Il Professore, Umberto Eco, ci ha lasciati ormai da circa un mese. La sua attività di ricerca ha toccato aree tra le più diverse, e le vette di consapevolezza tecnica frutto dei suoi studi sulla parola hanno fatto di lui uno dei più squisiti narratori degli ultimi decenni.
Eco si è ammantato di diverse identità di intellettuale e studioso, e tra queste è stato anche traduttore; in questo articolo, infatti, ci proporremo di evidenziare una delle più apprezzate “fatiche” letterarie di Umberto Eco, ovvero la traduzione degli Exercices de style di Raymond Queneau.
Le circostanze dell’impresa
Chiamato a tradurre un’opera a lungo parsa intraducibile (cui per un’introduzione si rimanda a quest’articolo) in quanto frutto della penna di uno degli scrittori più ribelli e irriverenti del panorama francese contemporaneo, Umberto Eco si lascia investire appieno dalla responsabilità del caso, operando sul testo d’arrivo tutta una serie di scelte e rimaneggiamenti che vedremo in qualche esempio, in materia non solo del piano del contenuto, ma anche della disposizione degli stessi esercizi.
Un capitolo dedicato agli Exercices appare proprio nel suo recente saggio di teoria della traduzione Dire quasi la stessa cosa (2003); presentandosi come una raccolta di esperienze di traduzione, Eco espone tutte le diverse sfumature metodologiche che hanno caratterizzato la sua variegata attività di traduttore, permettendoci di desumere l’approccio teorico con cui il testo di Queneau è stato trattato.
Per Eco un problema di fondo della traduzione sussiste nello stabilire l’oggetto del testo da tradurre, in quanto occorre prima procedere a una chiarificazione di ciò che l’autore ha voluto comunicare. A ciò si aggiunge una difficoltà tecnica, in quanto tradurre significa trasporre il significato di un segno in un diverso sistema di segni; solo attraverso una giusta interpretazione del testo si potrà infatti operare in nome della fedeltà che, come vedremo con gli Exercices, risulta non essere sinonimo di letteralità: il concetto di fedeltà riguarda il tentativo della traduzione di riportare l’intenzione del testo originale, ovvero la trama di concetti e relazioni che esso suggerisce in relazione alla lingua originale e al contesto in cui nasce.
Nella deontologia di un traduttore vige dunque un insieme di regole ineludibili, come quella del rispetto del detto altrui: un traduttore non può mutare il senso del discorso originale, ma unicamente negoziare i necessari margini di infedeltà che ogni testo tradotto deve avere, come ad esempio per quanto riguarda la traduzione di espressioni idiomatiche, che spesso se tradotte letteralmente risultano nella lingua di arrivo poco scorrevoli o addirittura prive di senso. Dunque il traduttore deve tenere conto di quelle che in semantica si chiamano selezioni contestuali, ovvero la scelta lessicale di determinati elementi, che possono operare anche sulla materia extratestuale. In merito a tale procedura, Eco suggerisce un principio di equivalenza funzionale: una traduzione deve riprodurre lo stesso effetto a cui mira l’originale, ovvero giungere all’uguaglianza del valore di scambio, dove per scambio s’intende l’elemento di negoziazione che il traduttore opera nelle selezioni contestuali.
Proprio operando su queste particolari e necessarie scelte lessicali, alcuni traduttori riescono a dire di più degli autori originali, tuttavia, quando ciò accade, sostiene Eco, l’opera finale può essere eccellente, ma non è una buona traduzione nel senso etico del termine. E questo è un punto da considerare con attenzione.
Le scelte del traduttore
In realtà Eco sembra essersi contraddetto in merito a quest’ultima affermazione, in quanto certi esercizi, come stiamo per vedere, sono totalmente diversi quanto a forma e contenuto rispetto all’originale, arrivando a disattendere quel principio di reversibilità fra le due parti agli estremi dell’atto del tradurre. Si potrebbe già dire che, quanto allo disposizione degli stessi esercizi, Eco soddisfi il proprio gusto lasciando Réactionnaire nella traduzione del testo principale (un esercizio soppresso da Queneau nella versione definitiva), eliminando completamente il Loucherbem (sostituendolo appunto con Reazionario), ovvero scritto in un gergo francese basato sulla scomposizione sillabica che in italiano non trova, secondo l’autore, assolutamente alcun corrispettivo; stesso discorso nel caso di Homophonique, preferendogli un duplicato dell’esercizio sull’intercalare chiamato Alors, che in italiano diventa sia Vero? che Dunque.
