Aniello Mallardo si ispira al Perelà di Palazzeschi
Entrati in sala, il sipario è già aperto e tre figure vestite di rosso sono accovacciate a terra, sul palco, ad attenderci. Ad attendere il pubblico di “L’ uomo di fumo”, spettacolo che ha debuttato al teatro piccolo Bellini di Napoli questo 29 marzo, disponibile fino al 3 aprile, ad opera della compagnia “Teatro in Fabula”. L’opera, ispirata al Perelà di Palazzeschi, ne è un libero riadattamento, laddove i dialoghi e parte dei contenuti sono stati modificati dalla penna del giovane regista, Aniello Mallardo, che con questa piecè chiude una trilogia di riscritture dedicate alla letteratura italiana novecentesca, iniziata con Povero Piero di Campanile e proseguita con Serafino Gubbio operatore di Pirandello.
Le tre figure che aprono la scena sono anche tre streghe fattucchiere, che proiettano gli spettatori nella vicenda con una breve ed implicita spiegazione del contesto, alla fine del quale, con una sorta di incantesimo, lasciano intendere la costituzione del loro “uomo di fumo”, Perelà, per l’appunto, che prende il nome dalle sillabe iniziali delle sue fautrici, Pena, Rete e Lama. Degna di nota l’interpretazione di Raffaele Ausiello, nei panni del protagonista evanescente, incorporeo, senza consistenza e di poche parole, eppure emblematico nel suo ruolo quanto nella rappresentazione, di certo non supportata da altro oltre che gesti ed espressioni facciali. Le redini della scena, costituita da commento all’azione più che da azione stessa, sono tenute dai quattro coprotagonisti, rappresentanti il consiglio di stato del regno di Torlindao, sempre in allerta a causa dei vari disordini in città. Il gabinetto reale cerca una soluzione all’imminente crisi, e ognuno dei “ministri” propone la sua idea. E’ intuitivo quanto soggettivo leggere nella figura di ogni ministro una satira, leggera e brillante, dei pilastri alla base di ogni società, che è stata e che sarà, dagli albori dell’organizzazione civile ad oggi, in una quasi simpatica destrutturazione dei suoi valori costituenti. Il re stesso (Antonio Piccolo), rappresentante l’economia, la sfrenata e cieca rincorsa al danaro, nella ricchezza vede e cerca ogni soluzione, di contro l’animo umanistico e velatamente romantico dell’unica donna in scena, la marchesa Oliva di Bellonda (Melissa di Genova), che anela ad un mondo che preveda per il suo sesso maggiori rispetti. Dal canto suo, il vescovo (Marco Di prima) , quale rappresentazione sfacciata e diretta del mondo clericale, non può che battersi per un regno dove la religione venga innalzata al primo posto come sommo dogma, mentre la cultura e la conoscenza vengano messe al rogo, in quanto strumenti profani e maligni, colpevoli di appiccare il dubbio e la curiosità nella mente umana, fino ad allontanarla da tutto quanto non goda di risposta coerente. Infine, il nobile Zerlino (Giuseppe Cerrone), sembra adottare tesi comuniste, dall’equivalenza sociale all’abolizione del classismo, che espone tramite l’incarnazione di filosofi, pittori e poeti dai cui panni entra ed esce, mantenendo un generico atteggiamento disfattista, a volte di scarso interesse o poca fiducia per ciò che i colleghi dicono e fanno. Ed ecco che, nel pieno del ragionamento dei quattro ministri, arriva Perelà, l’evanescente uomo di fumo, quindi pulito, purificato dalla fiamma stessa. Soluzione ideale alla ricostituzione di una società nuova e fiorente. Dopo le iniziali incertezze, la decisione è presa quasi all’istante: a Perelà il compito di redigere un nuovo codice di leggi, a Perelà le responsabilità della ricostituzione cittadina. A Perelà, ognuno dei protagonisti dona un simbolo, un pegno di potere, stima e considerazione. Ma il gioco dura poco. Ed è proprio lì il fulcro della vicenda. Il gioco del potere, capace di cambiare le persone, le erge alla massima potenza, le modifica, le modella e poi le distrugge. Dall’alto, le tre madri di Perelà, coloro che lo hanno forgiato ed inviato al consiglio come soluzione, non hanno mai smesso di osservare le evoluzioni dei fatti, rappresentate da tre grandi maschere di legno calate dall’alto e poste in vetta al palco. La scena si mantiene essenziale: pochi oggetti, disponibili secondo le esigenze a cambiare scenario per mano degli attori stessi. Le luci si mantengono basse, in un’atmosfera di perenne mistero. I costumi, in particolare, sembrano non avere un’ambientazione precisa; non appartengono al passato e neanche al presente, proprio a rappresentare che la morale di quanto è avvenuto sul palco, non ha tempo.
Letizia Laezza
L’uomo di fumo di Aniello Mallardo- Piccolo Bellini (sito ufficiale)