Loki è uno dei più affascinanti tra gli dèi che popolano i miti nordici, e non perché Tom Hiddleston abbia prestato il volto alla sua controparte cine-fumettistica (anche se la cosa certamente non guasta), ma perché le sue azioni lo rendono un personaggio ambiguo e polivalente. Perfino l’etimologia del suo nome è incerta: è stata spessissimo ripresa l’analogia con il sostantivo logi, fiamma, ma non c’è nulla di certo e non ci sono episodi in cui Loki si caratterizza in quanto “dio del fuoco”.
Figlio di un gigante e padre di creature mostruose, dio metamorfico e dissacratore: scopriamo insieme i suoi tanti volti.
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“Trickster”: l’ingannatore
Negli studi sulla mitologia, sul folklore e sulle figure archetipiche della tradizione orale e scritta delle origini si parla di “trickster“, letteralmente “ingannatore”, per indicare un personaggio estremamente intelligente che sfrutta questa sua dote per prendersi gioco di quelli che ha intorno. Data questa definizione approssimativa, è chiaro che un trickster possa mettere in pratica i suoi scherzi o inganni in una gran varietà di modi, ma spesso essi sono volti a dissacrare le convenzioni comunemente accettate. Per questo motivo, il trickster è un personaggio “di confine” che gioca con la morale e vìola non solo i principi sociali, ma anche l’ordine naturale delle cose.
Loki è il trickster per eccellenza della mitologia nordica: citiamo quindi due episodi emblematici delle sue malefatte, raccontate nell’Edda poetica o nell’Edda di Snorri.
Nel Lokasenna (“insulti di Loki”) il dio, espressamente bandito dal gigante Ægir al suo banchetto per avergli ucciso un servo, torna indietro e inizia ad infamare a turno tutti gli dèi presenti, accusandoli ora di codardìa, ora di disonestà, ora di lussuria sfrenata. Solo all’arrivo di Thor, Loki finalmente tace, consapevole che egli è l’unico disposto a misurarsi con lui in uno scontro:
Davanti agli Asi ho detto davanti ai figli degli Asi ho dettoquel che l’animo mi ispirava;soltanto davanti a te me ne devo andareperché so che sei capace di dar battaglia.
L’episodio è interessante per chiarire ciò a cui avevamo accennato: Loki è l’incarnazione del male perché avvelena l’esistenza, la perverte e la dissacra. Egli stesso, prima di entrare nella sala del banchetto, afferma:
astio e lite possa io portare ai figli degli Asie per loro al nettare mescolare il malanno.
Loki è nemico dell’ordine cosmico, portatore di discordia e distruttore dell’armonia, ma nella cosmologia norrena ogni principio, anche quello maligno, ha una sua ragion d’essere e per questo motivo Loki può essere punito, ma non eliminato dall’universo. Per lo stesso motivo, egli soccorre Thor aiutandolo a recuperare il suo Mjöllnir: un’azione insolita perché apparentemente compiuta a fin di bene, ma che si inserisce perfettamente nell’immaginario scandinavo, il cui mondo è caratterizzato da un equilibrio instabile (si pensi all’albero cosmico Yggdrasill, le cue radici sono rose dalle serpi: ne abbiamo parlato qui) destinato a finire nel giorno del Ragnarök: né prima, né dopo.
Loki è anche il protagonista di un’esemplare punizione divina, inflittagli a causa del crimine più efferato da lui commesso. Egli si è infatti reso colpevole della morte di Baldr, figlio di Odino.
Snorri racconta che Baldr, il buono, aveva sognato di essere in pericolo mortale: gli Asi decisero allora di proteggerlo da qualsiasi danno, intimando a ogni essere (animale, pianta, metallo, minerale o malattia) di giurare che Baldr fosse risparmiato. Tutti scagliavano qualcosa contro Baldr e quello non si faceva nulla; Loki allora, avendo fiutato la possibilità di un inganno coi fiocchi, prese le sembianze di una donna per sapere da Frigg, la moglie di Odino, se ci fosse un essere che non aveva prestato giuramento. Frigg, che mai poteva immaginare di avere davanti il dio degli inganni sotto mentite spoglie, confessò che il vischio, essendo così giovane, non aveva giurato. Loki si rivolse allora ad Hǫðr, che era cieco, gli porse il vischio e quello, puntando contro il fratello, lo uccise.
Loki non fu solo colpevole della morte di Baldr, ma anche della sua mancata “resurrezione”: la custode del regno dei morti, Hel, decretò infatti che, se tutti gli esseri del mondo avessero pianto la sua morte, Baldr sarebbe tornato a vivere. L’unica a non piangerlo fu una vecchia, Thökk:
Thökk piangerà con occhi asciutti il viaggio di Baldr fino al rogo; dal figlio del vecchio né vivo né morto mai ebbi vantaggio: tenga Hel quel che ha.
