Se c’è un insegnamento che la filosofia può trasmettere a chiunque è che in ogni studio (ce lo dice anche l’etimologia) è necessaria una certa dose di amore e di entusiasmo. Quest’ultimo termine sin dalla filosofia antica viene genericamente utilizzato per definire uno stato di esaltazione fisica e mentale dovuta ad un’ispirazione divina; l’entusiasta sarebbe, dunque, colui che è invasato da un furore che proviene da fuori, da Dio. Cosa succederebbe, però, se questo entusiasmo venisse secolarizzato, svincolato dalla sua natura di legame passivo? L’uomo diverrebbe responsabile delle sue azioni alla ricerca della verità, sarebbe dunque allo stesso tempo vincolato (dall’amore che prova verso l’oggetto della ricerca) ma anche attivo: insomma, non più mero contenitore di uno spirito divino. Su questo nuovo tipo di entusiasmo sono incentrati Gli Eroici Furori di Giordano Bruno.
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Gli eroici furori come testo etico
Il testo fu scritto e pubblicato nel 1585, a Londra, ultimo di una proficua serie di dialoghi inglesi fondamentali per lo sviluppo della filosofia di Bruno, sia dal punto di vista metafisico e cosmologico, sia dal punto di vista etico.
Proprio in questa seconda linea si inseriscono gli eroici furori, in quanto definiscono l’atteggiamento proprio del filosofo nei confronti dell’oggetto della conoscenza, cioè della verità.
Bruno opera un’importante differenza tra sapiente e furioso, affermando così l’importanza dell’amore nell’atto conoscitivo:
(il sapiente) considerando il male ed il bene, stimando l’uno e l’altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine […] non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nell’inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch’a lui il piacere non è piacere, e parimente la pena non gli è pena.
Il furioso, al contrario, guidato dall’amore, si getta a capofitto nelle contraddizioni del mondo e passa da un estremo all’altro come se volesse comprenderli entrambi in sé. In questo senso, dunque, possiamo dire che il sapiente sa, il furioso fa esperienza.
Il vincolo d’amore
Ciò che distingue i due atteggiamenti conoscitivi sopra descritti è l’amore: il sapiente agisce guidato dalla sola razionalità, mentre il furioso la accompagna all’entusiasmo ed è grazie all’amore che gli è concessa un’esperienza più completa della conoscenza del divino.
L’amore è il fondamento di tutte le passioni: chi non ama nulla, infatti, non ha motivo di temere, sperare, gloriarsi, insuperbirsi, osare, disprezzare, accusare, scusare e umiliarsi e gareggiare e infuriarsi, turbarsi insomma in altre guise analoghe. (De Vinculis in genere)
Il mito di Atteone
Nella filosofia bruniana confluiscono le fonti più disparate; tra le reminiscenze platoniche bisogna tener presente il valore attribuito al mito, in grado di esprimere concetti ai quali si può alludere, ma che sfuggono alla sola conoscenza razionale.
La figura del furioso è esemplifica da Atteone, il cacciatore che fu trasformato in preda per aver visto la dea Diana nuda.
Al significato negativo attribuito al mito da molte opere letterarie, che vedevano in Atteone un peccatore di ὕβϱις (hýbris), si sostituisce un’interpretazione del tutto opposta:
Atteone significa l’intelletto intento alla caccia della divina sapienza, all’apprensione della beltà divina. Costui slaccia i mastini ed i veltri, dei quali questi sono più veloci, quelli più forti. Perché l’operazion dell’intelletto precede l’operazion della voluntade, ma questa è più vigorosa ed efficace di quella…
Soffermiamoci sul significato di questi due animali. Bruno stesso fornisce la chiave di lettura dell’allegoria: i veltri rappresentano l’intelletto, cioè la conoscenza razionale, mentre i mastini sono la volontà, l’elemento passionale, desiderante dell’animo umano: solo grazie al vigore di questi ultimi, che sono spinti dall’amore, Atteone giunge finalmente alla sua preda.
C’è furore… e furore
L’interpetazione del mito vuole quindi significare che, da un lato, alla conoscenza razionale bisogna affiancare quella amorosa ma, d’altro canto, la prima non deve mai venir meno.
Viene quindi operata una netta distinzione tra furori asinini, condizione tipica degli invasati, ed eroici furori.
Gli primi hanno più dignità, potestà ed efficacia in sé, perché hanno la divinità; gli secondi son essi più degni, più potenti ed efficaci, e son divini.
Conservando la doppia etimologia di erotico e di eroico, dunque, il furioso è l’ideale di filosofo secondo Bruno, colui che si getta in un’impresa impossibile (la visione della divinità) e sacrifica tutto in nome della sua ricerca “fino al disquarto di sé”.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
“Gli eroici Furori”, G. Bruno, Laterza 2007
“Esistenza e verità: Giordano Bruno e il vincolo di Cupido”, M. Ciliberto
Appunti sul mito di Atteone negli Eroici Furori di Giordano Bruno, M. Panetta
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