Mandata in onda nei primi anni 2000, la serie TV Relic Hunter ha per protagonista l’archeologa Sydney Fox (Tia Carrere), donna sexy e sicura di sé che gira il mondo insieme al suo assistente Nigel (Christien Anholt) in cerca di tesori perduti.
Per tre stagioni, dal 1999 al 2002, il telefilm ha seguito le peripezie dei due personaggi, in avventure, situazioni e sequenze che ricalcano quelle di Indiana Jones e che hanno avuto per tema l’archeologia misteriosa.
Coinvolgente fin dalle prime note, la sigla (vedere di seguito) ha contribuito a far immergere lo spettatore nell’atmosfera dalle tante tinte dello show, in cui comicità, provocazione e rischio sono indissolubilmente legati. Una sigla che, per i vecchi fan, risveglia all’istante la nostalgia.
Relic Hunter: location esotiche e misteriosi pericoli
La storia sullo sfondo di Relic Hunter è semplice. Sydney Fox è una docente di archeologia, ben lontana dallo stereotipo dell’accademica/topo di biblioteca tradizionale e noiosa, che insegna in un’università americana chiamata Trinity College. Nigel Bailey è il suo assistente, un ricercatore introverso e un po’ goffo, che viene trascinato suo malgrado in esperienze adrenaliniche. Claudia (Lindy Booth) è una segretaria/studentessa un po’ superficiale e pasticciona, che aiuta i due dal loro studio in università, riuscendo spesso a tirarli fuori da situazioni incresciose.
Sidney, però, oltre a essere una rispettabile docente di origini Hawaiiane, è anche una “cacciatrice di reliquie” (una Relic Hunter, appunto), il cui scopo è quello di trovare preziosi artefatti rubati o andati perduti e di restituirli ai legittimi proprietari e/o eredi o ai musei a cui appartengono.
Per farlo, però, è costretta a scontrarsi con cacciatori rivali, che cercano di accaparrarsi gli oggetti per trarne un profitto economico. Cintura nera, tosta e agile, Sydney riesce sempre a metterli KO con qualche mossa di arti marziali o usando armi che (ovviamente!) sa usare alla perfezione.
Gli avversari dell’archeologa, tuttavia, non sono gli unici ostacoli che Sydney e Nigel incontrano. Gli episodi sono solitamente ambientati in luoghi esotici e di per sé pericolosi come giungle o deserti e, soprattutto, in luoghi i cui abitanti praticano insoliti rituali e in cui i percorsi sono disseminati di trucchi, anche magici, pronti a scattare e a mettere a repentaglio la loro vita.
Il tasto dolente: poca originalità
Relic Hunter conquista gli spettatori, non c’è che dire. Che sia grazie all’attraente e prosperosa Tia Carrere, al fascino impacciato di Nigel o agli episodi scorrevoli e avvincenti, poco importa. Ciononostante, bisogna ammetterlo: il telefilm non brilla per originalità.
Tanto per cominciare, è stato prodotto sulla scia del successo di Tomb Raider e della sua altrettanto prosperosa Lara Croft, anche lei archeologa in cerca di antichi manufatti, alle prese con pericoli e avventure.
Ma proprio con la serie di Indiana Jones le similarità sono eccessive. Sia Sydney che Indi sono archeologi e docenti universitari che viaggiano per il mondo seguendo la propria vocazione di cacciatori di reliquie, infischiandosene dei rischi che devono poi fronteggiare.
In gamba, tenaci e arguti, magari affiancati da partner goffi che complicano la situazione o da ex con cui c’è qualcosa in sospeso, hanno sempre la soluzione a ogni imprevisto, di qualunque natura esso sia e ovunque esso si palesi.
Sia i film che la serie TV, poi, sono girati in location esotiche, in cui si nascondono pericoli sconosciuti e in cui aleggia una sorta di magia antica che rende tutto più misterioso.
Nonostante i suoi indiscutibili difetti (basta pensare alle gaffe storiche), però, Relic Hunter resta una pietra miliare della TV a cavallo tra 1999 e 2000, uno dei telefilm che, più degli altri, stuzzica la nostalgia dei vecchi spettatori.
Chiara Martino