In questo articolo osserveremo la prassi e i gesti di rito secondo cui un grande narratore del primo ‘900, Federigo Tozzi, leggeva e soprattutto sceglieva cosa leggere, raccontati in veste di lettore all’interno del breve scritto Come leggo io.
Molto spesso il senso di ammirazione verso le letture che amiamo ci porta ad immaginare gli autori dei nostri libri preferiti come una classe nettamente distinta da quella in cui dovremmo ricadere noi lettori; niente di più sbagliato, dal momento che l’atto dello scrivere e del leggere sembrano fondersi o comunque generare lo stesso ordine delle idee presso molti narratori.
Già osservare il numero di riferimenti ad opere precedenti da parte di scrittori di tutte le letterature e di tutte le epoche risulterebbe in un lavoro infinito e lunghissimo, che non farebbe altro che ribadire l’esistenza di una fitta trama che connette autori ed opere in tutti i tempi.
Cogliere in fallo l’autore
Federigo Tozzi descrive con precisione anche i minimi gesti che accompagnano la scelta e la lettura di un testo; il lettore dovrebbe porsi sempre con diffidenza, allontanarsi il più possibile da ciò che legge per non lasciarsi influenzare da giudizi frettolosamente indulgenti:
Socchiudo gli occhi, come fanno i mercanti quando vogliono rendersi conto bene di quel che stanno per comprare. Finalmente, assicuratomi che non sono in uno stato d’animo suscettibile a lasciarsi ingannare, mi decido a leggere un periodo.
Afferma di aprire delle pagine a caso, verso la fine del libro, di scegliere delle frasi isolate e, se la costruzione stilistica è operata con abilità, si può procedere al resto.
Appare evidente che Tozzi smantella l’unità testuale, in quanto il suo giudizio può compiersi solo attraverso la lettura di parti slegate fra loro:
Se questi periodi resistono al mio esame, può darsi ch’io mi convinca a leggere il libro intero. Ma non mai di seguito. Mi piace di gustare qualche particolare, qualche spunto, qualche descrizione, dialogo, ecc. […] Se leggessi il libro di seguito, io non avrei modo di giudicare quanto i personaggi «sono fatti bene».
Io li devo interrompere, li devo pigliare alla rovescia, quando meno se l’aspettano.
La ricerca di Federigo Tozzi è tutta orientata verso la ricerca di un narratore che sappia attirare la sua curiosità tramite dei frammenti sparsi, in modo da non lasciarsi sviare da un elemento secondario, come stiamo per vedere, che è la trama.
Federigo Tozzi: un «pessimo» lettore
Secondo il Federigo Tozzi-lettore gli effetti della trama quali “svolazzi, gli scorci, le svoltate, le disinvolture, i pavoneggiamenti“, che non esita a definire ‘cinematografici’, sviano il lettore dall’attenzione verso la profondità del racconto.
Per quanto i romanzi di intreccio e suspense risultino interessanti, per Federigo Tozzi è ugualmente interessante il racconto di “un qualsiasi misterioso atto nostro“. Per il Tozzi che leggeva testi di psicanalisi questo è un elemento fondamentale, che in effetti trova un continuo riscontro nei suoi scritti: la ricerca di un elemento minimo, di qualsivoglia natura, in grado innescare variazioni nella coscienza del personaggio.
Un uomo che a un certo punto della sua strada si sofferma per raccogliere un sasso che vede. […] Tutto consiste nel come è vista l’umanità e la natura. Il resto è trascurabile, anzi mediocre e brutto.
Dopo aver elogiato monumenti quali il Decameron e I Promessi sposi, proprio per la loro capacità di riuscire ad offrire in ogni propria parte, presa singolarmente, una “parvenza della nostra fuggitiva realtà”.
Altri canoni per un buon libro sono per il nostro lettore sono la capacità di inserire un significato vivo in ogni parola, sia essa presa dall’italiano o dai suoi dialetti (questo spiega il largo uso da parte dell’autore di regionalismi toscani in molti scritti); di avere inoltre in mente di veicolare un messaggio, in quanto lo scrivere è l’arte di conoscere la propria intelligenza e la propria sensibilità.
Ma se Federigo Tozzi riesce a delineare la figura del buon narratore, egli stesso non si reputa esente dalla colpa di essere, per questa sua intransigenza, un cattivo lettore:
Io odio i libri scritti male, non solo perché sono inutili; ma perché guastano il gusto dei lettori non preparati abbastanza. Essi, inoltre, m’irritano da pigliare a pugni chi li ha scritti. […]
Come si vede, io sono un «pessimo» lettore; e, quel che è peggio, me ne vanto.
Daniele Laino
Bibliografia:
Per le citazioni si veda Come leggo io in: Tozzi F., Opere, a cura di M. Marchi, Mondadori, I Meridiani, pp. 1324-1327.