Considerato e concepito da Chrétien de Troyes come il suo capolavoro, il romanzo Cligès viene interpretato dai letterati dei secoli successivi come un paradigma di comportamento cortese, un esempio di modus vivendi da raccomandare ai giovani delle corti francesi del XII secolo. La fortuna del romanzo consiste in particolar modo nella struttura e nell’aspetto formale, ponendosi come modello di stile poetico. I motivi del “meraviglioso” e del “magico” perdono la funzionalità primaria e viene risaltata in modo riverente la realtà contemporanea.
A tal proposito, come riporta lo stesso autore nell’Introduzione del Cligès, sono inseriti velati riferimenti alla realtà del tempo, 1160 c.a, e alla figura di Enrico II di Champagne, la cui generosità gli valse il titolo di Largus, il Liberale. La storia del conte viene considerata come un’anticipazione rovesciata della vicenda di Alixandre, padre del protagonista Cligès. La storia racconta del percorso interiore compiuto dal giovane Cligès, futuro imperatore della corte di Costantinopoli, che nel suo viaggio in Occidente alla corte di re Artù incontra Fenice.
Numerosi sono i riferimenti e i richiami ovidiani, mimetizzati e rimodernati in una rivisitazione narrativa ed innovativa degli exempla dell’Ars Amandi. Si distingue un’attenta ed interessante visione analitica di quello che potrebbe essere chiamato lo “scopo etico” della storia: nonostante il cambiamento delle situazioni esterne, le regole sociali dell’amore cortese rimangono immutate. L’impostazione retorica del Cligès lo ricollega alla vicenda tristaniana, tramandataci da Thomas d’Engleterre.
Cligès: amore e legalità
Tuttavia il romanzo di Chrétien consiste nel raccontare la conquista di un’unione basata sull’amore e sulla legalità, la passione dei sentimenti in ordine con le regole della società, raggiungendo quell’amor leaux che si traduce in una visione e condivisione, prima di tutto terrena, dell’amore nel rispetto della “legge cortese”; infatti, alla fine Fenice diventerà per Cligès non soltanto amante ma anche signora:
“Il l’apele amie et dame”
realizzando il proposito iniziale
“…non sarò signora di un impero
se non ne siete voi il signore…”
Entrambi i giovani sono pari per bellezza, condizione sociale e giovinezza ma un ostacolo vieta la loro unione: Fenice è sposa dello zio di Cligès. L’eroe è sottomesso ai voleri della donna che si manifesta fin da subito volitiva, unica e risoluta nel prendere decisioni accettate senza difficoltà dall’amato.
Per la trama e alcuni elementi quali il capello biondo, il triangolo amoroso e la scoperta dei due amanti da parte di un servitore del marito, il Cligès si era impropriamente guadagnato il titolo di “anti-Tristano“. In realtà, il progetto e l’ideazione del romanzo verte proprio sulla possibilità di evitare il tragico errore tristaniano e dimostrare che si può applicare una rettificazione all’errore compiuto dai due amanti di Cornovaglia.
Il binomio amore-morte nel Cligès viene corretto in amore-vita: la morte, infatti, che è comunque tematica centrale della vicenda, rappresenta il passaggio necessario per rettificare lo sbaglio della follia dell’amore di Tristano e, infine, di permettere ai due amanti di condividere un sentimento che “longuement durer”. La rettifica dell’errore rappresenta l’interesse essenziale rivolto al rispetto dei comportamenti della società cortese.
Il mito della fenice
La “correzione” alla storia tristaniana avviene attraverso la preparazione di due filtri, che nel Cligès fungono da soluzioni narrative necessarie al raggiungimento dell’amor leaux. Il primo offerto dal nipote al marito della moglie, facendogli credere di giacere con la bella Fenice, la quale potrà preservare il suo corpo intatto per l’amato, e il secondo assunto dalla stessa eroina, che provocherà la morte apparente della donna, rafforzando il significato del suo nome, secondo l’interpretatio nominis: la regina morirà come moglie dell’imperatore Alis e risorgerà come amante di Cligès, liberandola dalla colpa dell’amore adultero anche agli occhi della società.
In merito al nome l’autore aveva fatto riferimento all’uccello mitico che, morendo, rinasce dalle sue stesse ceneri, risorgendo: il motivo della fenice era piuttosto singolare nella letteratura medievale, elemento che nella sua unicità rappresenta e si manifesta come l’anticipazione di Fenice di voler essere unica, di conservare cuore e corpo per l’amato Cligès, differenziandosi dall’errore di Isotta. Fenice rende il suo amore resnable nel rispetto e nella configurazione delle leggi sociali.
Libero arbitrio e rispetto sociale
Al comportamento irrazionale e alla fine tragica della regina di Cornovaglia, Fenice risponde fiduciosa nell’avvenire, unica artefice del suo destino, donna di ineffabile senso morale ed etico. Il suo comportamento attivo e, oltre ogni aspettativa, risoluto e deciso si caratterizza come profonda coscienza della responsabilità individuale prima, di coppia in seguito, di applicare il libero arbitrio del rispetto della legge cortese.
Diversamente dal corrispettivo femminile, il personaggio di Cligès appare in sostanza privo di evoluzione interiore. Eroe passivo, parte alla ricerca della propria identità e soltanto alla fine della vicenda acquista le giuste caratteristiche che lo rendono degno di essere chiamato cavaliere. Paura, timore e vergogna inizialmente rese esplicite dai suoi comportamenti si trasformano, rendendo reale la “metamorfosi” del personaggio, portando allo stato ideale di cavaliere cortese.
Dopo la fuga dalla corte e il rifugio sicuro nel vergier isolato, individuato come simbolo di isolamento sociale, i due amanti devono compiere l’ultimo passo: la conquista della libertà anche di fronte alla società. Nel momento finale, per questo fondamentale alla completa riuscita del sogno d’amore, Cligès prende per la prima volta l’iniziativa, rivolgendosi a re Artù per spodestare lo zio usurpatore dal trono di Costantinopoli e rivendicare i propri diritti come erede legittimo dell’impero d’Oriente.
Riconquistata la libertà, l’amore tra Fenice e Cligès si concretizza attraverso il matrimonio regale, attualizzandosi come espediente necessario affinché un amore potenzialmente adultero trovi la sua giusta conformazione nel rispetto della legge, della società, della corte.
“Della sua amica ha fatto sua moglie,
la chiama amica e signora,
ma non per questo lei cessa
di essere amata come sua amica,
ugualmente lei lo ama come
si deve amare il proprio amico”.
Valentina Labattaglia
Bibliografia:
Chrétien de Troyes, Cligès, Carocci Editore, Biblioteca Medievale, Roma 2012