Daniel Spoerri, artista originario della Romania e naturalizzato svizzero, è noto a livello internazionale soprattutto come artista figurativo per i suoi quadri-trappola, i Tableaux Piège, realizzati a partire dagli anni Sessanta del secolo scorso. Tuttavia il suo percorso artistico è molto più complesso e variegato e contempla anche una ricca produzione scultorea in bronzo. E sono proprio una ventina di sue sculture bronzee, alcune di più grandi dimensioni, altre di formato più piccolo, tutte realizzate tra il 2005 e il 2016, ad essere oggi in mostra fino al 31 agosto 2016 presso l’ex Museo Civico della città di Spoleto. L’esposizione dal titolo Bronze Age, curata da Achille Bonito Oliva, è organizzata nell’ambito del Festival dei Due Mondi di Spoleto, una manifestazione che si propone di presentare al pubblico le ricerche artistiche più innovative ed antitradizionali. Anche quando ha sperimentato una nuova tecnica, Spoerri non ha mai abbandonato il procedimento combinatorio tipico dei quadri-trappola, dimostrando come l’assemblage possa assumere nuove valenze.
Daniel Spoerri: la danza, il teatro, l’arte
Spoerri non si è occupato fin da subito di arte figurativa, ma la sua carriera artistica è decollata con la danza. Infatti, dopo l’uccisione del padre da parte dei nazisti durante la Seconda Guerra Mondiale, l’artista lasciò la sua terra d’origine e si rifugiò insieme alla famiglia a Zurigo, ospite dello zio materno che era rettore dell’università della città. Qui alla fine degli anni Quaranta cominciò a frequentare la scuola di danza e, dopo aver studiato anche a Parigi, divenne primo ballerino allo Stadttheater di Berna, lavorando nel contempo anche come coreografo. Si interessò anche alla poesia concreta e al teatro, dedicandosi a quest’ultimo parallelamente alla danza: nel 1956 mise in scena il dramma surrealista di Picasso Le désir attrappé par la queue (“Il desiderio preso per la coda”) e per due anni, dal 1957 al 1959, fu assistente regista presso il teatro di Darmstadt.
Nel corso di quegli anni conobbe molti artisti, ma solo a partire dagli anni Sessanta approdò all’arte figurativa. Nel 1959 si trasferì a Parigi dove ebbe modo di incontrare Marcel Duchamp e Man Ray e l’anno successivo aderì al Nouveau Réalisme francese firmandone il manifesto. Fu allora, attenendosi al modus operandi artistico di quel movimento, che iniziò a realizzare i Tableaux Piège utilizzando oggetti incontrati casualmente, prelevandoli dalla loro dimensione quotidiana ed abituale e incollandoli al supporto esattamente così come erano stati trovati, senza alcuna variazione se non la loro posizione rispetto all’osservatore in quanto ciò che normalmente si trova su un piano orizzontale Spoerri lo ha posto sul piano verticale, parallelo alla parete. In questa operazione l’artista si è limitato a decontestualizzare e ad incollare gli oggetti, quindi l’autorialità si è ridotta ai minimi termini, qualcosa di simile a ciò che si è verificò con la Pop Art.
Nello stesso periodo egli lavorò anche ai Détrompe l’œil con lo scopo ultimo di creare un’alternativa alla pittura trompe l’œil: in opere dipinte in modo realistico l’artista ha inserito oggetti reali che hanno la capacità di annullare qualsiasi illusionismo figurativo.
Il vero colpo di genio di Spoerri è però la Eat Art, concetto coniato da lui ed affrontato a partire dal 1967. L’ambito della nutrizione in tutti i suoi principali aspetti poteva, secondo l’artista, sollevare riflessioni e confronti con l’arte. Questa nuova esperienza lo condusse ad aprire nel 1968 a Düsseldorf un proprio ristorante-galleria in cui venivano serviti piatti preparati da lui stesso. Egli continuò comunque lungo la strada del figurativo fondendo i suoi interessi: nacquero così dei quadri-trappola, incollando su supporto posto verticalmente i piatti, posate, resti di cibo, così come venivano lasciati dai clienti del ristorante dopo il pasto.
Alla scultura l’artista arrivò dopo, a partire dagli anni Settanta. Scegliendo il più tradizionale dei materiali, il bronzo, ha voluto conferire alle sue opere un’inedita spazialità. Sicuramente i Tableaux Piège non hanno la bidimensionalità della pittura, ma sono comunque ed inevitabilmente legati al supporto a parete. La scultura invece gli ha permesso di sperimentare l’assemblaggio di oggetti nello spazio tridimensionale in una materialità tutta nuova. Seguendo questo indirizzo all’inizio degli anni ‘90 ideò un nuovo progetto, l’allestimento de Il Giardino di Daniel Spoerri, un parco immerso nel verde nella Toscana meridionale, vicino Siena, inaugurato e aperto al pubblico dal 1997, che nel corso del tempo si è arricchito di sculture che convivono con la natura e che attualmente ospita 103 opere di ben 50 artisti.
Daniel Spoerri: The Bronze Age
Il percorso espositivo di Spoleto permette di riconoscere diversi step nella produzione più recente dell’artista svizzero. In alcune Spoerri ha assemblato vari oggetti trovati nei mercatini delle pulci, avvalendosi del procedimento combinatorio dei Tableaux Piège: si tratta chiaramente di un ready-made perché l’oggetto estrapolato dalla realtà e privato della sua funzione pratica viene riproposto in un contesto nuovo, artistico e poetico, ed associato ad altri oggetti. In altre invece è stato valorizzato ciò che è antecedente al risultato finale, il processo produttivo: vengono presentate come opere d’arte sculture che hanno ancora le canaline di scorrimento necessarie durante la prima fase di fusione del metallo. Infine è esposto il prodotto ultimo, la scultura bronzea patinata.
Il visitatore rimane destabilizzato in quanto le opere che si trova davanti mentre si prestano a nuovi spunti di riflessione lasciano spazio anche a molti dubbi: sono enigmatiche, avvolte da un alone di mistero e di indefinito, assomigliano ai totem di civiltà ancestrali, quelle nutrite di religiosità pura e disinteressata, ma in realtà sono strettamente legate al nostro tempo e all’esperienza personale dell’artista. Lo dimostra la primissima scultura in bronzo realizzata da Spoerri nel 1970, Il Santo Grappa, opera provocatoria, autobiografica, testimonianza di ciò che è sempre attuale: è la personificazione bronzea di una piaga sociale, l’alcolismo, definito ironicamente “Santo”, ma in realtà “mostro” incontrato dall’artista negli anni del suo ristorante di Düsseldorf, quando beveva fino a tardi con amici e clienti, e alla fine sconfitto.
Le sculture più visionarie sono sicuramente quelle appartenenti alla serie degli Idoli di Prillwitz, del 2006-2008. Per esempio con Ragazza cefalopede col piede di elefante, in mostra, il procedimento combinatorio non coinvolge più oggetti, ma parti corporee appartenenti a specie viventi diverse, quella umana e quella animale. La testa di una fanciulla innestata su un piede di elefante genera un essere ibrido, memore dei mostri della mitologia greca, come manifestazione delle fantasie più nascoste dell’uomo. Altre sculture della stessa serie sono frutto di un “collage” di elementi antropologici, tecnologici, archeologici e per questo poco chiare e rassicuranti, aperte a molteplici letture, ma cariche di intenti provocatori e di una certa vena satirica.
Emanuela Ingenito