Questa commedia di Eduardo, rappresentata più volte al “suo” San Ferdinando e anche per gli schermi nel 1959, presenta un ben evidente rimando a Shakespeare, al Sogno di una notte di mezza estate. Del resto, è lecito cercare delle connessioni tra il più grande commediografo di sempre e l’autore inglese (del resto aveva tradotto in napoletano antico La Tempesta), così come, trattandosi di Eduardo, sarà perdonabile in questo scritto un tono più in linea con la sacrosanta ironia delle sue pièce.
Tuttavia le analogie finiscono qui e la vera e propria fonte di ispirazione è un’altra: Sogno di una notte di mezza sbornia (1936) è un libero adattamento de La fortuna si diverte, dell’amico Athos Setti.
In Eduardo, in ossequio alla manifestazione verace dello spirito napoletano all’interno delle sue opere, il tema del sogno gioca una funzione essenziale, sviluppandolo in tanti modi diversi quante le opere in cui è presente. Per dare un’idea di cosa rende particolare il tema del sogno della commedia in questione, lo paragoneremo alla dimensione onirica presente in altre due: Non ti pago (1940) e Le voci di dentro (1948).
La città come palcoscenico
Come osserva M. Gaudiosi¹, la definizione geografica degli spazi in cui sono ambientate larga parte delle sue commedie ha costituito una caratteristica in più in grado di conferire realismo e spessore alle vicende rappresentate. Sebbene non rilevante in Non ti pago e Le voci di dentro, nel Sogno di una notte di mezza sbornia il vicolo napoletano entra prepotentemente in casa Grifone, con i suoi schiamazzi e i suoi colori – così come accade del resto ne Il Cilindro, De Pretore Vincenzo o Napoli Milionaria.
In queste commedie il limite tra interno domestico e la strada è assai labile, e stabilisce tutta una gerarchia di rapporti dal diverso esito rispetto alle commedie di ambientazione più chiusa; spesso le indicazioni fanno riferimento a quartieri precisi: Via dei Cristallini ne Il Cilindro, palazzo Magnocavallo in Uomo e galantuomo, il pallonetto di Napoli Milionaria o ancora la Via San Liborio citata in Filumena Marturano sono ambienti che non avrebbero bisogno di presentazioni, ma che proprio per questo la sola esistenza offre già ottimo palcoscenico teatrale prefabbricato.
Eduardo tentava di dipingere la miseria presente in alcune zone della Napoli dell’epoca, come soleva rispondere a chi lo accusava di porre Napoli in cattiva luce:
Certi giornali hanno scritto che io denigravo Napoli. Ma io […] i “bassi” li ho ripuliti. Eppoi cosa deve fare l’artista se non “denunciare” uno stato di cose? Questo è il nostro compito. Io non ho denigrato Napoli, ma in altri film farò vedere com’è veramente, farò vedere gli interni, farò vedere tutta la realtà di Napoli. […] La miseria c’è veramente. E io la denuncio.²
Il sogno di Pasquale
Ma torniamo a Sogno di una notte di mezza sbornia: Pasquale Grifone è un povero squattrinato che arriva con difficoltà alla fine del mese; è conosciuto in famiglia per una certa sua predilezione alla bottiglia di vino, e quindi preso coi guanti un po’ da tutti. Perciò viene accolto con una beffarda indifferenza quando una mattina ritorna a casa palesemente sconcertato, affermando che lo Stato gli avrebbe pagato 40 milioni di lire. In realtà, come comincia a raccontare, questa sua ostentata sicurezza proviene dalla certezza di aver vinto una quaterna secca grazie a dei numeri ottenuti in sogno nientemeno che da Dante Alighieri in persona, per premiarlo della devozione con cui Pasquale conserva un suo busto marmoreo in casa.
Tuttavia l’opinione che la famiglia, in special modo la moglie (interpretata nella versione cinematografica del 1959 da Pupella Maggio) nutre verso di lui non cambia nemmeno quando il sogno si avvera e un vero e proprio patrimonio si riversa nella casa; divenuti infatti degli arricchiti, quelli che a Napoli si definiscono accostando le immagini di un aggettivo poco cortese ad una ripida pendenza, la famiglia continua a prestargli poca credibilità, soprattutto in merito alla paranoia che lui ha sviluppato a causa della terribile maledizione a cui doveva accompagnarsi la fortunata uscita dei numeri.
Fermiamoci qui con la trama, che sicuramente non merita di essere svelata, e guardiamo meglio il contesto del sogno.
Una delle grandi abilità narrative di Eduardo sta, nel presentare fatti surreali, nell’accompagnare dolcemente lo spettatore ad immedesimarsi gradualmente nel contesto assurdo e a renderlo plausibile: in Le voci di dentro infatti, Alberto Saporito è incapace di discernere la realtà dalla finzione, credendo di aver testimoniato alla brutale uccisione del suo amico Aniello da parte della rispettabile famiglia Cimmaruta. Una serie di dettagli realistici ma indistinti lo rende insicuro di aver sognato, ma intanto ha già provveduto a denunciare la famiglia alle forze dell’ordine; il lettore si ritrova partecipe del bizzarro dramma di Alberto quando, a partire dalle scene iniziali, i mattinieri componenti della famiglia Cimmaruta hanno raccontato a loro volta dei singoli e cruenti sogni di quella stessa notte.
Il sogno in Non ti pago è strettamente legato alla superstizione e alla credenza popolare dei morti dispensatori di numeri del lotto, così come in Sogno: l’ostinato Ferdinando Quagliuolo, giocatore irriducibile di schedine del lotto, ritiene che il fortunatissimo Mario Bertolini si sia appropriato di un sogno destinato a lui, avendo Mario sognato il padre del protagonista, che gli avrebbe consegnato una quaterna secca. Il lettore è condotto a non dubitare dell’eventualità che i cari estinti possano davvero consegnare sistematicamente i numeri del lotto sin dalle prime scene della commedia, quando il factotum di Ferdinando racconta delle notti passate col padrone a scrutare le nuvole in cerca degli “auspici” da interpretare per desumerne la cabala dei numeri. Tuttavia nella commedia si mette continuamente in discussione il lavorio della fantasia o l’effettiva presenza del soprannaturale.
In Sogno di una notte di mezza sbornia questi elementi sono del tutto rovesciati: non si tratta di stabilire quanto ci sia di immaginario in un sogno che viene da subito presentato come reale e plausibile, ma quanto c’è di vero in un sogno che si presenta fin da subito come inattendibile, perché Pasquale Grifone, ripetiamo, ammette di aver consumato mezzo litro di vino la sera precedente. Il resto della commedia dovrebbe provare che il sogno era davvero premonitore, ma la cinica famiglia di Pasquale, oramai votata unicamente alla cura del patrimonio, non gli concede nemmeno l’attenzione di soffermarsi sulle ansie e le paure dell’uomo.
In Eduardo il sogno è sì un pretesto, ma anche un canale attraverso cui far passare un messaggio: quello della mancanza di discernimento e di lucidità di fronte a ciò che sembra essere inesplicabile; una vera denuncia di ciò che una ragione annebbiata può indurre a credere, a fare e a dire, un elemento tipico degli strati popolari che Eduardo si è divertito a rappresentare.
Daniele Laino
Bibliografia:
- Gaudiosi M., La città dei giorni dispari. Napoli nel cinema di Eduardo, Persiani Editore, 2013
- Da un articolo di A. Pancaldi su L’Unità del 10 ottobre 1950.
Documenti e immagini dall’Archivio De Filippo