Il fine ultimo dell’arte del Karate non è la vittoria o la sconfitta, ma il miglioramento del proprio carattere. [Gichin Funakoshi]
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Le origini
Il Karate è, probabilmente, una delle arti marziali più conosciute in Occidente. Le sue origini non sono note: le prime testimonianze scritte risalgono al XIV secolo, e prima di ciò si cade nella leggenda, si arriva da pochi secoli prima fino ad oltre 2000 anni fa.
Ciò che è certo è che nelle Isole RyuKyu (e ad Okinawa in particolare) questa arte marziale era utilizzata dai contadini, che in seguito ad un editto reale erano impossibilitati a possedere armi e, di conseguenza, dovevano difendersi a mani vuote. Ed è proprio da qui che deriva il nome dell’arte marziale, nome composto dalle due parole Kara e Te, ovvero “Mano Vuota”. Fin dalle sue origini, comunque, è sempre stata un’arte marziale difensiva e non offensiva. Ciò nonostante, in Giappone i karateki (coloro che praticavano questa disciplina) erano visti come persone da non provocare.
In Occidente, complici molti film che esaltavano l’arte del Karate, esso era visto come un metodo per uccidere delle persone con un semplice tocco. E, mai errore fu più grosso, come una disciplina brutale e violenta.
I venti principi guida
Il Karate, oltre a non essere uno sport violento, ha invece tra i suoi principi morali vari rimandi alla gentilezza, alla non-violenza, all’utilizzo delle proprie capacità solo in casi di estremo bisogno e sempre a favore della giusta causa.
Gichin Funakoshi, fondatore dello stile Shotokan, scrisse a suo tempo i venti principi guida dello spirito di questa disciplina. Essi sono una sorta di Vademecum del Karateka, non dal punto di vista tecnico ma dal punto di vista etico, morale, filosofico. Questi venti principi racchiudono l’essenza stessa di questa arte marziale, e comprendono inviti alla gentilezza, al rispetto dell’avversario, al rispetto per se stessi. Ricordano all’atleta di non adagiarsi sugli allori, perché questa arte marziale non è praticata solo all’interno del Dojo. Il Karate (o meglio, il Karate-Do, ovvero “La via del Karate”) è uno stile di vita, e permea ogni aspetto della persona.
Alcuni dei principi possono sembrare incomprensibili ad una prima lettura, ad esempio il dodicesimo:
“Non pensare a vincere, pensa piuttosto a non perdere.”
Ad un primo sguardo, ciò appare del tutto insensato. Escludendo un pareggio, come puoi non perdere se non vincendo? E ciò sembra vero. Ma va ricordato che il Karateka rifugge la violenza. Egli, se possibile, evita il combattimento.
Nel libro “Karate-Do”, Funakoshi racconta vari aneddoti di cui è stato protagonista, o che gli son stati raccontati a loro volta da suoi allievi o altri maestri .Tra i vari, il maestro ricorda di essere stato assalito da alcuni briganti male in arnese. Avrebbe potuto combattere, erano visibilmente incapaci nell’arte del combattimento, di qualsiasi altra arte marziale. Ciò nonostante, il maestro Funakoshi preferì non combattere. Diede loro alcune focaccine, parlò con loro ed evitò così uno scontro. Gichin, quindi, si ritrovò “non perdente” senza uscirne comunque vincitore di uno scontro.
Tra Karate e Karate-Do
Secondo Funakoshi la differenza tra il Karate ed il Karate-Do è sostanziale. Il primo è uno sport, che sebbene sia utile dal punto di vista fisico, ha come suo limite l’essere uno sport. È un modo superficiale di approcciarsi all’arte di questa arte marziale, alla sua vera essenza. Il Karate-Do, invece, è la conoscenza piena dell’essenza stessa di questa disciplina, un cammino soprattutto interiore per raggiungere l’illuminazione, tipica della filosofia orientale, ovvero la comprensione del significato della vita.
È questo il significato dell’ottavo principio guida:
“Il Karate non si vive solo nel Dojo.”
Un Karateka è tale dal momento in cui si sveglia. Egli deve vivere, o quantomeno tentare con ogni forza, secondo i principi morali della disciplina. Una vita fatta di morigeratezza, di virtù, parca di eccessi.
Purtroppo questa disciplina soffre ancora oggi dei pregiudizi: è vista ancora come una disciplina violenta, sebbene in misura ridotta rispetto ai decenni scorsi. E, cosa forse ancor più grave, senza una sua storia di etica e disciplina alle spalle.
Negli ultimi anni, malgrado la sua storia secolare di precetti morali ed etici, son sempre meno coloro che si avvicinano al Karate-Do, sebbene siano in aumento coloro che si avvicinano al Karate. Per quanto lo sport si stia facendo conoscere nel mondo, l’essenza stessa di questa arte sembra non volersi mostrare a tutti, sembra volersi riservare per poche persone, quelle poche disposte a seguire la Via del Karate, e non soltanto le lezioni dell’arte marziale.
Marco Giusto
Bibliografia
Gichin Funakoshi, Karate-Do Il mio stile di vita, Ed.Meditarranee.