Una porzione di quelli invece conservati sono stati mutati a seconda delle esigenze espressive del momento: nel caso di Svolgimento, Eco opta per un’interpretazione del tutto inedita del testo, visto che il titolo originale è Récit (=racconto). In tale exercice Queneau utilizza le metodologie e lo stile della narrazione convenzionale di lingua francese; Eco invece estremizza la contrainte, la regola alla base di ciascuna prova, mutandola nel tipo di racconto più caro ad ogni lettore, ovvero il proprio svolgimento di un tema in età scolare. In tal caso, cambiano per forza molti riferimenti, aggiungendo un contesto scolastico ed un tono infantile e moralizzante della vicenda.
Un altro esercizio, Comunicato stampa, che riguarda la recensione di un romanzo come nel corrispondente Prière d’insérer, è del tutto diverso ed abbonda di trovate creative. Probabilmente secondo Eco la propaganda pubblicitaria in Italia è ben più aggressiva che nella Francia di fine anni ’40, ma in tal caso il risultato è di trasportare una parte del testo nello stivale e non più nell‘Hexagone.
Eco raggiunge tra l’altro notevoli livelli di abilità (addirittura superiori a quelli che erano nell’intento di Queneau) nel caso di exercices in forma metrica. Un esercizio come Alexandrins viene trasformato in Canzone; l’alessandrino è un metro tipico della poesia francese, ma affatto di quella italiana. Eco preferisce quindi parodiare la canzone leopardiana, in quanto altrettanto autorevole e di sicura comprensione per il lettore.
Chiudiamo la sequenza di esempi con Anagrammes, dove Queneau non fa altro che rimescolare le lettere per formare parole nuove ma inesistenti in francese (di fatto non rendendoli più degli anagrammi); Eco invece, nella traduzione, riesce a creare parole esistenti ed addirittura frasi di senso compiuto. Oggi con un computer si possono anagrammare facilmente parole e frasi, ma al tempo di questa traduzione (1983) tali software esistevano, ma consistevano ancora in una assai esigua minoranza, in ogni caso non accessibili all’uso domestico; pertanto qui Eco dimostra tutta la sua bravura come virtuoso della lingua.
Un risultato inatteso
Cosa è accaduto dunque? Come si vede, Eco sembra aver contravvenuto agli stessi principi a cui, in seguito, si è detto essersi adeguato nel corso delle sue traduzioni, tuttavia il caso in sé merita delle giustificazioni.
Nella più recente edizione Einaudi degli Esercizi di stile, Eco stesso in prefazione ammette di aver tradotto con uno spirito diverso dal solito, giungendo a risultati del tutto inaspettati. Secondo Eco, la traduzione degli esercizi che più giocano con la retorica non deve avvenire cercando il corrispettivo italiano delle parole usate nel testo francese, bensì riapplicando la regola al testo base in italiano, ed il traduttore è libero di prendere qualche accorgimento, in quanto Queneau stesso procede con libertà nel seguire la contrainte.
Ma libertà di Eco sono in realtà una decisione perfezionistica, come si legge:
Credo che se Queneau avesse riscritto l’esercizio ad anni di distanza avrebbe voluto superare se stesso […] Così ho giocato [… ] di perfezionismo’ – e credo di aver lavorato in pieno spirito di fedeltà¹
In ogni caso tradurre letteralmente sarebbe stato agire come quei
Traduttori di libri gialli americani, che si sforzano di rendere con improbabili trasposizioni pseudo-letterali, situazioni, vezzi-gergali, professioni, modi di dire tipici di un altro mondo²
Ora, sebbene la Francia non sia rispetto all’Italia un altro mondo, è tutto un altro universo il linguaggio e la bravura di Queneau. Il traduttore è tenuto a regolarsi di conseguenza.
Tuttavia, e qui sta il bandolo della matassa, Eco con onestà intellettuale specifica di aver commesso numerose infedeltà e che la sua impresa prende più le forme di un adattamento che di una traduzione, avendovi avuto un ruolo più predominante del solito la componente creativa e ludica.
Dunque, apprezziamo il merito di aver reso possibile al lettore italiano il godimento degli Exercices, alla fine una forma letteraria che più per il suo contenuto in sé resta indimenticabile per la forma stessa; qualunque fosse stato l’esito della traduzione dei singoli esercizi, l’idea di un nuovo modo di concepire la letteratura si sarebbe già insinuata nel lettore. Ed in Eco questo brio innovatore si avverte totalmente; dunque se per alcuni detrattori dell’impresa ciò non basta a renderlo promosso, in ogni caso egli è pienamente assolto da tutte le accuse.
Daniele Laino
Queneau R., Esercizi di stile (trad. it. Umberto Eco), Einaudi, 2008.
1. Op. citata, pag. XVIII
2. Op. citata, pag. XVII