L’uso della foglia d’oro è attestato dall’epoca egizia ed era usata per connotare la ieraticità dei faraoni e delle divinità.
In seguito nell’antica Grecia, la foglia d’oro era usata principalmente per la decorazione di statue, tra cui le più famose erano quelle denominate Criselefantine, costituite principalmente da avorio e foglia d’oro (in greco chrysós significa oro ed elephántinos avorio). Di avorio erano fatte le parti nude della statua, braccia, viso e gambe, mentre erano coperte di foglia d’oro le vesti, l’armatura, i capelli e gli accessori. Di tale tecnica si servirono i Greci dell’età omerica per dorare le corna dei bovini da sacrificio, gli elementi architettonici, il mobilio, le armi, ecc.
Meno costosa perché richiede una minore quantità di oro e più duratura era la doratura a fuoco che poteva venire eseguita sia facendo aderire col calore la foglia d’oro al metallo e strofinando poi con l’ematite o altra pietra di politura, sia con amalgama che con collanti. L’amalgama, che veniva impiegato per la doratura di oggetti metallici si fonda sulla lega dell’oro con un metallo liquido a temperatura normale (mercurio) ed era una tecnica certamente già nota ai Romani.
La tecnica della doratura è estremamente affascinante. Richiede diverse fasi e possono passare giorni prima di vedere il lavoro ultimato, ma il risultato premia sicuramente la pazienza di chi si cimenta in quest’arte le cui origini si perdono nei secoli. Il procedimento è rimasto uguale a se stesso fin dai tempi più remoti. L’unico intervento della moderna tecnologia, riguarda la laminatura dell’oro, non più eseguita a mano dai “battiloro”, ma ottenuta industrialmente.
Conosciamo i materiali per lavorare la foglia d’oro:
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- Oro in foglia: si tratta di oro in foglia ottenuto martellando tra due spessori di cuoio che lo rendono molto sottile e maneggevole.
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- Gesso di Bologna: si tratta di solfato di calcio idrato. Ha una morbidezza al tatto unica, data dalla finezza della grana di cui è composto. Non va mai fatto bollire per evitare la formazione di grumi che sono dannosi alla plastica compattezza dell’insieme. Va pertanto sciolto a bagnomaria. Si conserva in un luogo asciutto.
- Gesso di Bologna: si tratta di solfato di calcio idrato. Ha una morbidezza al tatto unica, data dalla finezza della grana di cui è composto. Non va mai fatto bollire per evitare la formazione di grumi che sono dannosi alla plastica compattezza dell’insieme. Va pertanto sciolto a bagnomaria. Si conserva in un luogo asciutto.
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- Colla di coniglio: (detta anche colla Lapin) si ottiene dalla pelle di coniglio immersa in un bagno di acqua di calce. Era conosciuta ancor prima della colla a caldo da falegname (disponibile anche come colla animale liquida pronta all’uso) e, rispetto a quest’ultima, ha una tenacia inferiore. Ciò la rende ideale per la delicata preparazione dell’ingessatura. La colla di coniglio va sciolta a bagnomaria (100 gr. di colla in 1 lt. d’acqua) per ottenere la colletta necessaria alla preparzione del fondo in gesso e del bolo. Si usa calda ma non bollente. Va conservata in un barattolo di vetro chiuso.
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- Colla di pesce: (ittiocolla) si ricava dalla vescica natatoria di alcune specie di pesci quali storioni ed affini. Si trova in commercio sotto forma di scaglie che vanno lasciate in acqua per circa 24 ore prima dell’uso. Dopo aver fatto decantare l’acqua in eccesso si scioglie la colla a bagnomaria. A differenza delle altre colle non aumenta di molto il suo volume. Va usata solo per far aderire la foglia d’oro al bolo.
- Bolo armeno: è un’argilla particolare che serve da base all’oro. È facile notarlo nelle vecchie dorature, nei punti in cui l’oro si è consumato. Può essere di due tre colori: color terra rossa (bolo rosso), color terra di Siena naturale (bolo giallo) e color nero (bolo nero). Và sciolto a bagnomaria con colla di coniglio precedentemente preparata (300 gr. di bolo in 900 ml. di colletta), in modo da raggiungere una consistenza leggera. Va passato con un pennello morbido in martora o in vajo, con una sola pennellata leggera.
Serena Raimondi