Meola porta Il giorno della laurea al Mercadante
Un circolo vizioso dove la vittima diventa carnefice e il carnefice diventa vittima. Una realtà che non si può vivere, dove si può solo cercare di sopravvivere, dove si annaspa contando i giorni senza assaporarli. Questa la triste realtà che quasi tutti i cittadini, perlomeno italiani, vivono oggi. Questa la mediocre situazione di molte famiglie abitanti il ventunesimo secolo, che Giovanni Meola, regista ed autore de Il giorno della laurea, in scena in questi giorni al teatro Mercadante, ha individuato e cercato di raccontare nel suo spettacolo. Spettacolo che parte da questo presupposto per sciogliersi in un più profondo nodo cruciale: le conseguenze. Quali possono essere le reazioni di un padre ed una madre sobbarcati da conti, debiti, scadenze insolvibili e anni ed anni di fallimenti accumulati in un paese che non sembra permettere niente di migliore? Sicuramente la speranza riposta nella prole, in primis, l’investimento in questa nuova generazione che si spera e si conta di vedere realizzare e avere successo laddove in prima persona si è fallito. Ma fino a che punto è giusto incolparsi? Fino a che punto il fallimento è imputabile al soggetto e non al sistema che manovra il soggetto come un oggetto? E fino a che punto si può continuare a sopportare questa situazione senza ribellarsi, senza trascendere in una “rivoluzione” che possa cambiare le cose? Il pessimismo dilaga , gli stati d’animo sono negativi, le relazioni di coppia sono tese e i nuclei familiari ne risentono fino a disgregarsi. In un simile contesto, per una mente giovane e desiderosa di cambiamento, è facile incorrere nella soluzione sbagliata, pur di trovarne una.
È quanto accade nello spettacolo di Meola, con le sue catastrofiche conseguenza che vedono in un certo senso le vittime diventare inconsapevoli aguzzini pur di trovare una via di scampo dal baratro in cui sono cadute, come molte altre famiglie di cui portano l’esempio. La situazione a tratti è attraversata dall’affettuosità dei sentimenti, del calore che non abbandona mai l’essere umano, anche quando inaridito dalle troppe difficoltà, ma nonostante ciò non può far altro che degenerare in conseguenziali scelte sbagliate, inumane, nel naturale sconvolgimento delle persone e dei fatti e nella ricerca di una soluzione difficile da trovare. La scenografia è pulita e molto semplice, curata da Luigi Ferrigno, come i costumi, firmati da Annalisa Ciaramella. Il motivo ricorrente, nonché scelta stilistica e personale dell’autore, è Black swan di Thom Yorke, che, nella traduzione, sembra ripercorrere emotivamente le vicende raccontate. Impeccabili i due protagonisti, Enrico Ottaviano e Cristina Dell’Anna, “marito” e “moglie”, come continuano a chiamarsi per tutta la durata dello spettacolo quasi a demarcare socialmente i ruoli e le mansioni rappresentate ed impersonate. Non merita di passare inosservato il comunicato letto dagli attori prima dell’inizio della pièce, come atto di denuncia e disaccordo nei confronti di un sistema, per l’appunto, che crea disagio economico e non solo a tutti i collaboratori, dipendenti e funzionari, dell’ambito artistico e culturale.
Letizia Laezza
Il giorno della laurea di Giovanni Meola – Ridotto Mercadante (sito ufficiale)