Nella Napoli dei «bassi», tra la povertà dei vicoli pervasi da una umanità rassegnata, una donna vive, ama e soffre al pari della sua città: il suo nome è Assunta Spina, una figura femminile diventata l’icona dello spirito della Napoli di inizio Novecento.
Assunta Spina non è un’opera di costume. Salvatore Di Giacomo documenta nella sua arte quella parte della vita di Napoli, con le sue stradicciole «dove ogni cosa nasconde e cova un dolore», dandole un volto e un’anima: la donna è il veicolo attraverso il quale il poeta dipinge la realtà della città. Le storie di donne, fatte di carne e sentimenti, vittime della malavita, in preda a passioni turbolente che spingono a gesti disperati, sono le storie di Napoli e dei suoi abitanti, di quelli che vivono ai margini della società, dietro un “paravento” che non si ha il coraggio di oltrepassare.
Assunta Spina: un ritratto di Napoli
Fiera, verace, vittima delle proprie passioni è la donna prediletta da Salvatore Di Giacomo. Assunta Spina fa parte di quella galleria di ritratti femminili “terrestri”, scrutati nell’intimità dei sentimenti, in un abisso fatto di ombre e tormenti, che il poeta ha saputo delineare con maestria, tanto nei versi, quanto nelle novelle.
Scritta nel 1888, durante il periodo di collaborazione al Corriere di Napoli, allora diretto da Matilde Serao e da Edoardo Scarfoglio, la novella narra la vicenda di una donna che combatte la sua lotta per l’indipendenza, in un mondo fatto dagli uomini per gli uomini. Assunta Spina incarna la vera Napoli dell’epoca, quella tormentata dei vicoli abbandonati, nei quali si consuma la miseria umana.
È la città che un piccolo borghese come Di Giacomo scopre grazie al suo lavoro di giornalista, studiando sociologicamente la cultura e la condizione della plebe. Per il poeta Napoli è «un calderone di vita, di sofferenze, di fatti a volte incomprensibili ma sempre profondamente autentici anche nella loro gestualità teatrale». In questo ambiente, nel quale egli si immedesima, divenendo un tutt’uno con la cultura, la vita, il linguaggio della sua città, Di Giacomo cala la vicenda della bella e impossibile Assunta, padrona e vittima di se stessa.
La novella si apre con l’immagine di un tramonto che scende nei vicoli ombrosi e penetra silenziosamente ne’ poveri interni. Assunta Spina appare sin dalle prime righe in tutta la sua fierezza, ma Di Giacomo lascia intravedere nella gestualità lo stato d’animo del personaggio:
Assunta Spina schiuse le sue vetrate e sulla soglia del basso trasse una seggiola, per un pezzo rimanendovi accanto, ritta, la mano sinistra sulla spalliera, le dita della destra tamburinanti sulla vetrata.
La novella si articola in una serie di dialoghi e di gesti sviluppati in crescendo, in una sorta di movimento circolare il cui esito drammatico sembra essere già preannunciato dall’incipit. La scena di sangue finale ha come sottofondo il chiassoso vocio tipico dei vicoli napoletani, aperti al pettegolezzo, alla meschinità, al finto moralismo.
Ancora una volta, Di Giacomo restituisce al lettore un’immagine reale, quotidiana della città con tutte le sue contraddizioni e le sue malattie. L’interesse del poeta per il teatro ha portato sulla scena una serie di drammi “popolari”, derivati dal suo interesse per il dialetto, che utilizza come strumento per raccontare le storie dei suoi personaggi, senza rinunciare a conferire una certa misura artistica al linguaggio.
La prima di Assunta Spina, in due atti, debuttò al Teatro Nuovo di Napoli il 27 marzo 1909. Seguirono una prima versione cinematografica, realizzata nel 1915, e una seconda versione storica del 1947, la cui sceneggiatura fu curata da Eduardo De Filippo. Nel 2006 è andata in onda una miniserie Rai della vicenda di Assunta Spina.
Assunta è una donna molto bella, verace impossibile; è proprietaria di una stireria ed è fidanzata con il macellaio Michele Boccadifuoco, un uomo gelosissimo e possessivo, che avverte l’impossibilità di controllare la donna. Intanto, Assunta riceve la corta assidua di Raffaele, che, dopo vari rifiuti, decide di vendicarsi provocando la gelosia di Michele con una lettera anonima, che mina l’integrità morale della donna. Al pranzo per l’onomastico di Assunta si presenta anche Raffaele, provocando la gelosia di Michele che si apparta. Assunta, dopo avere invano chiesto a Michele di ballare, per ripicca invita Raffaele.
La gelosia prende il sopravvento e Michele compie un gesto estremo: con un coltello sfregia il volto di Assunta, volendo affermare il diritto di possessione sulla vita della donna. Tuttavia, la fragilità del cuore di Assunta si manifesta in tribunale, quando dichiara di aver provocato lei l’uomo. La corte emette comunque una condanna per Michele, che verrà recluso per due anni nel carcere di Avellino.
Pur di farlo restare a Napoli e poterlo vedere più spesso, Assunta si rivolge al vicecancelliere Federigo Funelli, ma sarà costretta a divenirne l’amante. Col tempo Federigo ha preso il posto di Michele nella vita di Assunta, ma l’uomo non ricambia i suoi sentimenti: per lui la bella popolana è solo un momento di evasione dai doveri coniugali e dalla vita piena di regole e convenevoli che la sua posizione sociale gli impone.
Dopo diverse insistenze, Federigo accetta di andare da Assunta al pranzo di Natale, che è proprio il giorno in cui Michele viene scarcerato. All’incontro con Michele, Assunta cerca di nascondere tutto, ma poi è costretta a dare spiegazioni. Michele, che non ha per niente smussato il suo carattere, è fuori di sé e, trovandosi faccia a faccia con il suo rivale, lo uccide. Davanti ai gendarmi, Assunta si accusa del delitto che non ha commesso, trovando in questo gesto l’unico modo per espiare i suoi sensi di colpa.
La vicenda di Assunta Spina mette in evidenza tutti gli opposti della Napoli tradizionalista ed ipocrita di inizio secolo: Assunta è amata ed odiata dai suoi uomini, è fiera di fronte al pettegolezzo, volendo affermare a tutti i costi la sua libertà di essere donna, ma soccombe alla mentalità maschile del possesso. Alla fine, come la maggior parte delle donne di Di Giacomo, Assunta viene battuta dagli eventi e dai meccanismi della società. Come la sua città, ha bisogno disperatamente di amare ed essere amata, di trovare conforto nell’altro e di non sentirsi sola, di acquisire una propria collocazione in un mondo che non comprende, ma che vuole, a tutti i costi, vivere nella sua pienezza.
Giovannina Molaro
Bibliografia:
T. Iermano, Le scritture della modernità: De Sanctis, Di Giacomo, Dorso, Liguori, 2007.
S. Di Giacomo, Le poesie e le novelle, a cura di F. Flora e M. Vinciguerra, Arnoldo Mondadori Editore, 1971, Vol. I.
S. Di Giacomo, Assunta Spina, in Il teatro e le cronache, a cura di F. Flora e M. Vinciguerra, Arnoldo Mondadori Editore, 1971, Vol. II.
S. Di Giacomo, Assunta Spina, in Novelle Napolitane, Milano, Fratelli Treves Editori, 1914.
A.Fratta, Salvatore Di Giacomo. La vita, la poesia, le canzoni, la prosa, Roma, Newton & Compton, 1997.
Sitografia:
http://www.lacooltura.com/2016/03/donne-e-poesia-le-amanti-di-salvatore-di-giacomo/