destinatario delle lettere in cui quello descrive la storia meravigliosa che gli è capitata. Schlemihl parla di Chamisso come di un modello a cui ispirarsi, di un ideale a cui tendere: è il suo alter-ego, il suo doppio… insomma, la sua ombra: ma chi è l’ombra e chi è l’uomo che la proietta? Le cose continuano ad essere confuse, non possiamo accontentarci di così poco.
Schlemihl e Faust
Nelle fiabe popolari, patrimonio inestimabile per i romantici tedeschi, l’ombra non ha un significato fisso: talvolta la sua perdita assume un significato negativo, in quanto essa rappresenterebbe una componente essenziale, inaliebabile dell’uomo; d’altro canto può avvenire che la perdita di ombra sia un primo passo verso la beatitudine, verso la trasfigurazione del corpo. Nel racconto i due significati sono compresenti: Schlemihl verrà in pratica bandito dalla società civile, ma questa libertà gli fornirà la possibilità di dedicarsi allo studio della natura, impegnando tutta la vita in un’attività proficua e appagante.
C’è un momento intermedio tra la condizione iniziale, ossia Schlemihl escluso dalla vita perché privo di ombra, e quella finale, quando volterà le spalle alla vita di società per dedicarsi al mondo della scienza: un secondo incontro col diavolo, molto più inquietante e minaccioso. La cessione dell’ombra, infatti, è solo un primo passo – e qui compare finalmente il motivo faustiano – verso la cessione dell’anima: Schlemihl potrà riavere la sua ombra e tornare a vivere da animale sociale, cioè da uomo, in cambio dell’anima. Ma Schlemihl stavolta non si lascia gabbare e il diavolo, profondamente offeso, lascia aperto un interrogativo che Chamisso non intende chiarirci:
E, se mi è consentito chiedere, che genere di cosa è, la sua anima? L’ha forse mai vista, e che cosa pensa di farne, un giorno, da morto? Dovrebbe essere contento di aver scovato, mentre è ancora vivo, un amatore disposto a pagare, per l’eredità di questa x, di questa forza galvanica o virtù polarizzante, o comunque si possa definire questa assurda cosa, con qualcosa di reale, vale a dire con la sua ombra in carne e ossa…
Così come Schlemihl minimizza la perdita della sua ombra, che invece appare tanto importante alla società borghese, il diavolo minimizza la cessione dell’anima: cosa se ne farà Schemihl dell’anima una volta morto? Meglio scambiarla, da vivo, per qualcosa di più utile!
Aggiungiamo adesso un altro tassello al nostro puzzle: alcuni anni prima della scrittura di questo racconto, Chamisso aveva lavorato ad un Faust. In quest’opera brevissima, Faust scambia l’anima in cambio della verità, ma si uccide perché la merce non è conforme alle aspettative: il diavolo infatti gli spiega che il dubbio è il limite del sapere umano, la verità gli è preclusa in eterno.
L’autore era rimasto profondamente colpito dalla lettura della Critica della ragion pura di Kant, da cui discende l’angosciante soggettivismo espresso nel suo Faust: secondo Chamisso, non solo l’uomo può conoscere la realtà esclusivamente attraverso la mediazione del linguaggio e le leggi della ragione, ma questa stessa mediazione è un “segno vuoto”, privo di validità oggettivo. Si tratta sostanzialmente di una rielaborazione molto personale della filosofia di Kant, secondo cui l’uomo può vedere solo la propria ombra, cioè conoscere la propria struttura, i propri elementi di mediazione [1] senza mai arrivare alla verità.
Ma Schlemihl, lo abbiamo detto all’inizio, non è Faust, non si vende l’anima e alla fine non si uccide: privo di ombra, è però ancora libero di dedicarsi alla conoscenza.
Schlemihl e Mattia Pascal
Forse qualcuno ricorderà che un capitolo del celebre romanzo di Pirandello è intitolato “io e l’ombra mia”. C’è qualcosa che accomuna profondamente Mattia Pascal a Schemihl: entrambi hanno perso il proprio ruolo nella società. Inizialmente ciò è percepito come una perdita intollerabile, tanto che Mattia Pascal vorrebbe sbarazzarsi, ironia della sorte!, proprio della sua ombra.
Chi era pià ombra di noi due? io o lei? Due ombre! […] Ma sì! così era! il simbolo, lo spettro della mia vita era quell’ombra: ero io, là per terra, esposto alla mercè dei piedi altrui. Ecco quel che restava di Mattia Pascal, morto alla Stìa: la sua ombra per le vie di Roma.
Alla fine però la perdita dell’ombra-identità non si rivela poi così negativa. In quest’ulteriore chiave di lettura, quindi, possiamo interpretare leggere l’ombra di Schlemihl come l’incarnazione della sua identità borghese: più del denaro e certamente più della virtù, l’ombra rappresenta la sua rispettabilità. Ma che farsene, alla fine, di questa rispettabilità? Che farsene di un’identità attribuitaci dagli altri?
Così Chamisso conclude il suo racconto:
Se vuoi vivere tra gli uomini, impara a rispettare prima la tua ombra, e dopo il denaro. Se però vuoi vivere solo, e per la parte migliore di te stesso, oh, allora davvero non hai bisogno di alcun consiglio.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Storia straordinaria di Peter Schlemihl e altri scritti sul “doppio” e sul “male”, Chamisso
Il fu Mattia Pascal, Luigi Pirandello
[1] dalla prefazione a cura di Enrico de Angelis
per ulteriori spunti di riflessione: http://lafrusta.homestead.com/fili_neri_chamisso.html
immagine in evidenza: Ernst Ludwig Kirchner, Peter Schlemihl’s Wondrous story, particolare
fonte immagini: google