“Shakespeare doesn’t mean: we mean by Shakespeare” sosteneva il critico e studioso di letteratura e semiotica Terence Hawkes. Il suo discorso era ben più ampio e finalizzato ad altri scopi, ma possiamo facilmente servirci di questa espressione per l’argomento di questo articolo: la presenza, più o meno esplicita, delle opere di Shakespeare nella cultura contemporanea; prenderemo ad esempio Amleto, ma lo stesso discorso vale per Romeo e Giulietta, La Tempesta, Sogno di una notte di mezza estate e tante altre.
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Amleto tra cinema, teatro e letteratura
Iniziamo il nostro percorso dal cinema, nello specifico dai film d’animazione: anche un film famoso e ormai classico come il Re Leone ripropone alcuni elementi del Dramma del Dubbio. Il lignaggio regale dei protagonisti, la figura dello zio (Scar, fratricida come Claudius), la comparsa del fantasma del padre, la coppia di personaggi “accompagnatori” del protagonista (Rosencrantz e Guildenstern, riproposti nell’indimenticabile duo di Timon e Pumbaa) sono solo alcuni dei richiami all’opera shakespeariana. L’immagine di Scar che regge un teschio ci dà un’ulteriore conferma: è chiaro che nessun bambino sia tenuto a conoscere Amleto per potersi godere il Re Leone, ma la stratificazione di storie e significati tramite citazioni che potenziano la narrazione è un pregio di molte opere contemporanee, che siano esse film, serie TV o romanzi.
Un aspetto da tenere in considerazione quando si va alla ricerca di riscritture è, per quanto riguarda Shakespeare, la riproposizione dell’opera a tutti i livelli e per ogni tipo di pubblico: se la Disney ha ripreso alcuni motivi prevalentemente allusivo-visuali per un film destinato all’infanzia, altri autori, con scopi diversi, hanno pensato invece di riadattarlo in chiave ideologica, esistenzialista e perfino femminista. Ad esempio Heiner Müller, autore della Germania Est ai tempi della guerra fredda, ha attualizzato l’opera in Die Hamletmaschine, inserendola nel contesto delle rivolte e repressioni ad opera dei regimi socialisti. Tom Stoppard, drammaturgo e sceneggiatore (ha contribuito alla stesura della sceneggiatura di Shakespeare in Love) ha scritto per il teatro e per il cinema “Rosencrantz e Guildenstern are dead”. Shakespeare si sposa con l’esistenzialismo ed il grottesco: in questa riscrittura i protagonisti sono due personaggi secondari dell’Amleto, che agiscono ai margini della trama principale e sono assolutamente incapaci di comprendere ciò che accade loro intorno, impegnati in dialoghi ai limiti dell’assurdo molto simili a quelli di Vladimir ed Estragon in Aspettando Godot di Samuel Beckett. Stoppard ha reso visivamente l’espressione “time is out of joint” (“il tempo è fuor di sesto”) attraverso una scena quasi esasperante in cui uno dei due personaggi lancia ripetutamente una moneta e questa cade sempre sulla stessa faccia, metafora di un mondo bloccato, chiuso e predeterminato in cui ogni cosa appare impenetrabile.
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Rivolgendoci ora alla narrativa in forma breve – i romanzi meriterebbero una trattazione a parte -scopriremo due autori contemporanei alle prese con un’operazione piuttosto simile a quella di Stoppard, ossia quella di raccontare la storia di un personaggio secondario. Si tratta di “Yorick” di Salman Rushdie, indiano di lingua inglese che nel 1989 scatenò la fatwah da parte dell’ayatollah Khomeini per il suo romanzo “i versi satanici”, e “Gertrude Talks Back” di Margaret Atwood, una delle più famose autrici canadesi.
