Addio è la sintesi dell’espressione “ti raccomando, ti affido a Dio” ed è usata spesso nel separarsi con rammarico da una persona cara; ma può valere metaforicamente anche per segnalare il distacco definitivo, o sentito come tale, da un momento particolare della vita, da una situazione, da un ambiente. Il distacco dalle persone care a volte è una dura necessità da affrontare con fermezza, come nel caso della morte di un amico o di un familiare.
L’addio vale anche quando ci si deve allontanare dalla patria e dall’ambiente che ci ha visto crescere, come nel caso degli esuli e degli emigranti. Dirsi addio implica la presenza di una forte emotività nel soggetto, la cui coscienza si trova in un momento significativo della propria vita, nella necessità di compiere una scelta dolorosa e di mettere in gioco tutte le proprie risorse interiori per ricominciare da capo, per gettare le basi di una nuova vita. Vediamo alcuni addii significativi nella storia della letteratura.
I promessi sposi: Addio, monti
L’ottavo capitolo de “I promessi sposi” è molto movimentato e si incentra su due azioni parallele: il tentativo di matrimonio a sorpresa presso casa di Don Abbondio, voluto da Renzo, e il tentativo di rapimento di Lucia da parte del Griso, su ordine di Don Rodrigo.
Entrambe le azioni falliscono: la prima per un’imprevista reazione di Don Abbondio che impedisce a Lucia di pronunciare la formula rituale; la seconda per l’assenza provvidenziale della vittima. Don Abbondio urlando provoca l’intervento del campanaro, che suona facendo credere ai bravi che i rintocchi siano per loro, e fuggono disordinatamente. Mentre Renzo, Lucia e Agnese rientrano in casa, il piccolo Menico li avverte che fra’ Cristoforo li attende in chiesa. Qui, dolorosamente, il frate persuade i poveretti della necessità di fuggire:
“Dio vuol così. È una prova, figliuoli; sopportatela con pazienza, con fiducia, senza odio, e siate sicuri che verrà un tempo in cui vi troverete contenti di ciò che ora accade.”
Il paese è ormai divenuto troppo rischioso per la prepotenza di Don Rodrigo e i due promessi sposi sono costretti a dirgli addio. La fuga di Renzo e Lucia avviene in una silenziosa notte di luna: attraversano l’Adda, Lucia saluta tristemente i luoghi a lei tanto cari, dal paese in cui è nata e avrebbe desiderato continuare a vivere con Renzo.
“Addio, monti sorgenti dall’acque, ed elevati al cielo; cime inuguali, note a chi è cresciuto tra voi, e impresse nella sua mente, non meno che lo sia l’aspetto de’ suoi più familiari; torrenti, de’ quali distingue lo scroscio, come il suono delle voci domestiche; ville sparse e biancheggianti sul pendio, come branchi di pecore pascenti; addio! Quanto è tristo il passo di chi, cresciuto tra voi, se ne allontana! […] Addio, casa natìa, dove, sedendo, con un pensiero occulto, s’imparò a distinguere dal rumore de’ passi comuni il rumore d’un passo aspettato con un misterioso timore. Addio, casa ancora straniera, casa sogguardata tante volte alla sfuggita, passando, e non senza rossore; nella quale la mente si figurava un soggiorno tranquillo e perpetuo di sposa. Addio, chiesa, dove l’animo tornò tante volte sereno, cantando le lodi del Signore; dov’era promesso, preparato un rito; dove il sospiro segreto del cuore doveva essere solennemente benedetto, e l’amore venir comandato, e chiamarsi santo; addio!”
Un tono lirico-malinconico caratterizza l’addio di Lucia con cui si conclude il movimentato capitolo della “notte degli imbrogli”. Reso come un monologo interiore, scandito in anafora dall’addio, il passo del romanzo si collega agli elementi fondamentali del mondo interiore di Lucia: il paese, la casa e la chiesa. Ma queste parole sono pronunciate dal narratore che canta per Lucia e per gli altri fuggiaschi e Manzoni, con consapevole ironia, spazza via ogni perplessità del lettore:
“Di tal genere, se non tali appunto, erano i pensieri di Lucia”
Guy de Maupassant: l’inesorabile trascorrere del tempo
Guy de Maupassant è solito fissare la sua attenzione sugli aspetti quotidiani più cupi e desolati della vita e rappresentare un’umanità dominata dalla miseria, dall’avidità, dall’ignoranza e dalla disperazione. Il mondo descritto da Maupassant è buio e senza speranza, in cui i pochi momenti di gioia sono ormai passati e il loro ricordo tormenta il presente dei personaggi.
