Molti conoscono il mito delle origini di Eros, raccontato da Socrate nel celebre Simposio di Platone. Ma Socrate, a sua volta, sta raccontando ciò che un’altra persona gli aveva insegnato, una donna di Mantinea, Diotima, maestra in quello (l’amore) ed altri campi.
La figura di Diotima, per bocca della quale apprendiamo una delle tante sfaccettature dell’Amore, non è rimasta ignota alla tradizione moderna: il poeta tedesco Friedrich Hölderlin, il tormentato, folle Hölderlin, ha elevato al rango di musa ispiratrice Susette Gontard, l’amore della sua vita, dedicandole una gran quantità di poesie col nome di Diotima e un ruolo da protagonista nel romanzo epistolare Iperione (pare che, al momento della pubblicazione del secondo volume, ne avesse inviato una copia alla sua amata con la dedica “A chi, se non a te?”).
Diotima nel Simposio
Come abbiamo detto, è Diotima ad aver insegnato a Socrate molte cose sull’amore, distogliendolo dai suoi pregiudizi. Socrate era infatti convinto che Eros fosse un dio bello e potente: come immaginare altrimenti il custode di un sentimento tanto elevato? Eppure è proprio questo, afferma Diotima, il grande errore: Eros non è bello né valente e, nonostante ciò, non possiamo considerarlo brutto oppure indegno.
Eros brucia di voglia per le cose di valore e per le cose belle, proprio per la loro assenza: non le ha.
Questo è il nodo del concetto di amore secondo Diotima, che vedremo chiarito grazie al mito sulle origini del demone. Ricordiamo che Platone attribuiva un grande valore al mito, capace di alludere ad un concetto non esprimibile altrimenti, indicibile eppure veritiero: in questo caso, il mito ci chiarisce la natura e il ruolo di Eros. Egli non è un dio né un uomo: è un semidio, un demone, un intercessore dal mondo umano alle divinità e dal divino all’uomo. Mettetevi comodi e ascoltate la storia di Diotima.
Al gran banchetto in onore della nascita di Afrodite erano presenti molti dèi, tra cui Póros, “espediente”, “ingegno”, e Penìa, “povertà”, attratta a fine pranzo dall’abbandonza della tavolata. Approfittando dell’ebbrezza di Póros, Penìa gli si sdraiò accanto e restò incinta di Eros.
Proprio perché figlio di Póros e Penìa, Eros si è trovato conformato nel seguente modo. Primo: è perennemente affamato, altro che stupendo e vellutato, come la maggioranza pensa. Ruvido, ispido, scalzo, sfrattato, buttato sui sassi, sempre, senza un letto, dorme ai quattro venti sulle soglie, per le strade, poiché ha in sé la fibra della madre. Coinquilino eterno di miseria. Per parte di padre è predone, ai danni di belli e valorosi, cacciatore fantastico, sempre ad annodare trappole […] La realtà è questa: nessun dio è appassionato di sapere o arde di farsi maestro – è già maestro – come nessun altro maestro vuol diventar maestro. D’altra parte quelli completamente all’oscuro non vogliono affiliarsi alla sapienza, non hanno quell’ardore, dentro, a divenir maestri.
Tramite queste ultime parole, Diotima esprime a Socrate non solo l’essenza di Eros, “in bilico fra maestro e ignorante”, ma anche di tutti coloro che da Eros sono colpiti, ossia degli amanti: non possiedono l’oggetto del loro amore, ma neppure lo ignorano; tendono ad esso e in questa tensione si esplica l’amore.
Forse stiamo correndo un po’ troppo. Perché parlare di tutto ciò? Il nostro obiettivo era, in realtà, capire chi fosse Diotima… ma quest’idea di amore non è stata accantonata, anzi torna prepotentemente in modo ciclico nella letteratura e una delle sue più evidenti presenze è in alcuni autori tedeschi, tra cui – appunto – Hölderlin.
