Un’occasione assolutamente da non perdere nella splendida città di Bologna è la mostra dedicata ad uno degli artisti americani più importanti del XX secolo, Edward Hopper, aperta dal 25 Marzo al 24 Luglio 2016 in Palazzo Fava, organizzata da Fondazione Carisbo, Genus Bononiae Musei nella Città e Arthemisia Group in collaborazione con il Comune di Bologna e il Whitney Museum of American Art di New York e curata da Barbara Haskell (curatrice di dipinti e sculture del Whitney Museum of American Art) e Luca Beatrice.
L’esposizione ripercorre cronologicamente tutta la carriera artistica del pittore attraverso più di 60 opere tra dipinti ad olio, acquerelli, disegni a carboncino, compresi alcuni studi e capolavori imperdibili come come Le Bistro or The Wine Shop (1909), Summer Interior (1909), Soir Bleu (1914), New York Interior (1921), South Carolina Morning (1955), Second Story Sunlight (1960). Tutti questi lavori provengono dal Whitney Museum, istituzione che ospitò varie mostre di Hopper e alla quale la moglie dell’artista lasciò nel 1968 l’intera eredità del marito, costituita da oltre 3.000 opere tra cui disegni, incisioni e dipinti.
Edward Hopper: gli inizi e il successo
Edward Hopper lavorò sempre negli Stati Uniti, tra il suo studio di Manhattan e South Truro, presso Cape Code nel Massachussets, dove si fece costruire una casa dotata di atelier in cui trascorrere le vacanze estive, e la sua pittura giunse a piena maturazione negli anni ’30, ’40, ’50 del Novecento. È proprio a partire da questo periodo che Hopper ottenne la notorietà e riconoscimenti importanti ed iniziò ad esporre sistematicamente le sue opere in musei importanti che gli dedicarono anche molte retrospettive.
Eppure non si possono trascurare gli anni di formazione e le prime esperienze che influenzarono irrimediabilmente le scelte e gli orientamenti successivi. Dopo il diploma alla High School, l’artista studiò per sei anni, dal 1900 al 1906, presso la New York School of Art, cimentandosi prima nell’illustrazione, poi nella pittura. Qui dovette esercitare un certo ascendente su di lui il pittore e maestro Robert Henri, il quale durante un viaggio in Europa era rimasto colpito soprattutto dagli Impressionisti, dal loro rifiuto delle regole accademiche e dalla loro consuetudine di dipingere en plein air e l’esempio europeo lo portò, una volta tornato negli Stati Uniti, ad aderire ad una pittura basata sull’osservazione della realtà, soprattutto urbana.
Sembra che Hopper abbia seguito proprio le orme del suo maestro. Infatti fece alcuni viaggi in Europa nel 1906, 1909 e 1910, visitando vari Paesi tra cui l’Inghilterra, l’Olanda, la Germania, il Belgio, la Spagna, ma soggiornando per lungo tempo a Parigi. Nella capitale francese rimase affascinato, contrariamente alle aspettative, non dalle avanguardie storiche di inizio Novecento (come il Cubismo), ma dalla generazione precedente di artisti, gli Impressionisti: osservò la loro pittura di paesaggio, l’interesse che essi nutrivano per la borghesia urbana parigina e riprese da Degas la predilezione per il taglio fotografico delle opere e per la rappresentazione di interni. A Parigi il pittore dipinse, con una pennellata svelta e con toni che da cupi diventano sempre più luminosi, paesaggi tipicamente cittadini, con i ponti, le strade e la Senna.
Con questo bagaglio culturale fece ritorno a New York lavorando inizialmente come illustratore pubblicitario, occupazione che non gli era molto congeniale, ma che gli permetteva di sbarcare il lunario. Intanto mise a frutto la propria esperienza europea dipingendo i paesaggi statunitensi del Massachussets, del New England, del Maine ed esponendo le sue opere in alcune mostre. Per esempio nel 1913 all’Armory Show era presente il suo quadro ad olio Sailing, nel 1920 il Whitney Studio Club ospitò la sua prima personale. Inoltre a partire dal 1923 si accostò alla tecnica dell’acquerello, continuando ad esporre in molti musei come la Rehn Gallery.
Sono queste le premesse indispensabili per capire l’evoluzione della pittura di Hopper che assunse dal terzo decennio del Novecento quei tratti originali che l’hanno resa immediatamente riconoscibile.
Egli, in un contesto artistico ormai segnato dall’esperienza delle avanguardie storiche e dominato dalla pittura informale, scelse invece una pittura mimetica che trova ispirazione nella realtà, ma che allo stesso tempo non indugia sui dettagli, grazie ad una capacità sintetica che solo un buon disegnatore e illustratore poteva avere. Dipinse una natura che non è incontaminata, che non permette all’occhio di abbracciare tutto lo spazio fino all’orizzonte, ma che è invasa dai segni della civiltà, dai binari delle ferrovie e dalle case, queste ultime edifici perlopiù desolati, come abbandonati, solidi vuoti e addirittura spettrali (non a caso il regista Hitchcock si è ispirato alla casa Vittoriana rappresentata da Hopper nel dipinto House by the Railroad (1925) per l’abitazione in cui si svolge il film Psyco). Il pittore americano dipinse però anche gli interni, privati o pubblici, sempre abitati da uno o più individui (con una predilezione per le figure femminili, per le quali faceva da modella sua moglie Josephine) incapaci di relazionarsi, di comunicare tra loro, chiusi in se stessi come monadi, anche quando si trovano in luoghi di incontro e di socializzazione come i caffè. È la solitudine che l’artista voleva rappresentare, quella della società americana che aveva quotidianamente sotto gli occhi, ma il momento concreto, il singolo attimo che colse, lo trasfigurò in una dimensione più ampia, creando una
sospensione temporale e lo fece usando uno dei mezzi più tradizionali, la luce, ora naturale ora artificiale, ben studiata come quella del cinema e del teatro. Guardando le opere di Hopper si ha la sensazione che vi sia qualcosa di non detto, di insoluto, una cupezza che pervade gli ambienti e le persone e che solo un pittore di questo calibro è stato in grado di comunicare in modo così profondo, con una pittura sì realista, ma che è insieme proiezione delle emozioni ed impressioni provate dall’artista nel momento in cui si confronta con la realtà, tanto che egli stesso affermò: “non dipingo quello che vedo, ma quello che provo“.
Bologna, Palazzo Fava (Palazzo delle Esposizioni), via Manzoni 2.
Dal 25 Marzo al 24 Luglio 2016
Orari:Lun – dom 10.00 – 20.00
(la biglietteria chiude un’ora prima)
Per ulteriori informazioni: http://www.mostrahopper.it/.
Emanuela Ingenito