Il cipresso nella letteratura: Ovidio, Foscolo, D’Annunzio

Il cipresso è il nome italiano della pianta delle Cupressacee Cupressus sempervirens, caratteristica della macchia mediterranea. Originaria delle zone orientali, la conifera fu introdotta in Italia in epoca romana, divenendo, a poco a poco, il simbolo di alcuni paesaggi della nostra penisola. Famosi sono i secolari cipressi toscani di Boboli e Poggio Imperiale o quelli di Bolgheri in Maremma, ai quali Carducci attribuì il compito di ricordare i momenti legati alla sua infanzia.

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Un tipico paesaggio toscano

Il significato e l’uso del cipresso è mutato nel corso della storia, fino a che oggi esso viene associato agli ambienti cimiteriali, ormai più per la necessità di controllare meglio gli spazi (dato che le sue radici, crescendo in profondità, non interferiscono con le sepolture), che per una reale conoscenza della sua simbologia.

Il cipresso: dall’origine mitica alla simbologia

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Ciparisso, Jacopo Vignalli, 1623-1625

Il mito narra che un giovane cacciatore di nome Ciparisso, amato da Apollo, si affezionò ad un cervo bellissimo e sacro alle ninfe della campagna di Cartea, una città delle Cicladi, nell’Egeo. Un giorno, durante una battuta di caccia, Ciparisso colpì per sbaglio il cervo che, nonostante gli interventi di Apollo, morì. La sofferenza del giovane fu tale da chiedere agli dèi di poter essere a lutto per sempre: allora, fu trasformato in un albero millenario che dal suo nome fu chiamato cipresso. Apollo decretò che il cipresso fosse da allora in poi considerato l’albero del conforto ai defunti.

La più antica notizia sull’origine mitica del cipresso proviene da Ovidio, il quale fa menzione della favola di Ciparisso legata al culto di Apollo. Nel libro X delle Metamorfosi (vv. 106-142) il poeta, descrivendo gli alberi di diverso genere, novera tra essi il cipresso:

[…]Adfuit huic turbae metas imitata cupressus,
nunc arbor, puer ante deo dilectus ab illo,
qui citharam nervis et nervis temperat arcum[…]

A questa folla si aggiunse il cipresso che ricorda il sonno eterno,                                                                             albero adesso, ma un tempo fanciullo amato da quel dio,                                                                                           che padroneggia la corda dell’arco e quelle della cetra.

Ovidio descrive la metamorfosi di Ciparisso in albero non come una punizione divina, piuttosto come la concessione di un dialogo “terreno” tra i due mondi, tra vita e morte:

Iamque, per immensos egesto sanguine fletus,
in viridem verti coeperunt membra colorem,
et modo, qui nivea pendebant fronte capilli,
horrida caesaries fieri sumptoque rigore
sidereum gracili spectare cacumine caelum.
Ingemuit tristisque deus “Lugebere nobis,
Lugebisque alios aderisque dolentibus”, inquit.

Così, esangui per quel pianto dirotto,
le sue membra cominciarono a tingersi di verde,
e i capelli, che gli spiovevano sulla candida fronte,
a mutarsi in ispida chioma che sempre più rigida svetta
assottigliandosi in cima verso il cielo trapunto di stelle.
Mandò un gemito il dio e sconsolato disse “da me sarai pianto
e tu accanto a chi soffre piangerai gli altri.”

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V. Van Gogh, Strada con cipresso e stella, 1890

Oltre all’insegnamento ovidiano di non legarsi troppo a ciò che è mutevole e destinato a perire, il mito di Ciparisso assegna all’albero una valenza funebre e di conforto per gli estinti. In effetti, l’impiego del cipresso nell’ambito funerario non riguarda esclusivamente la sua collocazione cimiteriale: gli antichi egizi si servivano del legno di questo albero per costruire i sarcofagi, data la sua durabilità. Inoltre, di tale legno erano anche le porte dei templi, le statue, gli strumenti musicali. Tuttavia, la simbologia del cipresso risiede in un mondo sospeso, tra la vita e la morte.

