Esistono o sono esistiti artisti preziosi, sottovalutati o dimenticati, ma che qualche critico o appassionato d’arte sceglie di riscoprire, valorizzare, diffonderne la conoscenza. È il caso di Benedetto Tozzi, artista originario di Subiaco, che ha vissuto uno dei periodi più turbolenti della storia europea del Novecento, quello dei totalitarismi e dei due conflitti mondiali, e ne è rimasto profondamente segnato sia a livello umano sia a livello artistico.
Il Museo Civico d’arte moderna e Contemporanea Anticoli Corrado (RM) gli dedica una mostra intitolata “Benedetto Tozzi (1910-1968): dalla pittura tonale alla visione espressionista”, curata dal direttore Manuel Carrera e visitabile dal 3 luglio al 14 agosto 2016, un’occasione per ripercorrere tutto il suo lavoro, per comprendere a fondo le tappe del suo cammino artistico, dal tonalismo dei primi anni Trenta all’espressionismo drammatico del periodo bellico e post-bellico.
Benedetto Tozzi: gli inizi e l’approdo alla pittura tonale
Benedetto Tozzi nasce nel 1910 a Subiaco in provincia di Roma. Studia dapprima presso il seminario dell’abbazia benedettina della città, poi si trasferisce a Roma dove frequenta il Liceo artistico e l’Accademia di belle arti.
Nella capitale è attivo come disegnatore presso il Governatorato di Roma, ma soprattutto ottiene incarichi dalla committenza ufficiale, il regime fascista: insieme a Sironi lavora ad opere pittoriche concepite per varie manifestazioni del governo praticando un’arte di propaganda magniloquente e retorica. Ben presto però si accosta ad esperienze artistiche alternative entrando in contatto con la Scuola Romana, un gruppo di artisti, tra cui Scipione e Capogrossi, che si incontrano nell’abitazione di Mario Mafai e Antonietta Raphaël in via Cavour. Essi non si raccolgono intorno ad un manifesto o ad un programma ben preciso, ma sono legati da amicizia e sono accomunati dal rifiuto per il Ritorno all’ordine del primo dopoguerra e da un forte interesse per l’espressionismo europeo che viene da loro ripreso in opere che mantengono una forte tensione etica.
Dopo il soggiorno romano Benedetto Tozzi intraprende alcuni viaggi in Francia, a Tripoli, Trieste e lavora come aiutante di Pietro Gaudenzi nella realizzazione di un ciclo di affresci, purtroppo perduto, nel Castello dei Cavalieri di Rodi. Quest’esperienza gli permette di conoscere una nuova tecnica pittorica e ciò è fondamentale per la sua attività di restauratore di affreschi in alcune chiese di Subiaco e in chiese ed edifici a Roma. Tornato in patria inizia a frequentare gli artisti del cenacolo di Anticoli Corrado, tra cui di nuovo Capogrossi e Fausto Pirandello, i quali rifiutano la caotica vita urbana e, riuniti nel piccolo centro, aspirano ad un nuovo legame con la natura e ad un’arte realistica da opporre a quella di regime.
Qui, complice la pace agreste, l’artista sperimenta la pittura tonale tipica degli anni Trenta esprimendo un legame viscerale con la sua terra. L’artista dipinge paesaggi e vedute, i luoghi di Subiaco e della valle dell’Aniene, costruendo tutto con il colore steso a pennellate svelte e liquide, piegando le cromie ad una visione lirica, venata di una certa nostalgia, come a descrivere una natura arcaica, preservata dall’urbanizzazione, dove è ancora possibile ritrovare se stessi. A questo periodo risalgono anche alcuni ritratti, tra i generi prediletti da Tozzi insieme alla natura morta. Nell’Anticolana del 1938 l’artista affrontando nuovamente la tecnica dell’affresco ritrae una contadina su un fondo monocromo: la tavolozza contribuisce ad accentuare il senso di malinconia che pervade l’opera, ma il corpo possente ed austero richiama la solidità formale del Ritorno all’ordine, nonché la pittura degli artisti di «Valori Plastici».
Benedetto Tozzi: la guerra, l’espressionismo e la pittura religiosa
Con lo scoppio della Seconda Guerra Mondiale il cenacolo di Anticoli Corrado si scioglie e Tozzi si arruola come ufficiale d’artiglieria da montagna combattendo in Francia e in Italia. Tornato a Subiaco partecipa alla resistenza con un gruppo di partigiani nella valle dell’Aniene. Il periodo post-bellico è forse per lui ancora più traumatico della guerra: la sua città è distrutta dai bombardamenti, non trova più nel suo atelier le opere dipinte nel periodo giovanile e durante l’esperienza della Scuola Romana perché saccheggiate, muoiono uno dopo l’altro il padre, il fratello, la sorella e la madre.
Dopo questi avvenimenti Benedetto Tozzi è un uomo lacerato, privato di quanto aveva di più caro. L’espressionismo dell’artista, che prima si avvaleva di colori tenui e di una maggiore luminosità, ora si fa veicolo del dramma personale e dell’intera umanità. Nel ciclo di dieci dipinti che restituiscono l’immagine di Subiaco devastata il modo di dipingere è sempre rapido, ma in molte opere prevalgono toni cupi e nel paesaggio tra gli edifici distrutti serpeggia un senso di abbandono, di morte fisica e interiore.
Un altro aspetto importante è lo spirito religioso che sicuramente Tozzi matura durante la sua giovanile permanenza presso il seminario dell’abbazia di Subiaco e che trova espressione nelle opere di soggetto sacro degli anni Cinquanta e Sessanta con una sempre crescente drammaticità. L’opera Crocifissione del 1967 è dipinta dall’artista nell’ultimo periodo della sua attività in concomitanza con la scoperta della malattia che lo condurrà alla morte l’anno successivo ed è sicuramente la più tormentata: i toni incendiati sembrano creare un limbo di fuoco e compare sorprendentemente anche il segno, usato però con parsimonia nel delineare in modo essenziale la sagoma del Cristo crocifisso perché il pittore rimane fedele fino alla fine alla materia pittorica.
Il culmine dell’intera produzione rimane comunque L’inchinata del 1968 che condensa tutte le tematiche più care all’artista. È rappresentata la processione durante la quale l’icona sacra del Salvatore condotta dalla cattedrale di Sant’Andrea incontra quella dell’Assunta nella piazza di Santa Maria della Valle ed è in questo momento che le due immagini si inchinano reciprocamente per tre volte ed i fedeli chiedono misericordia. Un rito radicato nel sentire religioso popolare che il pittore rielabora in modo personale ed antinaturalistico, dal modo di rendere le figure e il paesaggio ai colori fantasiosi. Ad attrarre la curiosità dell’osservatore è il tronco d’albero in basso a destra, inserito in modo incoerente nel dipinto. Si tratta dell’abbozzo di un paesaggio non portato a termine dall’autore, il quale ha scelto di reimpiegare la tela girandola in orizzontale e dipingendovi sopra un’altra composizione, ottenendo un risultato originale in un’opera dove si incontrano umanità, natura e religione.
Emanuela Ingenito