Hölderlin, le poesie e Iperione
Dobbiamo preliminarmente mettere in chiaro una cosa: Hölderlin non è un romantico. Cronologicamente, le sue opere precedono di pochissimo quelle del celebre circolo di Jena, ma concettualmente c’è un abisso a separarli: tanto i romantici sono ottimisti, quanto Hölderlin è tormentato e lacerato da un conflitto insanabile.
A tormentarlo, infatti, c’è qualcosa che nella letteratura italiana risulterà familiare a molti, perché un celebre passo dello Zibaldone di Leopardi pone lo stesso problema: la frattura tra mondo classico e mondo moderno, quell’irraggiungibile felicità che pervadeva gli antichi, unitari e perfetti nella loro armonia, e che ha per sempre abbandonato il mondo dei moderni. Hölderlin, come Leopardi, si schierava dalla parte del mondo classico… ma proprio come Leopardi, lo faceva in un modo tutto suo, malinconico e un po’ cinico, consapevole dell‘impossibilità della sua aspirazione: in un modo, se vogliamo, romantico.
La figura di Diotima rappresenta, in Hölderlin, il richiamo a quell’unità e a quell’armonia del mondo classico a cui il poeta aspirava senza riuscire mai a raggiungerla: una felicità agognata, ma inarrivabile. Abbiamo dunque richiamato il mito di Eros, raccontato dalla Diotima platonica, per spiegare la figura di un’altra Diotima, quella di Hölderlin:
Vieni e placami questo Caos del tempo, come una volta,
Delizia della celeste musa, gli elementi hai conciliato.
Ordina la convulsa lotta coi tranquilli accordi del cielo,
Finché nel petto mortale ciò ch’è diviso si unisca,
Finché l’antica grande e placida natura dell’uomo,
Fuor dal fermento del tempo, possente e serena si levi. […]
Il Caos del tempo è la barbarie in cui, secondo Hölderlin, versa la modernità: gli uomini sono troppo presi dai loro impieghi quotidiani, troppo occupati a identificarsi nel proprio lavoro e troppo egoisti perfino per accettare la libertà che la rivoluzione francese aveva fugacemente prospettato; sono operai, ma non uomini, pensatori, ma non uomini, sacerdoti, ma non uomini, padroni e servi, giovani e gente posata, ma non uomini… [1] hanno perso, insomma, l’essenza della loro umanità.
Abbiamo preso in prestito queste ultime parole da una lettera di Iperione, protagonista dell’omonimo romanzo epistolare innamorato di una donna di nome Diotima. Anche qui ritorna l’immagine di un essere superiore, la cui sola presenza è benefica perché infonde un senso di pace nel protagonista:
…ella stava innanzi a me nella sua immutabile bellezza, spontanea, in una sorridente perfezione e ogni aspirazione, ogni sogno della mia mortale esistenza, ah! tutto ciò che, dalle più alte regioni, ,il genio può presagire, nelle dorate ore del mattino, era tutto compiuto nella serenità di questa unica anima.
Ma Diotima non è solo l’emblema dell’armonia perduta: è anche una creatura estremamente saggia, forse l’unica persona saggia in tutto il romanzo. Iperione (come Hölderlin) desidera ardentemente la sua saggezza e la sua armonia proprio perché non la possiede.
Nonostante tutta la sua saggezza, Iperione si getta in un’avventura rivoluzionaria che sarà causa di molte sue sofferenze future: quel mondo classico vagheggiato e tanto amato non può riproporsi nel presente, il suo amore – la sua tensione, in senso platonico – lo porterà necessariamente all’isolamento e al rifiuto del barbaro mondo presente. Così, come la poesia prima menzionata si conclude con uno scenario paesaggistico dalle sfumature temporalesche e sublimi, Iperione rivolge il suo amore alla natura, ultima depositaria del suo legame con il mondo.
Ma il sole dello spirito, il mondo felice è peritoe in glaciale notte s’azzuffano gli uragani.
Fonti
Simposio, apologia di Socrate, Critone, Fedone, Platone, a cura di Ezio Savino
Iperione, Friedrich Hölderlin
http://machiave.blogspot.it/2013/01/friedrich-holderlin-diotima.html