Il cipresso possiede una chioma allungata verso l’alto, che ricorda la forma di una fiamma. Per tale ragione esso è collegato alla luce e, quindi, alla vita. I Persiani lo ritenevano il “primo albero del paradiso”, in quanto esso stabiliva una sorta di collegamento tra il mondo degli inferi e quello dei cieli: le sue radici crescono nelle profondità della terra, mentre la sua chioma si erge ritta sino al cielo; per la sua longevità (può superare persino i cinquecento anni di vita) gli antichi lo consideravano un simbolo di immortalità e, per tale ragione, veniva associato ad alcune divinità del Pantheon. A suggerire un legame con la vita è anche la sua forma fallica: gli antichi Romani erano soliti intagliare con legno di cipresso le statue di Priapo, divinità della fertilità e dell’abbondanza. Il cipresso rappresenta non solo il lato maschile dell’esistenza, ma anche quello femminile: da qui l’usanza di piantare un albero di cipresso per ogni figlia femmina nata. Che il cipresso fosse anche un dono augurale da consegnare come regalo di nozze agli sposi, è testimoniato dal poeta Catullo (Poesie, LXIV):

E subito arrivò anche Peneo […]
ma non a mani vuote: alti faggi
egli, infatti, portò con le radici,
ed alti alberi dal fusto dritto,
e il platano ondeggiante, e la flessibile
sorella di Fetonte che fu arso,
ed il cipresso che nell’alto svetta.

Il cipresso come simbolo di vita richiama un altro elemento carico di significato: l’obelisco, il raggio solare, il simbolo della eternità, cui i defunti dopo questa vita mortale erano destinati. Pare che il cipresso fosse utilizzato anche come metafora di bellezza femminile: Teocrito paragona ad un cipresso la più bella tra le donne greche, Elena. Il significato di bellezza e grazia affidate al cipresso deriverebbero da un mito tebano secondo il quale le χάριτες, le bellissime figlie di Eteocle, mentre danzavano a gara con le altre Dee caddero in un pozzo e, per pietà della dea Terra, furono tramutate in cipressi.

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Il significato simbolico dell’albero era fortemente sentito nell’antichità. Il progresso e l’avanzare della conoscenza ha ridimensionato il rapporto tra l’uomo e la natura, tralasciando e minimizzando la simbologia di cui l’universo è composto. Recente è l’associazione del cipresso alla morte. Il suo elevarsi verso il cielo rappresenta l’anima del defunto che oltrepassa il regno dei viventi, emblema di immortalità. La letteratura ci fornisce dei profili mesti del cipresso, in stretto legame con la morte. Tuttavia, nonostante la sua associazione con i cimiteri, luoghi di nostalgici ricordi e affetti ultraterreni, il cipresso è in grado di donare conforto:

All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
confortate di pianto è forse il sonno
della morte men duro? Ove piú il Sole
per me alla terra non fecondi questa
bella d’erbe famiglia e d’animali,
e quando vaghe di lusinghe innanzi
a me non danzeran l’ore future,
né da te, dolce amico, udrò piú il verso
e la mesta armonia che lo governa,
né piú nel cor mi parlerà lo spirto
delle vergini Muse e dell’amore,
unico spirto a mia vita raminga,
qual fia ristoro a’ dí perduti un sasso
che distingua le mie dalle infinite
ossa che in terra e in mar semina morte?[…]
(U. Foscolo, Dei Sepolcri)

E se Foscolo nella sua visione illuministica della morte affida all’ombra del cipresso un sollievo dallo sconforto, per Pascoli è il nido della fanciullezza:

O cipresso, che solo e nero stacchi
dal vitreo cielo, sopra lo sterpeto
irto di cardi e stridulo di biacchi:

in te sovente, al tempo delle more,
odono i bimbi un pispillìo secreto,
come d’un nido che ti sogni in cuore.[…]
(in Myricae, Il cuore del cipresso)

Molte culture hanno celebrato il cipresso come “guardiano” delle anime dei defunti. Si dice che il cipresso ha il compito di accompagnare i morti nell’aldilà e di proteggere questo mondo dagli spettri. Tuttavia, il significato simbolico del cipresso resta maggiormente legato agli aspetti “vitali” dell’esistenza. Diversi rituali magici considerano il cipresso uno dei componenti essenziali per la guarigione e per la preparazione di incensi esorcistici. Alcuni intrugli vengono preparati con foglie di cipresso e un pizzico di polvere di chiodi di garofano e di grano di mirra per favorire l’intelletto e focalizzarsi sull’essenziale.

Giovannina Molaro

Bibliografia:

C. Lapucci, Leggende della terra toscana, Polistampa, Firenze 2011

F. M. Avellino, Il mito di Ciparisso, Napoli 1841

Sitografia:

http://www.latelanera.com/misteriefolclore/misteriefolclore.asp?id=308