L’opera del mendicante (The Beggar’s Opera) di John Gay, tra le più rappresentative del Settecento inglese (da cui Brecht e Kurt Weill trassero, nel 1928, la più celebre “opera da tre soldi“), è al contempo una parodia dell’opera italiana, che all’epoca dominava le scene e i palchi di tutta Europa, e una satira politica acuta e corrosiva.
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The Beggar’s Opera: una breve scorsa alla trama…
Non v’è coscienza che non abbia un prezzo per farsi comperare. [1]
Dopo una piccola introduzione in cui un mendicante (identificabile con l’autore) discute del suo testo con un attore, il sipario si apre sulla casa di un uomo, Peachum, che tiene in mano un libro dei conti.
Il suo nome parla chiaro: egli è un “impeacher”, un delatore; gestisce una gang di malfattori e prostitute e, quando questi non gli servono più, li denuncia per ottenere un compenso.
Scopriamo che la figlia, Polly, ha una storia col più noto e capace tra i briganti della gang, il Capitano Macheath (che, inutile dirlo, si è meritato l’appellativo di capitano solo per le sue mirabolanti imprese di ruberie e giochi d’azzardo). Macheath ha sposato Polly in segreto senza aver prima rotto con Lucy, la figlia del carceriere, che aspetta un bambino da lui; non disdegna, inoltre, la compagnia delle prostitute della gang e, alla fine dell’opera, altre quattro donne incinte si fanno avanti, certe che lui sia il padre dei bambini.
Ciononostante egli è l’eroe indiscusso dell’opera, come attesta la scena finale in cui viene portato in trionfo. A cosa dobbiamo questo sovvertimento dei valori?
L’opera del mendicante come parodia
Il critico Bachtin definisce l’operazione parodica come “ripresa della parola altrui contro se stessa”. Chi scrive una parodia, dunque, adopera gli artifici formali di un determinato genere per poi sovvertirlo nei contenuti e nel sua stessa ragion d’essere.
L’opera del mendicante, dicevamo, è una rivisitazione parodica dell’opera lirica, costituita generalmente di tre atti all’interno dei quali le parti recitate si alternano alle “arie” e ai “recitativi” (una sorta di parlato melodico accompagnato dalla musica). Il genere fu “importato” in Inghilterra perché incontrava i gusti della classe borghese, incline al sentimentalismo e alle rappresentazioni serie, mentre molti autori lo sentivano come una costrizione assolutamente innaturale rispetto alla tradizione letteraria inglese.
Questa commedia espone con grande giustizia il nostro gusto innaturale verso la musica italiana […]; finiremo per pugnalarci e avvelenarci a vicenda per somigliare in tutto e per tutto agli italiani. [2]
La genialità di Gay sta nel fatto che, invece di utilizzare arie tratte dai melodrammi italiani, preferì musiche popolari inglesi (come la celebre Greensleeves) riscrivendone i testi: un’operazione, questa, che diede il via al genere della cosiddetta ballad opera.
John Gay, comunque, non si limita a fare il verso ad unico genere, tant’è vero che l’opera del mendicante fu definita “Newgate Pastoral”. Newgate era la prigione londinese dove venivano rinchiusi i briganti: l’opera sfrutta, quindi, il modello pastorale sostituendo ai pastori cantanti dei criminali cantanti; così la struttura dell’opera lirica, essenzialmente musicata, si intreccia perfettamente col suo intento parodico e satirico.
Dietro alla parodia, la satira
Il senso della parodia è che essa cela una critica, che può essere rivolta al genere letterario stesso oppure alla società di cui tale genere rappresenta i valori fondamentali.
Il caso de “L’opera del mendicante” è il secondo: vediamo perché.
Il Settecento fu notoriamente il secolo dell’ascesa della borghesia, che affermava un nuovo gusto, quello della “sensibility“, e richiedeva la rappresentazione di nuovi valori attraverso l’arte e la letteratura. Non sempre, però, questi millantati valori corrispondevano ai costumi reali: il Settecento inglese fu anche il secolo della corruzione.
I cosiddetti “highwaymen“, organizzati in vere e proprie bande, assaltavano frequentemente le carrozze di aristocratici e borghesi benestanti. I capi di queste bande spesso non tramavano nell’ombra, ma erano famosi in tutto il territorio e mantenevano anche rapporti col potere istituzionale: è il caso di Jonathan Wild, di cui molti autori famosi scrissero biografie attribuendogli perfino l’appellativo “The Great”. A lui è chiaramente ispirato il personaggio di Peachum.
Fare l’avvocato è un lavoro onesto, e così il mio. Come me anch’egli agisce in maniera doppia, sia contro la legge sia in favore di essa; per questo noi dovremmo proteggere e incoraggiare gli imbrogli, in quanto viviamo grazie ad essi. [3]
Peachum pronuncia queste battute nella prima scena e queste ci chiariscono già il senso di tutta l’opera: John Gay parla dei criminali per parlare dei politici, paragona l’immoralità dei delinquenti a quella delle classi alte e comprendiamo che non c’è scampo: è l’interesse personale a guidare le azioni umane, indipendentemente dal ceto sociale di appartenenza, tanto che
è difficile determinare se siano i vizi dei gentlemen raffinati a imitare quelli della strada, o i gentlemen della strada a imitare quelli raffinati. [4]
Maria Fiorella Suozzo
Fonti e citazioni
[1] citazione attribuita a Robert Walpole, primo ministro inglese noto per la sua corruzione
[2] Jonathan Swift su “L’opera del mendicante”
[3], [4] L’opera del Mendicante, John Gay
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