Yorick: identità e parodia
Per un autore come Rushdie, impegnato da sempre ad affermare il carattere ibrido della propria identità, ricercare un “terzo spazio” che vada oltre il semplicistico riconoscimento di un’appartenenza “un po’ più indiana” o “un po’ più inglese” è una necessità. La riscrittura, dunque, è molto più che un semplice gioco intellettuale: è l’affermazione di “potersi scegliere i propri antenati”, come sostiene egli stesso in Imaginary Homelands. Riscrivere Amleto significa, per Rushdie, definire una parentela culturale: si tratta, in pratica, di rivendicare un vero e proprio diritto, quello di “discendere” non da una sola tradizione, ma da più culture, che si incrociano e si mescolano inestricabilmente.
Yorick rappresentava, nell’Amleto shakespeariano, poco più che un pretesto per riflettere sulla morte:
Alas, poor Yorick! […]Where be your gibes now? your
gambols? your songs? your flashes of merriment,
that were wont to set the table on a roar? Not one
now, to mock your own grinning? quite chap-fallen?
L’oggetto scenico del teschio tematizzava visivamente il topos dell’ubi sunt, che in Amleto intrattiene una profonda relazione dialettica con la grandezza e la dignità attribuite alla razza umana. Nel racconto di Rushdie, però, ogni cosa è sovvertita, parodizzata e abbassata di tono: il padre di Amleto si chiama in realtà Honvendillus e la figura di Ophelia è raddoppiata in un gioco di specchi e identificazioni: do you imagine that this “Ophelia” was so blasted uncommon a name in a land where men were called such things as Amlethus, Horwend&c, yes, and Yorick, too? So, so. Let’s get on.
Il linguaggio di Rushdie è effervescente e la riscrittura avviene su più piani: da un lato riscrive la storia di Amleto, dall’altro usa lo stesso linguaggio ironico di Laurence Sterne e intreccia tante storie diverse alla maniera delle narrazioni orali. Gli antenati di Rushdie, dunque, sono tanti e tutti altrettanto importanti: non solo Shakespeare, ma anche Sterne (che di Yorick aveva già offerto una rilettura nel Tristram Shandy) e, ovviamente, la millenaria tradizione orale della cultura indiana.
Una voce per Gertrude
Gertrude, personaggio secondario ampiamente bistrattato nell’opera di Shakespeare, è la madre di Amleto. Il principe di Danimarca rimarca più volte la mostruosità delle sue azioni (aver sposato il fratello di suo marito, profanando il letto nuziale con un amore colpevole e quasi incestuoso), ma Gertrude non cerca di ribattere per difendersi, anzi resta in silenzio. Il suo silenzio, così come la fragilità di Ophelia, rendono Amleto un’opera essenzialmente maschile, in cui le donne hanno un ruolo marginale e passivo.
A questa marginalità ha voluto rimediare Margaret Atwood che, nel suo racconto “Gertrude Talks Back” immagina un monologo in cui la donna risponde, punto per tutto, a tutti gli insulti subiti dal figlio, che viene di conseguenza dipinto come un ragazzo immaturo, insensibile, egoista ed eccessivamente puritano: No darling, I am not mad at you. But I must say you’re an awful prig sometimes. Just like your Dad.
Il racconto si conclude con un colpo di scena che non possiamo anticiparvi, ma basti questo: Gertrude, dopo quasi quattrocento anni di sottomissione, diventa finalmente agente della storia.
Il “meaning by Shakespare” di cui parlava Hawkes può quindi significare proprio questo: non “tradire” Amleto, bensì rileggere, reinterpretare e riscriverlo, riempiendolo ogni volta di significati nuovi senza per questo attentare alla sua statura e immortalità letteraria. I grandi classici non sono intoccabili, uno dei modi più proficui per mantenere un dialogo con la tradizione è proprio quello di ri-pensarla costantemente.
Maria Fiorella Suozzo
Fonti
Yorick, Salman Rushdie (contenuto nella raccolta East, West)
Gertrude Talks Back, Margaret Atwood (contenuto nella raccolta Good Bones)
A Line of Yoricks. Salman Rushdie’s Bastard Legacies between East and West, C. Maria Laudando