Miguel Hernández: il poeta pastore
Miguel Hernández è uno di quei pochi poeti che hanno avuto il coraggio di passare dalla campagna alla città, uno di quelli che ha sperimentato il più possibile esplorando dapprima uno stile alto, ricco e pomposo, principalmente attaccato alla forma dei componimenti che si rifacevano al secolo d’oro della letteratura spagnola fino ad arrivare ad esplorare i lati più puri della poesia, facendo spazio a quella che all’epoca era chiamata la “poesia comprometida” cioè componimenti letterari ricchi di sentimenti profondi e veritieri, che non avevano bisogno di sfarzosi esercizi di stile per essere condivisi con i lettori.
La storia di Miguel Hernández comincia nel 1910 in un piccolo paesino di provincia, Orihuela, dove aiutava la famiglia come pastore di capre (uno dei pochi possedimenti della famiglia) e per questo motivo dai primi anni della sua carriera si è guadagnato la nomea di “poeta pastore”.
L’amore e la passione per la pratica letteraria si sono fatti vivi sin dai primi anni della sua infanzia, quando cominciò a frequentare la scuola del paese -di impianto profondamente religioso. Durante l’adolescenza però Miguel Hernández fu costretto ad abbandonare gli studi obbligato dal padre a ritornare alla dura vita dei campi.
Ovviamente questo incarico gli andava stretto, così decise di studiare da autodidatta, aiutato dal collega e grande amico Ramon Sijè al quale, alla sua morte, dedicò una Elegia che è tutt’oggi considerata “il più alto poema dell’amicizia della letteratura spagnola”.
I primi esperimenti letterari furono per lui molto problematici: non perchè il talento gli mancasse, bensì quello che in realtà mancava era l’assenso del padre. Il genitore, infatti, non appoggiava per nulla l’amore che Miguel nutriva per lo studio, per questo motivo il giovane fu costretto a studiare e a scrivere di nascosto durante la notte.
Fu durante questo periodo che si dedicò alla sua prima importante opera: Perito en lunas. Questa opera rifletteva molto la moda gongoriana del momento, in cui è evidente una lotta tenace tra la parola e la sintassi, una forte elaborazione metaforica dove è evidente una fortissima attenzione allo stile.
Alla scoperta di nuovi orizzonti
Una volta cresciuto, però, Miguel Hernández capì di aver bisogno di repirare un’aria nuova, lontano dalle ristrettezze mentali in cui era chiusa Orihuela, e trovare esperienze più stimolanti per il suo genio, così nei primi anni del 1930 partì per Madrid, dicendo addio al suo mestiere di pastore, ad un padre troppo poco aperto ed alla donna che fino a quel momento era stata nella sua vita e che aveva amato, Josefina Manresa.
La prima esperienza nella metropoli fu disastrosa così, non avendo trovato lavoro o qualche spiraglio per la sua carriera, decise di far ritorno alla piccola realtà di Orihuela. Non dandosi pervinto però e più combattivo di prima, circa un anno dopo decise di ritentare la fortuna e questa volta finalmente la ruota girò dalla sua parte. In questi anni scrisse una famosissima raccolta di poesie -principalmente sonetti- intitolata El rayo que no cesa in cui la direzione delle sue composizioni subisce una svolta radicale, pronto ormai ad abbandonare l’attenzione allo stile per volgere lo sguardo sul semplice sentimento profondo e puro.
A Madrid si fece conoscere, però, principalmente grazie ad un testo teatrale che riscosse molto successo, ottenne lavori in varie redazioni ed entrò in contatto con molti dei suoi mentori, gli scrittori più in voga dell’epoca: i membri della generazione del 27. Strinse molto con Rafael Alberti, Pablo Neruda e Vicente Aleixandre (questi ultimi due lo fecero avvicinare al surrealismo che in quegli anni stava arrivando anche in Spagna) ma un po’ meno con Federico García Lorca con cui ebbe una piccola faida.
Lo scoppio della guerra civile
Nonostante ciò, quando Lorca fu assassinato allo scoppio della guerra civile nel 1936, anche la voce di Miguel Hernández si unì al coro d’indignazione degli altri poeti, che denunciavano i tragici avvenimenti e le atrocità che stavano investendo il paese.
Miguel Hernández era molto attaccato alla sua terra e nutriva un profondo rispetto per il suo popolo così, quando la guerra fratricida si stagliò sotto i suoi occhi, decise di non restare con le mani in mano ed unirsi alla causa contro la dittatura arruolandosi nelle truppe che combattevano a favore della repubblica (tutto ciò solo dopo aver finalmente sposato il suo grande amore Josefina).
Il contributo che diede ai suoi compagni d’armi non fu solo fisico ma sopratutto morale: per smuovere gli animi e dar coraggio Miguel Hernández leggeva le sue poesie davanti platee di uomini in tenuta da combattimento che, con il fucile tra le mani, lo ascoltavano rapiti e commossi.
In queste difficili circostanze scrisse il bellissimo romanzo Vientos del pueblo me llevas in cui, quasi come dichiarazione di poetica, definiva se stesso e tutti gli altri suoi colleghi poeti “vento del popolo” perché avevano la missione, proprio come il vento che si sposta velocemente ed arriva nei punti più nascosti, di narrare i dolori e le passioni che il proprio popolo provava per farli conoscere al mondo attraverso le loro parole.
Poesie altrettanto importanti di quel periodo sono Canción del esposo-soldado e El niño yuntero in cui descrive il destino tragico di un povero bambino che, come tanti in quell’epoca, è venuto al mondo solo per lavorare e soffrire, ma alla fine della composizione il poeta apre un barlume di speranza:
¿Quién salvará a este chiquillo Chi salverà questo piccino,
menor que un grano de avena? più piccolo di un chicco d’avena?
¿De dónde saldrá el martillo Da dove verrà il martello
verdugo de esta cadena? giustiziere di questa catena?Que salga del corazón Che venga dal cuore
de los hombres jornaleros, dei braccianti agricoli,
que antes de ser hombres son che prima di essere uomini sono
y han sido niños yunteros. e sono stati bambini da giogo.
Successivamente seguì per lui un lungo periodo di peregrinazione nelle carceri di tutto il paese. Qui scriveva e riceveva lettere della moglie ed in una di queste l’amata gli comunicava che lei ed il loro piccolissimo figlio non riuscivano a trovare altro da mangiare che non fosse pane e cipolle: dopo questa comunicazione Miguel Hernández scrisse una delle sue poesie più toccanti, Nanas de la cebolla, in cui incoraggiava i suoi cari a non lasciarsi sopraffare dagli stenti e a farsi forza.
Morì così, nel marzo del 1942 alla giovane età di 32 anni, solo ma pur sempre affiancato dalla fedelissima compagna che gli era stata accanto per tutta la sua vita: la poesia.
Daniela Diodato