Money, banche ed investimenti al Teatro Nuovo
Come trasmettere temi sociali di una certa importanza per così dire “sovversiva”, “universale”, tramite lo strumento del teatro? Può questo mezzo di intrattenimento e spettacolarizzazione investirsi dell’obiettivo di “aprire gli occhi”, o almeno di portare alla riflessione, quanti spettatori decidono di assistere alla performance? Possono cercare di dare una risposta a questa domanda quanti hanno assistito con attenzione allo spettacolo di Francoise Bloch, Money, partecipante all’edizione 2016 del Napoli teatro festival. Di origine Belga, e quasi del tutto recitato in francese, escluso qualche simpatico tentativo di goffa connessione linguistica dei quattro attori protagonisti, lo spettacolo risulta chiaro nei suoi punti cardine a prescindere dalla lingua, e dalla sottotitolatura in italiano. L’intera piecè prende spunto da un pretesto alquanto comune, una domanda che chiunque si sarà posto una volta nella vita: che fine fanno i nostri soldi quando li depositiamo in banca? Da questo spunto di riflessione elementare quanto fatale parte una girandola che viaggia dall’inchiesta al mondo della finanza, dal settore dell’investimento a quello dell’impresa a quello del fisco, senza trascurare di analizzare e scardinare le trafile, gli atteggiamenti, le più scontate routine, addirittura il linguaggio specifico utilizzato dagli addetti a questi settori per così dire “pubblici”, che crolla nella più mortificante banalità se guardato dalla prospettiva psicologica di chi ne capisce i fini e gli scopi.
Una giostra che saltella da un ufficio all’altro, da un cliente all’altro, da un impiegato all’altro, mentre i quattro attori mutano ruoli ed identità fra i diversi intermezzi, intervallati fra loro da vorticose girandole su ruote che concedono alla piecè quel tocco coreografico che non guasta mai. L’acuto estro del regista non ha mancato di servirsi di scene talmente iconografiche nella loro semplicità da fornire spiegazioni di se stesse e del proprio senso senza necessitare di parole nonostante l’argomento spinoso sembrerebbe richiederne a fiumi. Di per se anche la scenografia di Johan e Johanna Daenen risulta essere molto scarna e lineare, prestandosi ad offrire spazio all’azione vorticosa di tavoli e sedie, che già da sola cela un significato e una realtà espressiva la quale non necessita di altre spiegazioni, e all’azione scenica dei quattro attori, Jerome De Falloise, Benoit Piret, Aude Ruyter e Damien Trapletti, che nella delicatezza dei propri modi non mancano di condire l’intera performance di un’ironia che trascina lo spettatore, nonostante l’impegno dell’argomento, strappandogli una risatina di tanto in tanto; quale miglior testimonianza di tale osservazione se non proprio la scena che chiude lo spettacolo.
L’idea di una scenografia corredata da una parete frontale interamente multimediale e in quasi costante movimento video, curato da Benoit Gillet ed Yael Steinmann, permette al palcoscenico di parlare da solo, o di contribuire alla suggestione già insita nei contenuti e nei dialoghi. Nel complesso, un lavoro interessante e reso semplice nella sua complessità da una saggia regia e una buona interpretazione.
Letizia Laezza
Money/Napoli Teatro Festival- Teatro Nuovo- sito ufficiale