Quando si segue un attore dai suoi esordi, e qualche anno dopo ce lo si ritrova su un palco patinato, con la statuetta dorata in mano e con un’asta del microfono a dividere a metà la sua figura, ci si sente un po’ divisi tra orgoglio e gelosia. “Ora piace a tutti, Alicia Vikander, eh? Ma io la seguo da quando faceva i film in Svezia” potrebbe dire qualcuno la mattina del 29 febbraio.
Per una volta, qui, faremo la parte di chi, cascato dalle nuvole, ha invece conosciuto la piccola Alicia poco meno di una settimana fa – vestita del suo giallo abito da principessa, leggera, discreta ed emozionata – e ha voglia di andare all’indietro per guardare qualche altro suo lavoro.
Questi anni d’oro
di Alicia Vikander
L’Oscar è arrivato per la sua interpretazione in “The Danish Girl” (Tom Hooper – 2015), e forse anche per qualcun’altra delle prove di grande talento che ha dato negli ultimi tempi. Del film di Hooper è – si potrebbe dire – la vera protagonista, il vero centro di interesse, la figura nella quale più si potrebbe provare a immedesimarsi: tu, spettatore, lasceresti andare via per sempre la persona che hai sposato per farne fiorire un’altra al suo posto e con le medesime sembianze?
Al di là della risposta, e della domanda stessa che Alicia Vikander suscita, il conflitto e il dolore che traspaiono con così tanta naturalezza dal suo viso e dalla sua voce creano un vivo, dinamico nucleo caldo al centro dell’intera vicenda, il quale riscalda, ingloba e fa perdonare la leziosità di molte delle altre scelte del regista.
Ora, per arrivare ad un’interpretazione di pari livello, dobbiamo forse saltare a piè pari il pur carino “Il sapore del successo” (John Wells – 2015), dove ha una parte minima, e potremmo anche lasciar perdere “Operazione U.N.C.L.E.” (Guy Ritchie – 2015), in cui la Vikander, minuta, forte e chic, di sicuro non stona con il quadretto plasticoso e colorato… e nemmeno salva il film da se stesso.
No, piuttosto arriviamo a “Ex Machina” (Alex Garland – 2015), un piccolo gioiello retto solo da tre attori fenomenali: Oscar Isaac, Domhnall Gleeson e, appunto, Alicia Vikander nel ruolo di Ava, l’automa.
L’attrice è quasi incredibile: da un lato ingenuo “bon sauvage” al femminile che, nello scoprire un essere umano diverso dal suo creatore, candidamente lo usa e lo inganna per salvare se stessa; dall’altro giovane donna che scopre il suo potere sull’universo maschile e contemporaneamente la sua indipendenza da esso, in un intreccio che unisce la macchina alla creatura umana appena nata con sapienza e talento.
E ancora prima, e fra un po’
Tornando ancora più indietro si comincia a zoppicare, perché molto poco è reperibile. Potrebbe essere un’idea non malvagia guardare “Testament of Youth” (James Kent – 2014). Si tratta di una pellicola inglese che sottolinea con delicata aderenza la capacità concreta di Alicia Vikander, nei panni di Vera Brittain, di trasmettere passaggi d’animo repentini e intensi senza l’ombra di toni melodrammatici, ma anzi conservando una dignità straordinaria.
E ancora, in “Anna Karenina” (Joe Wright – 2012) Alicia è la giovanissima Kitty, la quale, pur nella sua parte di bambola di porcellana dall’animo dolce, non sfigura accanto al mastodontico personaggio che è la stessa Anna (Keira Knightley); in “Royal Affair” (Nikolaj Arcel – 2012), poi, è la regina di Danimarca Carolina Matilde di Hannover, amante del ben più vecchio dottor Johann Friedrich Struensee (Mads Mikkelsen) e mente illuminata.
È sempre stata elegante, Alicia Vikander, discreta e di bella presenza, ma non gracile o insipida. Ora, nonostante ciò, voler imparare lo svedese solo per poter guardare i suoi primi lavori potrebbe essere eccessivo… ma andare al cinema tra qualche mese per guardare “Jason Bourne” (Paul Greengrass – 2016) o “The Light Between Oceans” (Derek Cianfrance – 2016) o “Tulip Fever” (Justin Chadwick – 2016)… quello sì, quello è fattibile.
Chiara Orefice