Bresson: un’estate a Napoli
Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004), fotografo di fama mondiale, scrutatore silenzioso di Parigi (e non solo), fino al 28 luglio è stato in mostra al Palazzo delle Arti di Napoli con alcuni dei suoi migliori scatti da tutto il mondo.
Il PAN, inoltre, è già stato sede di mostre monografiche che hanno riscosso grande successo negli ultimi anni (basti pensare al boom per Shepard Fairey ed Andy Warhol); Bresson, quindi, sarebbe stato un altro fiore all’occhiello nonché un buon incremento in termini economici essendo il museo normalmente gratuito.
L’occhio della mente: un piano tutto per Bresson
Per la componente introspettiva delle sue fotografie e per l’omonimo libro da lui scritto, è stato dato all’esposizione il nome di “The Mind’s Eye” (lett. Occhio della mente), affermando quindi che una macchina fotografica, in questo caso quella di Bresson (già soprannominato Occhio del secolo), può essere veicolo di pensieri e di significati che vanno oltre il “pezzo di carta” della foto appeso al muro.
Il PAN quindi, per lasciare libero il pensiero dell’osservatore, ha fatto in modo che la mostra fosse priva di alcuna indicazione concernente il significato o l’interpretazione delle fotografie prescelte, o di qualsivoglia volantino che illustrasse le linee guida o il perché della scelta di determinate fotografie anziché altre.
La mostra, infatti, occupava un intero piano della struttura rigorosamente a pareti bianche con sopra adagiate le suddette fotografie in bianco e nero e con un arredamento delle sale praticamente inesistente, come una sorta di “white cube”.
Certamente ogni foto aveva la sua targhetta con anno e luogo, per far quantomeno intendere quanto e dove avesse viaggiato e quanto presto avesse iniziato a visitare anche i posti più desolati ma bisognosi di avere qualcuno che li notasse.
E se lo spettatore non conoscesse Bresson?
L’esposizione, come già accennato, sembra quasi lasciare lo spettatore a se stesso, non dandogli indicazioni significative se non quelle tempo-spaziali ma mostrandogli solo quello che è stato il lavoro e la passione di un uomo e dove soprattutto quest’ultima può portare.
Adesso, per uno spettatore appassionato e ben informato su Bresson e sulla sua carriera ben venga questa modalità di esposizione più asettica e “sterile”, poiché chi guarda non avrà bisogno di alcun indirizzo avendocelo già di per sé in testa.
Ma per i meno informati andrà bene lo stesso?
Basteranno le fotografie a spiegarsi da sole?
Dato l’esito positivo della mostra parrebbe di sì, ma nulla toglie che un minimo di materiale informativo iniziale andrebbe fornito o un qualche supporto audiovisivo che guidi la persona attraverso le sale.
Altra idea innovativa sarebbe quella di fornire del materiale interattivo, far entrare letteralmente lo spettatore nei paesaggi di Bresson e garantirgli una fruizione migliore dal punto di vista esperienziale e cognitivo.
Nessuno può dire che il PAN non abbia allestito il tutto come meglio poteva, data la struttura e i fondi, ma questa mostra come altre potrebbe essere il punto di partenza per un investimento maggiore nella cultura e nell’arte.
Maria Francesca Celentano