Esiste ancora la questione meridionale? Il divario tra Nord e Sud non accenna a diminuire, ma come è stato affrontato questo problema nella storia d’Italia?
Si è svolta il 4 Febbraio 2016 una lezione del professor Giuseppe Galasso organizzata dal Centro Guido Dorso di Avellino intitolata La questione meridionale, oggi. Un problema, come anticipato dallo stesso Galasso, per certi versi “imbarazzante” perchè quasi del tutto scomparso dall’agenda politica. Lo storico registra tre diversi atteggiamenti. Il primo è quello di una negazione non teorica ma pratica: se ne è parlato tanto, non si può risolvere. Quindi si tratta di una ignoranza deliberata. Il secondo è invece quello di chi parla della questione meridionale ma senza ritenerla una priorità. Il terzo invece è quello leghista, che parla di un Nord che produce a dispetto di un Sud pigro che vorrebbe solo consumare. La questione meridionale di oggi non si può però comprendere senza conoscerne la storia.
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Il caso Abruzzo
Ci sono regioni che, pur non appartenendo geograficamente al Meridione, erano– o sono tuttora – assimilabili al Mezzogiorno per le condizioni socioeconomiche quali la Sardegna e l’Abruzzo. Galasso considera anzi quest’ultimo un caso paradigmatico della questione meridionale. Regione di carattere prevalentemente agricolo, l’Abruzzo entrò in crisi nella seconda metà dell’800 con l’irruzione della civiltà industriale che spiazzò tutto il Mezzogiorno d’Italia. Per diverse cause, tra le quali una prima forma di globalizzazione economica che non permetteva alla lana abruzzese di competere nel mercato, l’Abruzzo si vide improvvisamente privato della sua economia e il risultato fu un esodo di massa.
Dall’’Unità d’Italia al fascismo
Due decenni dopo l’unificazione italiana, erano ormai chiare a tutti le condizioni in cui versava il sud Italia. I primi governi italiani, soprattutto quelli di Giolitti, si impegnarono in interventi importanti come la realizzazione dell’Acquedotto pugliese. Il fascismo ebbe invece un atteggiamento particolare nei confronti della questione meridionale. Da un lato la si negava ma dall’altra si portava avanti una politica meridionalista che portò all’industrializzazione di Crotone e al potenziamento del porto di Pescara. Nell’Enciclopedia Italiana, la voce relativa alla questione meridionale (1932) curata dallo storico Raffaele Ciasca, se ne parlava come di un problema ormai risolto dal fascismo.
Il Dopoguerra: 50 anni di politica meridionalista
La classe dirigente della Prima Repubblica si dimostrò sempre molto sensibile alla questione meridionale, inserendola però in una visione economica di più ampio respiro. Nei primi anni del Dopoguerra, molti credevano che quello meridionale fosse un problema soprattutto agrario. Il successivo boom economico suggerì in seguito di concentrarsi sulla carenza infrastrutturale. Fu quindi il grande periodo degli interventi infrastrutturali che portarono l’acqua e la corrente a quasi tutto il territorio meridionale.
Ben presto però ci si rese conto che le infrastrutture erano solo uno dei prerequisiti dello sviluppo, non potevano fare da stimolo per un processo di industrializzazione. Questo stimolo si pensò di indurlo dall’esterno con un intervento diretto che non riuscì però a creare di più delle famose “cattedrali nel deserto”. Nell’analisi di Galasso, è da allora che politica meridionalista divenne sempre più affannosa. Nessun intervento, dopo tanti anni di sforzi, era riuscito a favorire la nascita di un capitalismo meridionale.
Gli anni Novanta e l’accantonamento della questione meridionale
Spazzata via la classe dirigente della Prima Repubblica, anche la questione meridionale cadde nel dimenticatoio. Le nuove forze politiche non si dimostrarono particolarmente interessate al problema dello sviluppo del Mezzogiorno, oppure erano del tutto ostili come la Lega Nord di Umberto Bossi. L’attuale emarginazione del Mezzogiorno è nato da questo disinteresse della classe politica che perdura tutt’oggi.
Ma l’attuale assenza di una politica meridionalista è necessariamente un male? Secondo Galasso la risposta è negativa. Visto anche il bilancio fatto di luci e ombre delle vecchie politiche, la soluzione non può venire da un ritorno al passato.
Per una speranza di sviluppo
Secondo Galasso, aiutare il Mezzogiorno vuole dire considerarlo – e coinvolgerlo – nel quadro delle politiche economiche nazionali ed europee, tenendo presente che il Sud non parte da zero e che le eccellenze devono essere connesse per creare un nuovo contesto socieconomico. Quello meridionale non è un problema settoriale ma globale: non si può pensare di investire nello sviluppo di singoli settori, che siano il turismo o i servizi; un problema globale deve essere affrontato in modo globale, con l’intervento di tutta la società. Ma per fare questo è necessaria la politica, una classe dirigente di grande ispirazione come quella degli anni Quaranta e Cinquanta, mentre, purtroppo, attualmente si registra una grave deficienza etico-politica non solo a livello nazionale ma anche europeo.
Ettore Barra