È quanto succede nel racconto Addio (Adieu), del 1884, breve ma efficace per il ritmo serrato della narrazione. Col suo incessante trascorrere, il tempo allontana la giovinezza e con essa l’intensità delle emozioni e dei sentimenti. Ma il passaggio è lento, i segni della decadenza fisica modificano a poco a poco i volti. Il protagonista Pierre Carnier parla con l’amico Henri Simon di come il tempo sia trascorso e si siano ritrovati entrambi vecchi.
“…abituati come siamo a guardarci tutti i giorni nello specchio, non vediamo compiersi il lavoro del tempo, che è lento, regolare e modifica il viso così inesorabilmente che le transizioni passano inosservate […] per averne la sensazione bisognerebbe rimanere sei mesi senza guardare il proprio volto…ah, che colpo, allora!”
Carnier ricorda che dodici anni prima aveva incontrato sulla spiaggia di Etretat, un’affascinante giovane donna sposata di nome Julie Lefèvre. Sono diventati amanti e lui ne era molto innamorato, ma una volta terminata la vacanza ognuno prende la sua strada anche se lui continua a pensarla come la donna più affascinante mai incontrata.
Ma una settimana prima, mentre andava a casa di amici, Carnier racconta di averla incontrata per caso su un treno: era grassa, col respiro affannato e aveva quattro figlie con lei. Vederla in quello stato è stato un colpo al cuore per Carnier, un’indignazione irragionevole contro quel processo di distruzione. I due si parlano ammettendo il reciproco cambiamento fisico. Una volta sceso dal treno, la sera, si ritrova solo in casa a guardarsi a lungo allo specchio:
“E finii per ricordarmi com’ero stato, per rivedere con gli occhi della mente i miei capelli neri, e i lineamenti del mio volto giovanile. Ero vecchio, ormai. Addio!”
Il racconto che ha per tema il fluire del tempo e l’invecchiare realizza un’atmosfera limpida in apertura nella ariosa sera in cui si incontrano i due amici, per poi smorzarsi con l’amara constatazione del molto tempo trascorso. La scoperta improvvisa e sconvolgente porta Carnier alla presa di coscienza e davanti allo specchio è pervaso dal sentimento di rassegnazione che gli fa dire addio alla giovinezza, alla vita piena.
Simone De Beauvoir: addio alla madre
Nel racconto biografico “Una morte dolcissima”, del 1964, l’autrice francese Simone De Beauvoir parla della morte della madre. Vengono riannodati i rapporti tra passato e presente, recuperati i ricordi della vita trascorsa, di tutte le occasioni perdute e di tutte le persone che hanno popolato e animato del mondo.
Ma la morte è sempre “un’indebita violenza” che l’uomo subisce pur conoscendola. L’inesorabile addio alla madre rappresenta la privazione di un rapporto antico, lo spezzarsi di un legame con la vita che fa sentire veramente soli. L’agonia della donna viene rievocata con sentimenti di commossa tenerezza, registrata giorno per giorno con umanissima partecipazione e sarebbe stata più dolorosa senza la presenza delle figlie; la sua è una morte dolce, da privilegiata.
Come in ogni testimonianza che si rispetti i contrasti sono molteplici e derivano dai mai risolti scontri tra realtà e pensiero, tra fatto e idea: si assiste al contrasto di sentimenti nei confronti dei medici, il tecnico contro l’umano, della speranza, il desiderio di continuità contro la tentazione di porre fine al male, della malattia, liberazione e prigione. Il doloroso evento fa crollare gli antichi conflitti tra madre e figlia e le consente di ritrovare sentimenti che credeva ormai estinti:
“Perché la morte di mamma mi ha scossa così profondamente? […] Il nostro antico rapporto dunque, sopravviveva in me sotto la sua duplice figura: una dipendenza amata e detestata. [..] Quando scompare qualcuno che ci è caro, paghiamo con mille cocenti rimpianti la colpa di sopravvivere.”
Solo ora l’autrice riesce a provare tenerezza e pietà per la madre, i ricordi si alternano e una profonda commozione pervade il racconto da cui oltre alla tristezza per il doloroso evento traspare la rabbia per l’impossibilità di poter arrestare un fatto così naturale, che pur conoscendolo non si riesce ad accettare. L’autrice, nella parte conclusiva del romanzo, eleva la sua vicenda personale su di un piano di validità universale.
“Non esiste una morte naturale: di ciò che avviene all’uomo, nulla è mai naturale, poiché a sua presenza mette in questione il mondo. Tutti gli uomini sono mortali: ma per ogni uomo la propria morte è un caso fortuito, ed anche se la conosce e vi acconsente, una indebita violenza”
Maurizio Marchese