Lang: dalla Germania agli Usa
Quando Fritz Lang decise di lasciare la Germania per ragioni politiche, non avrebbe mai immaginato probabilmente di continuare a creare capolavori cinematografici nonostante fosse lontano da quella Germania e da Vienna, che agli inizi del novecento si erano distinte come centri nevralgici della sperimentazione artistica in ogni campo: dal cinema al teatro, passando per l’arte fino ad arrivare alla psicanalisi. Eppure la scelta ripagò Lang, dove negli Stati Uniti poté continuare la sue opere cinematografiche, consacrandosi definitamente come uno dei grandi maestri della storia del cinema, un dato di fatto molto più che un’opinione; del resto in Germania e successivamente in Austria, si andava concretizzando un periodo buio per l’arte, non necessariamente qualitativamente (basti pensare alle straordinarie qualità di Leni Riefenstahl) ma soprattutto per la libertà dell’artista, e in particolar modo per il cinema, che divenne strumento fondamentale per la propaganda del regime nazista, sotto la supervisione di Goebels, il quale aveva proposto a Lang la direzione dell’industria cinematografica.
Giunto negli Stati Uniti, Lang non dimenticò quanto fatto e appreso in terra tedesca e austriaca, e nonostante qualche lavoro di qualità inferiori ad altri lavori, giustificato dal vortice delle produzioni hollywoodiane, il nostro si dedicò al western, ai film d’avventura e soprattutto al noir. Proprio nel genere noir può essere considerato La donna del ritratto, considerato uno dei migliori lavori di Lang negli States. Nel cast grandi nomi dell’epoca, alcuni dei quali lavorarono anche in altri film di Lang, in particolare il trio composto da Edward Robinson, Dan Duryea e Joan Bennett, che lavoreranno nell’altro film di Lang, La strada scarlatta che presenta dei punti di continuità con La donna del ritratto.
La donna del ritratto, la trama
Un professore universitario (Edward Robinson), stimato e riconosciuto per i suoi studi di psicologia criminale, trascorre un’esistenza tranquilla e senza grandi azioni, passata tra amici, la famiglia e il lavoro. Una vita che pare essersi svolta fin’ora in un clima piacevole, agiata, e conforme alla posizione occupata dall’uomo all’interno della società. In un giorno d’estate, il professore deve separarsi dalla famiglia, restando per un po’ da solo in città. Tutto sembra procedere come sempre, tra passeggiate e chiacchierate con gli amici, fino a che camminando viene colpito dal ritratto di una donna (Joan Bennett), dallo sguardo enigmatico e ammaliante. Dopo non poco tempo, la donna prende vita, diventando reale in carne e ossa, in un gioco di immagini riflesse nei vetri: da qui comincia un vortice di vicende, personaggi, eventi, crimini, che procederanno verso un finale che svelerà quanto accaduto.
Un noir sui generis, tipicamente langiano e onirico
Sarà perché diretti da Lang, o per l’impareggiabile bravura degli attori del passato, ma c’è la percezione che gli interpreti di questo film sembrano essere perfetti per i loro personaggi. In particolar modo Edward Robinson e Joan Bennett: i due protagonisti. Il primo perfetto nell’interpretare un personaggio mite, amante della sua vita rispettabile, ma improvvisamente stravolto da un incontro al quale si susseguono una serie di eventi che trasformano in realtà tutto ciò che fin’ora l’aveva toccato in quanto professore ma non direttamente. La Bennett, invece, è la femme fatale, un personaggio il cui incontro determina lo stravolgere della situazione e il completo rovesciamento di ogni razionalità del personaggio, spesso maschile, per il quale la donna in questione diventa una meta irraggiungibile; entrambi ripeteranno, da un punto di vista interpretativo, un’interpretazione forse pure migliore di quella in questo film, nel lavoro successivo La strada scarlatta. Oltre ai due personaggi ritroviamo i classici elementi del noir, che sono arrivati fino ad oggi, come le sparatorie notturne, le atmosfere sinistre, le strade deserte e il delitto, sul quale si sviluppano le indagini.
Il film è fortemente incentrato sul tema del sogno, del doppio, in un continuo muoversi tra il bene e il male, tra la coscienza e l’incoscienza. Può essere considerato inoltre un romanzo di formazione onirico, nel senso che il protagonista impara una lezione, pur non sperimentandola realmente (un po’ come l’Alice di Eyes wide shut), in questo caso è la rappresentazione di ciò che accade ad un tranquillo professore che si ritrova improvvisamente travolto da donne incantevoli, omicidi e agenti spietati.
La donna del ritratto oltre ad avere le caratteristiche tipiche del noir, presenta alcuni degli elementi distintivi del cinema di Lang. Innanzitutto come un artista prepara ogni dettaglio della scena da rappresentare sulla tela, così Lang caratterizza questo film con il suo rigore visivo, prestando massima attenzioni ad ogni particolare, fino a raggiungere il massimo equilibrio scenografico e visivo, ma la scena non si ferma al solo rigore e alla bellezza visiva, ma è anche caratterizzata da un continuo coinvolgimento narrativo, unendo così appunto cura dell’immagine al ritmo narrativo incalzante. A questo si aggiunge il fatto che il continuo susseguirsi delle indagini e la frequenza di certi personaggi, viene scandito da un alternarsi di toni drammatici, ironici fino a raggiungere il massimo dell’inquietudine con improvvisi colpi di scena. È per questi motivi ed altri ancora che La donna del ritratto non è solo un noir ben riuscito, ma è un lezione cinematografica, una pietra miliare e un film, che visto in coppia a La strada scarlatta, mostra la grande versatilità di Lang, e la continuazione di quanto di buono fece nel vecchio continente prima di abbandonarlo.
Roberto Carli