Pare che, sotto mentite spoglie, fosse ancora una volta Loki ad aver portato disgrazie tra gli Asi.
La punizione fu esemplare: incatenato a tre massi fino alla fine del mondo, un serpente velenoso gli penzola sulla testa e gocce del suo veleno gli stillano sulla fronte, facendolo agitare tanto da scuotere tutta la terra, provocando i terremoti. La fedele moglie di Loki, Sigyn, raccoglie le gocce di veleno in una catinella, ma quando si allontana per andare a vuotarla il tormento di Loki riprende.
I figli di Loki
Non solo dispensatore di discordia e disgrazia, ma anche generatore del male, Loki è padre di una genìa di forze demoniache destinate a grandi azioni nell’ultimo giorno, il Ragnarök, di cui parleremo più ampiamente nel prossimo articolo.
Con la gigantessa Angrboða, Loki generò tre figli: il lupo Fenrir, Jörmungandr (anche detto Miðgarðsormr, cioè “Serpente di Miðgarðr”) e Hel. Gli dèi, venuti a conoscenza di quale prole venisse allevata in Jötunheimr, dimora dei giganti, richiamarono i tre fratelli al loro cospetto per stabilire le loro sorti, limitando al minimo i danni che essi avrebbero potuto arrecare. Il serpente fu gettato nelle profondità dell’oceano, dove crebbe tanto da avvolgere le sue spire intorno a tutta la terra; Hel fu confinata nel mondo più freddo, Niflheimr, che da allora divenne la sua dimora e il luogo dove giungono i morti di vecchiaia o malattia; fu Fenrir però a creare maggiori problemi. Il lupo, allevato tra gli Asi ad Ásgarðr, cresceva in modo smisurato e tutte le profezie lo indicavano come massima sciagura. Si decise allora di incatenarlo, ma i primi due tentativi fallirono miseramente. Solo con l’inganno, infatti, si riuscì a imprigionare il figlio di Loki: i nani prepararono un laccio magico di nome Gleipnir, sottile come un nastro di seta, che diventava più stretto quanto più veniva teso. Fenrir non aveva voglia di sottoporsi all’ennesimo tentativo di essere legato, per cui gli dèi lo convinsero che, dopo aver infranto catene ben più robuste, il possente lupo non avrebbe certo avuto problemi a spezzare un semplice nastro. Pungolato nell’orgoglio, Fenrir volle però una garanzia: il dio Týr, l’unico che aveva il coraggio di avvicinarglisi per dargli da mangiare, pose la sua mano destra nelle fauci del lupo.
E quando il lupo punta i piedi e fa forza il laccio si fa più duro e quanto più duramente egli si affaticava tanto più la corda incideva nel corpo. Allora tutti risero, fuorché Týr. Egli perse la mano. […] Allora disse Gangleri: “che progenie straordinariamente maligna generò Loki. Ma sono tutti potenti coloro che appartengono a questa stirpe. Ma perché gli Asi non uccisero il lupo dal momento che si aspettano da lui tutto il male?” Hàr risponde: “gli dèi tengono in tal conto i loro luoghi sacri e quelli consacrati alla pace che non vollero macchiarli con il sangue del lupo, sebbene, a quanto dicono le profezie, sarà lui l’uccisore di Ódhinn.”
Con la fedele Sigyn, Loki ha generato Vàli e Nari, ma egli può vantare tra la sua prole anche Sleipnir, il leggendario cavallo a otto gambe di Odino, generato da lui stesso trasformatosi in puledra, e le streghe, da lui partorite proprio come fosse una donna. L’ambiguità sessuale si aggiunge dunque alle connotazioni del dio.
Un ragno tessitore
Loki è, infine, accostabile alla figura dello sciamano per il tipo di magia che pratica, seiðr, che etimologicamente ha a che fare col verbo “legare”: fare magia nel senso di creare vincoli. Per questo motivo alcuni studiosi hanno rifiutato le interpretazioni tradizionali del suo nome (logi, “fiamma” o anche lopt, “aria”) e lo hanno accostato alla parola Locke, che in alcuni dialetti scandinavi indica il ragno. In effetti a Loki è attribuita l’invenzione della rete per pescare ed è menzionato, con un altro nome, tra gli dèi che diedero vita alla stirpe degli uomini.
Il ragno, come Loki, è creatore (perché tesse) ma è anche ingannatore ai danni delle creature che restano imbrigliate nella sua tela.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
I miti nordici, Gianna Chiesa Isnardi
Il canzoniere eddico, Garzanti
Edda, Snorri Sturluson, a cura di Giorgio Dolfini, Adelphi